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Napoli 2500: spunti di storia e cultura. In dialogo con Diego Guida
Le celebrazioni di Napoli 2500 rappresentano, finalmente, l’occasione per guardare alla città non come a un luogo «estemporaneo», ma come a un organismo storico tra i più longevi d’Europa. L’eredità della Neapolis greca, quella narrata da Strabone e poi ricomposta da Croce, attraverso le sue stratificazioni, oggi è più che mai visibile non solo negli scavi o nelle testimonianze archeologiche, ma nel modo stesso in cui la città continua a vivere: un impianto urbano ancora riconoscibile, una mentalità radicata nel dialogo, una vocazione culturale che affonda le radici nel Mediterraneo antico. Il fatto che se ne parli oggi, in modo diffuso e condiviso, indica una rinnovata consapevolezza: Napoli non è un’anomalia folcloristica, ma un luogo culturale complesso, con un passato che può essere finalmente letto nella sua autenticità.
La tradizione culturale napoletana ha una caratteristica unica: non è un museo di memorie, ma una linea ininterrotta che lega filosofia, arti visive e musica alla vita quotidiana della città. Figure come Filangieri e Vico ci ricordano quanto a Napoli sia stato forte il rapporto tra pensiero teorico e vita civile; Solimena rappresenta l’apice di un barocco che non ha mai smesso di influenzare il nostro immaginario visivo; Pergolesi ha trasformato in arte colta ciò che nasceva in strada, anticipando l’idea di una cultura “popolare” pienamente dignitosa. Durante questo anno di celebrazioni, credo possano emergere proprio queste connessioni: il modo in cui il cittadino napoletano vive il rapporto con lo spazio, con la comunità, con la bellezza. È un unicum socio-culturale: non è paragonabile ad altre città, perché si alimenta di una partecipazione spontanea e continua alla vita culturale.
Nel Settecento, l’Illuminismo napoletano aveva dato al libro una funzione civile, quasi politica. Oggi, possiamo recuperare quella spinta: raccontare Napoli con strumenti nuovi, pubblicare saggi e romanzi che aiutino a leggere la città con consapevolezza, sostenere il dialogo tra discipline diverse. Il libro può accompagnare queste celebrazioni con la sua capacità di sedimentare il pensiero: resta, rimane consultabile, diventa memoria critica.
Tra i tantissimi eventi previsti, quelli che credo rappresentino davvero il Genius Loci sono quelli capaci di mettere al centro l’apertura e l’ascolto. Napoli è una città che accoglie ancora prima di mostrarsi, una città che non ha paura del contatto umano. Le iniziative che valorizzano il rapporto con i quartieri, con il mare, con le arti, non in modo spettacolare, ma partecipato, saranno quelle più vicine alla Napoli raccontata da La Capria o dalla Ortese: una città affettiva, complessa, a volte contraddittoria, ma sempre pronta ad accogliere e a offrire qualcosa di sé.
Goethe e Stendhal, pur con visioni diverse, uno più onirico, l’altro più concreto, avevano intuito un tratto fondamentale della città: la sua natura cosmopolita. Oggi quell’eredità è ancora viva. Napoli è un crocevia di lingue, storie, provenienze: non come moda recente, ma come identità antica. Le diverse visioni dei due grandi viaggiatori continuano a convivere: la Napoli «sognata», estetica, e quella pragmaticamente viva, che affronta problemi reali. Questa doppiezza non è un difetto: è una ricchezza che ci obbliga a guardare la città con profondità.
La storia culturale napoletana è costellata di personalità straordinarie che, oggi, sono quasi invisibili. Dal mondo umanistico del Quattrocento all’Accademia Pontaniana, fino ai protagonisti della Scuola Napoletana di matematica e filosofia, abbiamo un patrimonio di pensiero che attende solo di essere riacceso.
Raccontare una città di 25 secoli è un’impresa enorme, e Croce aveva ragione a mettere in guardia dalla retorica del pittoresco. Non esiste una ricetta, ma una direzione: ragionare, investire sulla cultura, mettere al centro la complessità e non la cartolina. La lezione di Filangieri, il «diritto alla felicità» come fondamento di una comunità, è ancora attuale: la città deve essere un modello di attrazione culturale, non solo turistica. Il turismo è importante, ma deve essere un volano culturale, non un fine. L’obiettivo è far sì che chi arriva qui incontri la Napoli reale, stratificata, sorprendente, non un’immagine artificiale, ma anche un centro proiettato avanti nel tempo.
Napoli vive in una tensione continua tra memoria e futuro, e questo la rende viva. Le celebrazioni stanno mostrando come le radici possano dialogare con visioni nuove, come i romanzi di Montesano o Ferrante insegnano: non basta testimoniare, bisogna trasformare. Io credo che, oggi, sia necessario puntare ai risultati, non ai semplici segnali di presenza. Servono modelli innovativi che diano continuità a ciò che stiamo costruendo, e non iniziative isolate.
Questo anniversario è una formidabile occasione: i riflettori sono puntati sulla città, e le risorse, non solo economiche, ma intellettuali, sono finalmente disponibili. Napoli può superare stereotipi antichi e recuperare quella nobiltà culturale evocata da Norman Douglas e Matilde Serao: una nobiltà fatta di pensiero, di creatività, di apertura. Se riusciamo a comunicare la città nella sua verità, l’immagine internazionale cambierà in modo duraturo.
L’augurio che mi sento di fare è quello di ripensare profondamente la classe dirigente, e non solo in senso politico. Napoli ha bisogno di responsabilità, di visione, di un’etica della condivisione e del rispetto. Solo così potrà continuare a essere, come diceva De Sanctis, una capitale morale e intellettuale del Mediterraneo, una città capace non solo di raccontare il proprio passato, ma di orientare il futuro. A cura di Afrodita Cionchin e Giusy Capone |
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