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Sul Convegno Internazionale 30 anni dalla morte di uno «specialista nel problema della morte»
Il 20 giugno sono trascorsi trent’anni dalla morte di Emil Cioran a Parigi. In commemorazione del 30° anniversario della sua morte, il Portale Cioran Brasile su YouTube ha organizzato un convegno internazionale online, riunendo studiosi e ricercatori delle opere di Cioran provenienti da 6 paesi, in 4 lingue diverse, affrontando un'ampia gamma di temi intorno alla vita e agli scritti dello scettico dei Carpazi. Allo stesso tempo, Portal Cioran Brasile celebra i 15 anni dalla sua fondazione nel 2010.
Sono state 18 conferenze, dal 16 al 21 giugno 2025. La conferenza di apertura, tenuta da me, ha affrontato il tema della morte di un cosiddetto «specialista del problema della morte», come si definì il giovane Cioran «al culmine della disperazione». Secondo Gabriel Liiceanu, «il tema della morte è talmente presente nell'opera di Cioran che, se vogliamo sapere come è morto, è come se non facessimo una domanda meramente biografica, ma come se volessimo sapere come si è conclusa la sua opera».
L'autoproclamato «esiliato metafisico» è morto lontano dalla sua terra natale, la Transilvania, senza mai esservi tornato. La morte di colui che dedicò al problema della morte «tutte quelle ore che avrebbe richiesto un mestiere» (Sillogismi) è stato il tema centrale di questa conferenza inaugurale, nell'interfaccia tra vita e opera. Partendo dal saggio La mort de Cioran (in Itinerari di una vita) di Liiceanu, si trattava di un approccio biografico-filosofico sulla correlazione tra il fatum dell'autore rumeno – affetto da Alzheimer alla fine della sua vita – e il modo in cui pensava alla vita, alla morte e, tra queste, alla coscienza: malattia incurabile, «molto più della scheggia, il pugnale nella carne» (L’inconveniente di essere nati).
Il 17 giugno la prima conferenza è stata tenuta da Carlos Javier González Serrano, Spagna. Carlos è professore di Filosofia e Psicologia, nonché presidente della Società per gli studi di lingua spagnola su Schopenhauer. Ha sviluppato una riflessione sulla solitudine e la disillusione: «Il Vangelo Laico di Cioran». Carlos Serrano interpreta l'opera di Cioran come una sorta di «vangelo» che non promette la salvezza, ma offre lucidità, che non propone una redenzione futura, ma un confronto implacabile con l’inferno presente e la sua futilità ulteriore. L'inversione della «Buona Novella» cristiana: invece della vita eterna, la consapevolezza dell'«inconveniente di essere nati». Un profeta della disillusione: Cioran strappa il velo di tutte le illusioni – Dio, ragione, progresso, senso della vita – e, invece di cadere nel cinismo volgare o nel nichilismo facile, trasforma questa traversata in una sorta di «via crucis» negativa. Per il filosofo rumeno, la solitudine non è un mero stato sociale o psicologico, ma una condizione metafisica: «Poiché la vita può compiersi soltanto nell'individuazione – questo fondamento ultimo della solitudine –, ogni essere è necessariamente solo per il fatto che è un individuo» (Sommario di decomposizione). La solitudine metafisica rivela l'esperienza radicale del non appartenere, del non avere nessun posto nel mondo, poiché il mondo è, per Cioran, un «non-luogo universale» (Il Crepuscolo dei pensieri), dove siamo esposti a tutti i mali e ci decomponiamo senza tregua. Il disinganno è un'esperienza necessaria e inevitabile: perdere le illusioni, liberarsi dall'autoinganno e dalle menzogne che sostengono la vita, quella «occupazione da insetti» (Sillogismi). In termini mistici, si potrebbe tracciare un'analogia con la notte oscura dell'anima di San Giovanni della Croce, senza alcuna redenzione. Eppure, Cioran ci offre una strana consolazione...
Poi è stata la volta di Juan Pablo Enos Santana Santos, un giovane studente di filosofia brasiliano che ricerca il tema dell'Eros (l’amore) negli scritti rumeni di Cioran e il suo legame con la filosofia vitalista di Ludwig Klages. Parafrasando il titolo di uno dei testi di Al culmine della disperazione («La vérité, quel mot!»), la conferenza di Juan ha affrontato la concezione cioraniana dell'opposizione tipicamente klagesiana tra Vita e Coscienza. In «Spirito, che parola! Cioran lettore di Klages». Ha sviluppato un'ermeneutica comparata sul tema dello Spirito (Geist) nelle opere dei due autori. Secondo Juan Pablo, lettore del giovane Cioran, è possibile individuare un collegamento nella comprensione pessimistica dell'attività devastante dello spirito nella vita, che, per colui che soffre, è la radice di gravi antinomie. «Perché lo spirito è il frutto di una malattia della vita, così come l’uomo è solo un animale degenere. L’esistenza dello spinto è un’anomalia nella vita», scrive Cioran (Al culmine della disperazione). Contrariamente alla predominante esaltazione dello spirito come «ragione riflessiva e volontà finalistica» nell'uomo, riconoscendo l'effetto disintegrante sulla vita che si verifica nell'uomo che soffre di malattia spirituale, esamineremo alcuni degli eventi e dei temi relativi allo spirito nell'opera di Cioran, tenendo conto della metafisica di Klages. In contrapposizione all'esaltazione idealistica dello spirito come «ragione riflessiva e volontà finalistica» nell'Uomo, e riconoscendo l'effetto disintegrante sulla vita dell'uomo dotato di spirito, Juan ha esaminato alcuni passaggi e temi intorno allo Spirito nell'opera di Cioran, tenendo conto della metafisica di Klages.
In seguito, Giovanni Tremea, ricercatore brasiliano dell'opera di Albert Camus, ci ha regalato una conferenza sulla «Gnosi come paradigma filosofico» in Cioran e altrove – nella filosofia contemporanea in generale. Non intendendo lo gnosticismo solo come fenomeno storico-religioso, Giovanni sostiene che la Gnosi esprime un atteggiamento esistenziale ricorrente nella storia dell’Occidente, fondato sulla percezione dell'ostilità di un mondo assurdo, sull'insoddisfazione fondamentale della condizione umana e sul desiderio di salvezza o redenzione attraverso la conoscenza interiore. Partendo da Hans Jonas (1903-1993) identifica nella Gnosi un modello interpretativo del pensiero occidentale basato su un dualismo radicale, sul sentimento di rivolta metafisica contro il cosmo e sulla nostalgia di una trascendenza perduta.
Nella prima conferenza del 18 giugno, Amanda Fievet (Unicamp/Unesp) ha proposto una riflessione comparata sul rapporto tra scrittura e morte nelle opere di Cioran e Louis-Ferdinand Céline. Lei indaga come entrambi gli autori articolano l'esperienza della decomposizione – fisica, morale, della civiltà – intesa come forza motrice del linguaggio e della creazione letteraria. Nella sua interpretazione, la scrittura di Cioran emerge come espressione della disperazione e quella di Céline, come flusso vitale comprensibile in una peculiare forma di lirismo grottesco. In conclusione, sostiene che, in entrambi, la scrittura si presenta come un gesto ambivalente di negazione e affermazione della vita, dove la scrittura è, paradossalmente, morte e resistenza.
Poi Sigifredo Esquivel Marín, professore di filosofia all'Università Autonoma di Zacatecas, in Messico, ha commentato le affinità elettive tra Cioran e la letteratura spagnola. Cioran era un grande lettore di letteratura spagnola, particolarmente di pensatori religiosi e mistici come Baltasar Gracián, Miguel de Unamuno, María Zambrano, Azorín (pseudonimo di José Augusto Trinidad Martínez Ruiz), e soprattutto della poesia mistica di Santa Teresa d'Avila e San Giovanni della Croce. Più che influenze, se mai ce ne siano, ha mostrato le confluenze, le complicità e le affinità elettive tra Cioran e il pensiero spirituale pessimista spagnolo.
Ancora il 18 giugno, Alexandre Soares Carneiro, professore di teoria e storia letteraria all'Università di Campinas (Unicamp), ha parlato della scrittura del pensatore a proposito di Cioran. Il processo di scrittura è un tema che ricorre con una certa regolarità negli aforismi e nei saggi dell'autore rumeno. Alexandre sostiene che questo tipo di autoriflessione sul proprio lavoro di scrittura può offrire spunti interessanti a chiunque si occupi di scrittura, compresi insegnanti e ricercatori. Le note di Cioran sull’arte della scrittura ci aiutano a valutare le nostre carenze, in particolare l'impersonalità e la prolissità della scrittura accademica, nella sua versione dominante nelle «scienze umane».
L'ultima conferenza del 18 giugno è stata tenuta da Javier Jaimes Cienfuegos, presidente del comitato di Bioetica dell'UAEMex, specialista in terapia cognitivo-comportamentale e neuropsicologia, laureato in filosofia e specializzato in tanatologia, gestione del lutto e psicoanalisi. Cienfuegos ha affrontato il sentimento della morte e il tema della vita contemplativa in Cioran: «un rifugio dalla pressione della positività e della performance nel XXI secolo». Ottimismo e produttività sono considerati valori fondamentali nel XXI secolo, e la contemplazione emerge come un'alternativa che ci spinge al distacco e alla riflessione. Secondo lui, il sentimento della morte in Cioran è un rifugio che permette agli individui di prendere le distanze dalle richieste sociali, creando uno spazio per l'introspezione in una realtà priva di significato. La contemplazione si pone come un atto di resistenza al ritmo accelerato della postmodernità, che affronta superficialmente temi come la morte, la felicità, la malattia e il tempo.
La prima conferenza del 19 giugno è stata tenuta anche da un amico messicano, collega di Sigifredo Marín all'Universidad Autonoma di Zacatecas, dove insegna filosofia. Leobardo Villegas ha proposto un insolito accostamento tra i pensieri di Hegel e di Cioran. Infatti, è raro mettere in relazione il nostro rumeno con l'autore della Fenomenologia dello Spirito. La sua ermeneutica comparativa era incentrata su un punto, una sorta di chiaroveggenza che permea il pensiero di entrambi gli autori: il misticismo negativo e l'aspirazione a una conoscenza assoluta. In entrambi si rivela una visione della realtà che si vuole totale e assoluta. Si tratta di definire le caratteristiche di queste due visioni, di queste due forme di chiaroveggenza.
Poi abbiamo assistito alla conferenza di un altro studioso brasiliano, Rui Benvides Prates, che ha presentato l'argomento della sua tesi di dottorato su Cioran: il «Kehre» di Cioran, nella transizione tra la fase rumena e quella francese. Come altri esegeti, quali Ciprian Vălcan e Horia Pătrașcu, Rui utilizza il concetto tedesco di «Kehre» per descrivere una svolta sostanziale, un cambiamento nel corso del pensiero di Cioran. Fondato sulle premesse filosofiche e biografiche del «caso» Cioran, questo cambiamento è compreso soprattutto a livello esistenziale. La ricerca dottorale di Rui si propone di dimostrare l'esistenza di una svolta programmatica nell'opera di Cioran. Secondo questa ipotesi, superata la questione della «trasfigurazione», cioè il programma filosofico della giovinezza di Cioran, la sua opera si sarebbe riorganizzata nella figura dello «straniero metafisico» e intorno al principio della «caduta» del tempo.
Jennifer Ramírez Restrepo, studentessa di filosofia presso l'Università Tecnologica di Pereira (UTP), in Colombia, sotto la supervisione del professor Alfredo Abad, ci ha tenuto l'ultima conferenza della giornata del 19 giugno: «Sulle tracce di Montaigne: riscoprendo l'arte di interrogare». La sua presentazione ha esplorato le domande fondamentali sull'essere, l'eredità culturale e l'esistenza che emergono dalla coscienza individuale secondo Montaigne. Ispirata dall'introspezione radicale e dall'onestà intellettuale dell’autore francese, Jennifer ha analizzato il modo in cui l'esplorazione dell'io nei Saggi di Montaigne esemplifichi una filosofia di costante interrogazione. Lei sostiene che, lungi dal cercare certezze assolute, l’interrogare senza tregua, costituisce uno stimolo alla comprensione non dogmatica della condizione umana, allo sviluppo di un pensiero vivo e dinamico. In linea con lo spirito scettico di Montaigne, Jennifer sottolinea l'importanza della riflessione personale e del tempo dedicato alla contemplazione come pilastri di una filosofia autentica. Infine, la studiosa colombiana invita a riflettere sull'origine delle proprie inquietudini filosofiche e sul valore di promuovere l'interrogazione di sé stesso come motore di un pensiero critico, in continua evoluzione.
La prima conferenza del 20 giugno è stata dedicata a Gilles Deleuze. Maria Cristina López Bolívar, docente di filosofia presso l'UTP, in Colombia, ci ha regalato una presentazione su «Deleuze, l'anarchico», a 100 anni dalla sua nascita. A Deleuze – che si suicidò nel 1995, lo stesso anno della morte di Cioran – viene attribuita la creazione di concetti – quali «corpo senza organi», «rizoma», «macchine astratte» tra gli altri che ha creato con Guattari – come qualcosa che non è solo il compito principale della filosofia, ma la possibilità stessa di comprendere e trasformare il mondo, la storia e l'essere umano. Si tratta di un'opera fondamentale che fa implodere le «verità assolute» per contemplare la genesi di verità fluide, in continua evoluzione.
Nel giorno dell'anniversario della morte di Cioran, abbiamo tenuto tre conferenze sul pensatore rumeno a cui era dedicato questo convegno online. La prima è stata quella di Ciprian Vălcan, che ha parlato del «duello» tra Cioran e Paul Valéry. Secondo il nostro convitato rumeno, Valéry, nel descrivere il meccanismo della creazione, osserva che esso implica un movimento contrario al comportamento naturale, cioè un orientamento innaturale, un atteggiamento che «implica sforzo, consapevolezza dello sforzo, intenzione e, quindi, artificio». Come Valéry, Cioran sembra pensare che, per creare, l'artista debba prendere le distanze dalla mediocrità del suo stato naturale, che debba superare lo spreco (gaspillage) implicito nella vita quotidiana, ma le loro opinioni divergono quando si tratta dei mezzi con cui tale distanza può essere raggiunta. Mentre Valéry si concentra sull'esacerbazione delle facoltà intellettuali, sullo sforzo consapevole dell'intelligenza di controllare tutte le eccitazioni esterne, tutti gli impulsi e tutte le intuizioni accidentali, trasformandoli con la massima lucidità per ottenere successivamente un insieme coerente di idee che consenta di raggiungere una visione sistematica di perfetta chiarezza, Cioran ritiene necessaria una profonda trasformazione dell'interiorità creativa, una svolta radicale, causata sia dall'emozione inspiegabile dell'ispirazione, sia da uno squilibrio indotto da una malattia, sia da un'intensa sofferenza che alteri la sua visione del mondo.
Poi abbiamo avuto la conferenza del professor Alfredo Abad, dell'UTP, in Colombia: Cioran, «filosofia come letteratura». Alfredo Abad sostiene che Cioran è un caso unico nella storia del pensiero moderno, un autore che, pur essendo filosofo di formazione e vocazione, si è dichiarato fin da giovane un «antifilosofo», rifiutando la filosofia come mestiere, architettura di concetti, sistema. Per il nostro, filosofare significa coltivare un ritmo; pensare significa riflettere sull'esperienza vissuta, dare uno stile al proprio carattere. In questo senso, la sua opera sposta l'attività filosofica nel campo della letteratura, intesa non solo come finzione, ma come forma di espressione intensamente soggettiva, frammentaria e poetica dell'esistenza stessa. La filosofia non come teoria e ricerca della verità, ma come forma di vita ed esercizio spirituale, nella concretezza dell'esperienza esistenziale.
L'ultima conferenza nel trentesimo anniversario della morte di Cioran è stata tenuta da me: una lettura commentata di «La tentazione di esistere», l'ultimo testo dell'omonimo libro, il terzo scritto da Cioran in francese e pubblicato nel 1956. Oltre a scrivere aforismi, Cioran era un autore acclamato anche per i suoi saggi. Libri come La tentazione di esistere (1956) e Storia e utopia (1960) sono rappresentativi della sua produzione saggistica in lingua francese. I saggi che compongono questi e altri libri sono spesso testi chiave che sintetizzano molte intuizioni maturate in precedenza e prefigurano altre che verranno nei libri successivi. Detto questo, «La tentazione di esistere» è un testo cruciale per comprendere il pensiero paradossale di Cioran sulla vita e sulla morte. Questo saggio riassume gran parte di ciò che si trova in libri come il Sommario, i Sillogismi e Storia e utopia, oltre ad anticipare temi di La caduna nel tempo e Il funesto demiurgo. «Il grande sì è il sì alla morte. Lo si può proferire in svariate maniere», afferma Cioran in questo testo, formulando la sua versione negativa dell'Amor fati. La domanda è: si può pronunciarlo sinceramente, senza illusioni o esitazioni?
Sabato 21 giugno, ultimo giorno dell'evento, si sono tenute tre conferenze. La prima, tenuta da Estefanía Corredor Álvarez, ha trattato della musica in Cioran. Per Cioran, dotato di un'anima incurabilmente lirica, la musica, intesa come un'esperienza eccezionale e anomala, enuncia una piena confluenza di sensazioni intime e trasfiguranti, oltre al riconoscimento della sua dimensione trascendente ed estatica. La sua eccezionalità risiede nel fatto che, sebbene susciti un conflitto tra l'uomo lucido e l'esistenza, le sue illusioni e credenze, artifici incessantemente convalidati da individui accecati di fronte agli attributi del mondo, la musica, al termine della sua esperienza, promuove un'alleanza rinnovata con la vita, la riscoperta della realtà e del senso dell'esistenza, fornendo così una strana fertilità a un mondo già macchiato e perduto. Di conseguenza, la potenza musicale si dispiega come un seme che origina l'impulso degli uomini verso altri mondi.
La penultima conferenza del convegno è stata tenuta dal nostro amico italiano Vincenzo Fiore, che ha presentato un estratto del suo lavoro più recente come traduttore e curatore: alcune lettere tra Cioran, intellettuali francesi e tedeschi, contenute in Il Nulla per tutti, un nuovo volume di corrispondenza epistolare tra Cioran e i suoi contemporanei (Mimesis, 2024). «Per me scrivere significa scrivere lettere». Con queste parole, contenute in un'epistola del febbraio 1983, Cioran riassume la sua incessante e appassionata «mania epistolare», che lo accompagnerà sia durante gli anni turbolenti della sua giovinezza rumena, sia durante gli anni dello scetticismo radicale nell'esilio parigino. Grazie a questo nuovo volume curato da Vincenzo Fiore, che raccoglie lettere inedite inviate da Cioran ad alcuni intellettuali della sua epoca (tra cui Samuel Beckett, Ernst Jünger, Gabriel Marcel, Carl Schmitt, Elie Wiesel, Marguerite Yourcenar, María Zambrano), o anche a destinatari sconosciuti (ma ugualmente importanti e decisivi nella sua fitta rete di contatti e relazioni), è possibile chiarire aspetti biografici e autoriali del sovversivo «barbaro dei Carpazi». Ciò che troviamo tra le righe di queste pagine, miracolosamente salvate dall’oblio, è un Cioran intenso e lirico, attento osservatore delle dinamiche storico-culturali del Novecento, instancabile teorico del declino dell’Occidente.
L'ultima conferenza, da Gleiton Lentz, fondatore e caporedattore della rivista letteraria bilingue Nota do Tradutor (n.t.), ha affrontato un tema indirettamente correlato a Cioran, ma non per questo meno stimolante: Pessimismi – antichi e moderni – in dialogo, a proposito del testo accadico Arad Mitanguranni e della letteratura sapienziale mesopotamica. Scritto intorno al 1000 a.C., conosciuto nella tradizione orientale come «Servo, servimi!» e in quella occidentale come «Il dialogo del pessimismo», Arad Mitanguranni è un’antica composizione letteraria mesopotamica, di origine accadica, riprodotta in epoca assira e babilonese. Il testo descrive il dialogo tra un signore e il suo servo, suddiviso in dieci sezioni che trattano argomenti quali l'adorazione degli dei, la formazione di una famiglia, l'organizzazione di una cena, ecc. In ciascuna di esse, un signore/padrone volubile indica che intraprenderà una determinata linea di condotta, alla quale il servo/schiavo fornisce buone ragioni, ma subito dopo il signore cambia idea, declinando la decisione, alla quale il servo fornisce immediatamente ragioni altrettanto valide. Le interpretazioni tra gli assiriologi variano: si tratta di un trattato filosofico nichilista, di una satira sociale o ancora di una celebrazione della sovversione sociale. Oltre a spiegare il processo di traduzione di Arad Mitanguranni in portoghese, Gleiton ha affrontato la questione del pessimismo nell'antica cultura mesopotamica a partire da questo testo.
Rodrigo Menezes
(n. 12, dicembre 2025, anno XX)
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