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Pasolini, Leonetti (e Roversi)
L’amicizia fra Francesco Leonetti e Pier Paolo Pasolini durò una vita intera: essi, insieme a Roberto Roversi e Luciano Serra, si conobbero al Liceo Galvani di Bologna, condividendo sin da giovanissimi la passione per la letteratura e la poesia. Spinti dal bisogno di rompere il loro isolamento, nel ’41 essi coltivarono persino l’idea di fondare una rivista a cui intendevano dare il titolo di «Eredi». Come spiegherà in seguito Pasolini,
dire che cosa significasse in quegli anni per dei giovani, fare una rivista, potrebbe costituire un intero paragrafo di storia letteraria e psicologica: ma si noti, per quanto qui interessa, come la troppa immatura età comportasse nel fatto, un irrazionalismo (inutilmente coperto dalla furia raziocinante e sistemante) che solo oggi […] può essere spiegato. In realtà, non solo per l’inesperienza sentimentale, ma proprio per le circostanze esterne […] noi non avevamo altro da dire che la nostra passione letteraria. […] [Per] noi allora non esistevano alternative […], coatti insieme dalla ferrea politica del regime fascista e dalla istituzione stilistica del gusto ermetico. La libertà, nel senso politico, andava per noi – inconsciamente – ricercata in varianti più originarie e impegnanti di quella moralità obbligata e ormai ufficiale: non sapevamo ancora che cosa fosse l’antifascismo (era questione di pochi mesi: ed eravamo adolescenti), e l’avversione al fascismo che era in noi implicita si manifestava così in assurde e ideali esigenze moralistiche [1].
Il progetto della rivista naufragò, a causa della loro inesperienza, dell’incertezza dei tempi e delle restrizioni ministeriali sull’uso della carta; tuttavia, l’estate di quell’anno resterà per i quattro amici un periodo fondamentale in cui vennero gettate le basi per una profonda amicizia, che, malgrado le lunghe separazioni, durerà nel tempo, e un lungo sodalizio intellettuale che a metà degli anni cinquanta sfocerà nell’esperienza di «Officina». Durante il fascismo tra i giovani di quella generazione dominava una condizione di attesa, di ansia e di inquietudine, e la conquista della consapevolezza politica e civile fu per loro un processo molto lungo e faticoso: «non si può parlare di antifascismo, ma di insoddisfazione nei riguardi del fascismo inteso come potere delle istituzioni […]. La sola forma di resistenza possibile all’accettazione globale di una realtà chiusa era l’arte, la letteratura».
Come ha scritto Giancarlo Ferretti la nascita di «Officina» segnò il ricongiungimento dei tre vecchi amici bolognesi: Roversi, Pasolini e Leonetti.
Più stretti furono dapprima i rapporti tra Leonetti e Roversi, che vivevano ancora a Bologna, mentre Pasolini, dopo essere «sfollato» nel 1943 in Friuli, si era trasferito sin dal 1949 a Roma. Fu nella prima metà degli anni cinquanta che i tre «ragazzi» del Liceo Galvani ripresero a incontrarsi con una certa frequenza a Bologna, in casa di Roversi, approfittando anche dei viaggi di Pasolini a Milano, dal suo editore Garzanti. Di qui il vero e proprio progetto di «Officina» che con gli originari motivi di «Eredi» aveva in comune solo alcune – pur significative – premesse giovanili.
Il primo numero della rivista apparve a maggio del 1955, come «fascicolo bimestrale di poesia», il cui titolo – che rimanda all’idea di laboratorio, di bottega artigiana, di attività di scrittura come fatica e mestiere – voleva essere un esplicito omaggio al maestro Roberto Longhi, autore del famoso libro Officina ferrarese (1934), la cui lezione era stata fondamentale per la formazione culturale di Pasolini e di altri giovani della sua generazione, che nel clima angusto e conformista del fascismo aveva rappresentato una vera e propria scoperta. Fungeva da direttore responsabile Otello Masetti, mentre Roversi ne era l’editore, con sede redazionale presso la Libreria Palmaverde. La tiratura si aggirava intorno alle 500-600 copie, molte delle quali inviate gratuitamente ad amici e conoscenti. La redazione era composta inizialmente da Pasolini, Roversi e Leonetti, a cui si aggiungeranno nei due fascicoli della seconda serie, pubblicati dall’editore Bompiani, Fortini, Romanò e Scalia, che già da tempo collaboravano alla rivista.
Il progetto della rivista nasceva da una profonda esigenza di rinnovamento culturale e letterario, dalla necessità di rompere con l’ontologia letteraria novecentesca, di andare oltre l’ermetismo e il neorealismo e di reagire al clima di immobilismo e di stagnazione che ha caratterizzato i primi anni cinquanta. Partendo da queste premesse, per tutto il percorso di «Officina» lo sforzo e l’attività dei suoi promotori vennero rivolti a cercare e a trovare una strada diversa, un’alternativa alle coordinate dominanti della cultura letteraria del tempo, inserendosi nel dibattito letterario allora in corso.
La bellissima antologia curata nel 1975 da Gian Carlo Ferretti e il serrato e prolungato dibattito che ne seguì hanno messo bene in luce i vari aspetti e i limiti di quel sodalizio culturale e letterario, che col senno di poi appare legato a un’Italia ancora provinciale e arretrata, ma non c’è dubbio che quella complessa esperienza intellettuale sia servita a porre una serie di nodi e di problematiche che saranno analizzati e approfonditi successivamente con maggiore rigore e spregiudicatezza: il rapporto tra letteratura e politica e tra scrittore e società, il problema del rinnovamento del linguaggio poetico e narrativo e del metodo critico, il ripensamento e il rinnovamento del marxismo e della cultura italiana. Da questo punto di vista occorre riconoscere che «Officina» deve essere considerata una delle riviste più importanti degli anni cinquanta, frutto dell’attività critica e creativa di alcune delle menti più acute della cultura italiana della seconda metà del Novecento. Al di là dei testi pubblicati dai vari redattori è importante sottolineare che tutti i redattori e i collaboratori riconoscono il ruolo di guida ricoperto da Paolini e l’importanza dei suoi testi. L’amicizia fra Pasolini, Leonetti e Roversi diventa centrale durante l’esperienza della rivista. Oltre agli incontri diretti, sono tante le lettere che si scambiano i tre poeti, e sono missive colme di affetto e di stima reciproca: esse, infatti, iniziano con la parola «Carissimi» o con «Miei carissimi», a dimostrazione che il loro sodalizio letterario era dettato da una profonda amicizia. Come è noto, gli ultimi due numeri di «Officina» vengono stampati dall’editore Bompiani ed entrano nella redazione Romanò, Fortini e Scalia, che già da tempo collaboravano alla rivista, ma per vari motivi nel 1959 l’editore milanese decide di sospenderne la pubblicazione. Così a conclusione dell’esperienza della rivista ecco che cosa scrive Pasolini a Leonetti e a Roversi, dopo le polemiche interne provocate in particolar modo da Fortini, che richiama i redattori a una maggiore consapevolezza politica:
Roma, 31 agosto 1959
Ai redattori di «Officina»-Bologna
Carissimi,
bene: prendo con amarezza atto del triste incontro di Parma: il nostro errore è stato portare nella redazione gente senza forza, senza coraggio, senza idee chiare. L’ho sempre detto, che a redigere Officina dovevamo restare noi tre soli. Io non mi arrendo così facilmente: lasciamo esaurire questa caotica estate. Poi ne riparleremo: in questo senso: Officina con Einaudi e noi tre redattori. Non commentate, seppellite la cosa dentro di voi. Lasciamo tempo al tempo: io sono certo che ce la faremo. Comincio finalmente oggi a leggere i vostri libri.
Vi abbraccio forte,
vostro Pier Paolo.
Come è noto, il tentativo di proseguire «Officina» con altri editori non va in porto e i sei redattori della rivista prendono strade diverse.
In seguito, la corrispondenza fra Pasolini e Leonetti diventa più saltuaria, ma nonostante le divisioni che si erano create tra i vari redattori della rivista, l’amicizia fra i due poeti rimane ben salda. Non a caso il loro sodalizio proseguì anche negli anni sessanta. Infatti, Leonetti recitò nella parte di Erode nel Vangelo secondo Matteo e interpretò il servo Laio in Edipo Re, il marionettista in Che cosa sono le nuvole. Poi prestò la voce del corvo in Uccellacci e uccellini e dell’oste ne I racconti di Canterbury. Leonetti ne scrive nel capitolo Nel cinema di Pasolini della sua autobiografia La voce del corvo (Derive & Approdi, 2001). L’ultimo scambio di lettere fra i due poeti è del novembre 1970, ma la loro amicizia si concluse soltanto con la morte di Pasolini (2 novembre 1975).
Giuseppe Muraca
(n. 12, decembre 2025, anno XV)
NOTE
[1] Pier Paolo Pasolini, La posizione, in «Officina», n. 6, aprile 1956, poi in Gian Carlo Ferretti (a c. di), «Officina». Cultura, letteratura e politica negli anni cinquanta, Einaudi, Torino 1975, pp. 242-248.
[2] Roberto Roversi, I giovani di Vidiciatico, in Marco Ricci (a c. di), Pasolini e il «Setaccio», Cappelli, Bologna 1977, pp. 178-179.
[3] Ferretti, Saggio introduttivo a «Officina», cit., p. 4. Della rivista bolognese nel 1993 le Edizioni Pendragon hanno pubblicato una ristampa anastatica di tutti i numeri.
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