Nae Ionescu, La moda in filosofia

Nota del curatore

Presentiamo qui la traduzione della lezione d’apertura al Corso di storia della metafisica (1930-1931), l’unico corso di storia della metafisica che Nae Ionescu abbia mai tenuto nell’ambito della sua ventennale carriera didattica presso l’Università di Bucarest, di prossima pubblicazione in italiano.
Sullo sfondo della polemica con Rădulescu-Motru, polemica che vedeva contrapporsi la vecchia generazione alla «giovane generazione», la filosofia scientifica al misticismo, Ionescu presenta le metafisiche dello sciamanesimo, dello yoga, del sufismo fino ad arrivare alla metafisica greca – che fa solo in tempo ad abbozzare (il corso si interrompe infatti dopo dieci lezioni a causa di un congedo per motivi di salute) –, in una prospettiva morfologica, considerandole altrettanti modi di valorizzare l’esistenza tra i quali non esiste influenza né evoluzione, né tantomeno il progresso lineare e continuo che si riscontra presso le scienze esatte. Chi valorizza l’esistenza non è l’uomo astratto ma l’uomo vivo, concreto, condizionato dalla propria appartenenza culturale e dalle contingenze del momento storico all’interno del quale opera. Da qui, l’importanza della moda, in quanto rappresentativa di una realtà storica determinata e la necessità per ogni generazione di elaborare una propria metafisica.
Circolato tra gli studenti in forma dattiloscritta, a cura di D.C. Amzăr (1906-1999), che ne ha suddiviso il testo in paragrafi numerati e titolati, il corso ha conosciuto la sua prima edizione a stampa a cura di Marin Diaconu (1937-2025) e Dora Mezdrea (1956-2025) per l’Editura Anastasia di Bucurest nel 1996, in seguito riprodotta nel secondo volume delle Opere (EMLR, București 2017) e ora disponibile anche nel secondo volume delle Opere di Nae Ionescu pubblicate dall’Accademia Romena (FNSA, București 2020).
Per la presente traduzione abbiamo seguito la prima edizione del 1996, nella quale i curatori, per esigenza di brevità e chiarezza, hanno diversamente titolato i paragrafi in cui il corso è suddiviso.

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1. La moda come “momento storico”

Dopo che, per due anni, ho cercato di analizzare insieme a voi lo strumento conoscitivo della metafisica, ho annunciato, per quest’anno, una serie di lezioni sulla storia della metafisica [1]. Forse sarebbe stato naturale entrare direttamente nella considerazione sistematica dei problemi di metafisica e cercare di costruire una sorta di visione d’insieme dell’universo. Sfortunatamente però, io sono un uomo che sta categoricamente in filosofia sotto l’influenza della moda. E, come tale, ho voluto affrontare la questione di petto: un corso di storia della metafisica e non di metafisica, appunto perché vi rendiate meglio conto di cosa significhi, in ultima analisi, la metafisica, perché vi rendiate conto di quanto sia legata al tempo e quanto sia necessario, di conseguenza, il rapporto tra metafisica e moda.
Solitamente, la moda è considerata dai filosofi seri in modo piuttosto sprezzante [2]. Credo tuttavia che sia un torto che si fa alla moda; per il semplice motivo che la moda è una realtà le cui radici sono profondamente infitte nel momento storico e non possono essere strappate via tanto facilmente. Lungi dall’essere un’attitudine superficiale di fronte alla realtà, la moda è piuttosto il biglietto da visita di ogni momento storico. Dire che una cosa è di moda significa semplicemente affermare che esiste nell’attualità storica; non che sia qualcosa di superficiale, di non serio, di futile.
È vero che, allorquando parliamo di moda, noi pensiamo più che altro agli abiti da signora, ma questo dimostra soltanto la nostra mancanza di serietà nella comprensione delle realtà; perché, così come gli abiti da signora cambiano da un anno all’altro, allo stesso modo cambia il nostro atteggiamento, il nostro modo di valorizzare l’esistenza in generale.
Vedete dunque un che di contraddittorio nell’atteggiamento delle persone che combattono la moda; cioè il fatto che, per un verso, considerano la moda come rappresentativa di una realtà storica, e per l’altro, scavano proprio alle radici della storia e affermano che la moda sia una sorta di reazione di massa: qualcuno lancia una formula che tende a generalizzarsi in virtù del potere di suggestione che l’inventore di questa formula possiede. Magari è vero; ma vorrei sapere in che misura questo fenomeno che si verifica nel mondo dei valori sia diverso da tutti gli altri fenomeni che accadono nella storia.
Voi, che sapete molta più sociologia di quanta ne sappia io, ricordate che alla base dell’intera attività umana e alla base della costruzione della società come realtà organica e come unità organica sta sempre un atto di imitazione [3], che è, appunto, la fruttificazione dell’atto di invenzione. Fin tanto che un atto è unico, esso rimane semplicemente individuale, non è ancora sociale. L’atto comincia a diventare sociale in senso proprio allorché è passibile di imitazione. E se, davvero, l’imitazione sta alla base di quest’atto sociale, allora è ovvio che la moda, la quale non è altro che imitazione, è un fenomeno caratteristico della vita sociale in generale.
Si dice, inoltre, che da noi si sia creata una specie di corrente favorevole ad alcune tendenze che non sono molto opportune. Ma anche qui c’è un errore. Cosa significa opportuno e inopportuno? Si dovrebbe dire normale e anormale, ma la normalità e l’anormalità di un fenomeno non hanno niente a che fare con la valorizzazione dal punto di vista morale di questo fenomeno. Ad esempio, è normale che in una società sottonutrita, le persone si ammalino di tubercolosi. Che sia bene o male, questa è un’altra faccenda. E viceversa: quando una società è supernutrita e si ammala di tubercolosi, allora abbiamo a che fare con una anormalità, mentre quando è sottonutrita e si ammala di tubercolosi, abbiamo a che fare con una normalità. Chi osserva i fenomeni nel loro concatenarsi e voglia portare al massimo il loro rendimento, costui dovrà preoccuparsi tanto della società sottonutrita che non si ammala di tubercolosi, quanto della società supernutrita che si ammala di tubercolosi. L’anormale va sempre tralasciato.
Se emerge e si fa strada un atto di invenzione personale, vuol dire che esiste il mezzo corrispondente, significa che esso corrisponde in un certo senso a una necessità esistente in forma latente nella vita sociale e significa, soprattutto, che quell’atto di invenzione non è, in senso proprio, un’invenzione personale, bensì, semplicemente, la formulazione di una tendenza che esiste di fatto, costitutivamente, nella massa sociale. È questa la genesi di tutti i fenomeni sociali che solitamente chiamiamo correnti, moda, movimenti.

2. La moda della corrente orientalizzante nella filosofia romena di oggi

Cosa vuol dire che certe correnti o tendenze che sono di moda oggi vanno accantonate? Con cosa misuro io queste tendenze, per sapere se sono da accantonare oppure no? E qui veniamo al problema che è stato affrontato di recente in Romania e nell’ambiente universitario e che è prezioso per il vostro orientamento. Si dice, ad esempio, che, oggi, in Romania esista una corrente orientalizzante [4] e che questa corrente sia la più grande sciagura che abbia mai minacciato l’anima palpitante della giovane generazione. Io non so cosa voglia dire corrente orientalizzante, non so se, davvero, la corrente odierna sia orientalizzante oppure no. Mi chiedo però: con che cosa volete sostituire questa corrente orientalizzante, ammesso che esista, o qual è la formula normale che ci presentate voi?
Quando si tratti di formulare questa linea ideale, da cui debbono muoversi le tendenze della nuova generazione, allora ci vien detto che è la linea sana della ragione. Non dico che questa ragione non abbia una linea sana; mi chiedo però: se era tanto sana, perché l’abbiamo abbandonata, visto che di buona salute non si è mai ammalato nessuno; e, per quanto strani si sia noi oggi e per quanto labile sia il nostro equilibrio, è difficile ammettere che siamo giunti al punto da scambiare un soldo d’oro buono con uno falso. Per quale necessità abbiamo lasciato il soldo buono per prendere l’altro falso, per quale necessità abbiamo rinunciato all’uovo di oggi per la gallina di domani [5], presupponendo che l’uovo sia la ragione? È facile combattere una tendenza, ma bisogna rendersi conto del perché sia sorta questa tendenza; perché, cioè, adesso non voglio aver a che fare con la ragione e ritengo che non sia più sufficiente in un determinato ambito delle mie preoccupazioni?
Se discutiamo la questione, facciamolo seriamente. Quando qualcuno vuole fare una polemica, la correttezza è d’obbligo; orbene, la mia impressione è che i nostri preopinanti non ne mostrino a sufficienza. Noi non abbiamo fatto tabula rasa della ragione. Diciamo che la ragione esiste, che ha certe precise funzioni, e le determiniamo. Per noi, la ragione arriva fino a un certo limite; ma, oltre quel limite, se guardiamo alla realtà, scopriamo anche qualcosa d’altro rispetto ad essa e ammettiamo pure questo. Altri indagano la realtà nei libri, considerano più o meno quello che dovrebbe esserci e scoprono che è la ragione. Oltre alla ragione non v’è nulla? Non tremate quando considerate questo universo, quando vi avvicinate ad esso, quando combattete con esso, quando soccombete oppure vincete? All’infuori di questa ragione non c’è nient’altro? Qualcos’altro ci sarebbe, ma è la parte malata, perché non è ragione! Vedete il circolo vizioso: postuliamo che esista soltanto la ragione e poi eliminiamo tutto quello che non è ragione. Qualcosa è normale perché è razionale ed è razionale perché è normale [6]. Perciò, il normale si definisce attraverso il razionale, e il razionale, attraverso il normale. È la storia del cane che si morde la coda e gira intorno!
Questo è il ragionamento dei nostri preopinanti. Se loro vanno all’attacco, noi dobbiamo lasciar perdere l’attacco e andare alla realtà. Non abbiamo la minima intenzione polemica e il nostro compito è di entrare in contatto con la realtà, perché questa realtà ci conduce alla verità. Anche noi abbiamo letto dei libri a suo tempo, quando eravamo più giovani, e questi libri li abbiamo presi come dovevamo prenderli, vale a dire scritti da uomini come noi, con due mani, due piedi e una testa, quando c’è. Non crediate che qualcuno, perché ha scritto un libro abbia anche una testa! Il rispetto per i libri scritti è un segno di analfabetismo, la mancanza di rispetto di fronte a un libro ben scritto è indice di imbecillità.
Di conseguenza, il nostro problema è: perché noi oggi diciamo che esiste anche qualcos’altro al di fuori della ragione?
Io credo, per un motivo semplicissimo, perché, allorché ho avuto a disposizione questo strumento preziosissimo e magnifico, entro un determinato ambito di utilità, della ragione, e ho voluto applicarlo altrove, ha smesso di funzionare. Giacché, se non avesse smesso di funzionare, non ci sarebbe stato bisogno di cambiarlo o di metterlo da parte.
Ma io faccio ogni genere di concessioni ai nostri preopinanti, perché non ci mancano gli argomenti. Io dico che, davvero, siamo malati, e allora come facciamo metafisica da persone sane?
Non credete che sia normale che ciascuno risponda alla propria legge? Non credete che, davvero, tutto quello che noi pensiamo debba essere una nostra formula? Che tutto il precipitato di questo nostro pensiero debba essere, evidentemente, del nostro pensiero, che il nostro pensare sia un’attività del nostro essere? Credete che siamo uomini vivi che fanno metafisica su gente morta? Infine, questa formula ultima del nostro pensiero non dev’essere un’espressione di noi stessi?

3. I “momenti storici” nella storia della scienza

Vedete, io ho annunciato un corso di storia della metafisica; voglio, cioè, presentarvi determinate formule di valorizzazione dell’esistenza, così come si sono succedute nel tempo. Dal momento che esiste la storia della metafisica, significa che esistono delle posizioni – non direi successive, ma posizioni distinte – in metafisica. Ma, dal momento che esistono posizioni distinte in metafisica, significa che questa metafisica non è una.
Naturalmente, in ogni ambito dell’attività umana si può parlare di storia. Nell’ambito della matematica – considerata la questione superficialmente – esistono, senza dubbio, determinate successioni, esistono sistemi di pensiero matematico, i quali, anche se non si combattono tra loro, sono distinti gli uni dagli altri.
C’è tuttavia una distinzione tra queste successioni o varietà dei sistemi matematici e quelle dei sistemi metafisici. Una verità matematica – per semplificare la questione – ingloba un determinato numero di fatti; cioè, io enuncio una legge che si verifica per n casi; fintantoché la mia esperienza si riduce a questi n casi, la mia legge è valida. Noi però, quando, a un certo momento, scoprissimo un fatto nuovo, che non si ingloba più nella legge che possedevamo in precedenza e che consideravamo una verità definitiva, facciamo come il matematico? Ovviamente, il matematico cerca una formula che inglobi quegli n casi anteriori più il nuovo caso. Così avviene: la legge vecchia è inglobata in quella nuova, la legge vecchia rappresenta, potremmo dire, un caso speciale della legge nuova. Di conseguenza, il cambiamento nel pensiero matematico è costituito da una specie di movimento progressivo e integrativo; ossia, ogni posizione del pensiero matematico si integra in quella immediatamente seguente, così che il pensiero matematico si muove lungo la stessa linea.
Esistono tuttavia differenze storiche; la storia è unilineare. La meccanicadi Newton ingloba la meccanica tolemaica, che è solo un caso speciale; la meccanica di Einstein ingloba la meccanica di Newton, che è solo un caso speciale.
In filosofia, in metafisica, la cosa non avviene così: io oggi enuncio un sistema di metafisica, che rappresenta una valorizzazione dell’esistenza, e dopo un po’ di tempo viene un altro che enuncia un altro sistema di metafisica, che non ha niente a che vedere con il precedente. Passano altre due, tre generazioni e viene un terzo, che formula un sistema di metafisica con punti comuni con quello precedente. La successione dei sistemi metafisici, cioè, non è regolata; e, comunque sia, il pensiero metafisico dell’umanità in genere non si integra, non si muove lungo la stessa linea, bensì è sparpagliato.
Questo fatto non è privo di significato; perché, dal momento che il pensiero metafisico non si può inquadrare in un movimento, direi progressivo – sebbene io non comprenda troppo bene questa parola e vedremo perché –, se il pensiero metafisico non si può integrare in un movimento progressivo, allora essa non può nemmeno essere considerata un’attività che avanza di momento in momento, di posizione in posizione, verso una posizione ultima.
Il pensiero matematico può essere considerato come una specie di passaggio al limite, direi. Non esiste rivoluzione nella scienza. Nella metafisica sì. La matematica progredisce lentamente, poco alla volta, e diciamo che, all’infinito, questo pensiero può raggiungere, in qualche modo, l’assoluto matematico, cioè un assoluto valido per tutti, entro il quadro del pensiero matematico e nel quadro di applicabilità di questo pensiero.

4. I “momenti storici” nella storia della metafisica

Nella metafisica, le cose non stanno così, non esiste movimento di avanzamento del pensiero. Ogni momento rappresenta un assoluto, ogni momento metafisico significa un assoluto, e questa verità vi prego di tenerla a mente.
Allora, voi vedete come ciò si leghi con la moda. Il pensiero metafisico è un pensiero che parte sempre da un determinato fermento spirituale, direi, ed è espressione di questo fermento spirituale, non nel senso del nostro orientamento nella realtà, non nel senso di un dominio da parte nostra su questa realtà, bensì nel senso del nostro confronto con la realtà [7].
Noi ci troviamo faccia a faccia con la realtà e ci confrontiamo: cerchiamo di collocarci in essa o cerchiamo di collocare essa in noi e cerchiamo una formula di convivenza per l’uomo vivo. La realtà è anch’essa viva, e questa realtà si erge di fronte all’uomo come qualcosa che gli si oppone. Ebbene, questa dualità, l’individuo e la realtà esteriore, pone un determinato problema; quello cioè, che non puoi stare in equilibrio fintantoché non trovi la possibilità di riconciliarti con la realtà esterna, fintantoché non trovi la possibilità di collocare quella in te o di collocare te in quella, il che è la stessa cosa dal punto di vista dell’equilibrio.
La metafisica è un continuo confronto dell’uomo con se stesso e con la realtà che gli si impone. Questa preoccupazione metafisica muove da una sorta di necessità interiore. Questa necessità ha un rapporto immediato con la mia vita organica, si rifrange e colora questa vita organica in un certo modo; ma posso menare una vita organica senza avere preoccupazioni metafisiche. La preoccupazione metafisica è specificamente umana, ma non umana in generale [8], perché soltanto gli uomini fanno metafisica ma non tutti gli uomini fanno metafisica. Laddove esiste, rappresenta una lotta continua con la realtà che si oppone, perché deve condurre a una formula di equilibrio, deve rappresentare un assoluto. Vedete però che le condizioni in cui si dà questa lotta sono specifiche. 
Chi lotta con la realtà? Non l’uomo in generale, bensì l’uomo concreto, l’uomo vivo, ognuno di noi, così come ci chiamiamo, come siamo vestiti, da dove veniamo, dove viviamo. L’uomo vivo, concreto, costui sta in connessione con la realtà. L’uomo astratto, l’uomo scientifico non entra affatto in contatto con la realtà. L’uomo vivo significa l’uomo differenziato, non l’uomo con la U maiuscola, che non esiste da nessuna parte, bensì l’uomo differenziato, così come lo incontriamo per strada, al bar, in biblioteca – se ci andiamo! – e via discorrendo. Essendo quest’uomo differenziato, se, davvero, la preoccupazione metafisica è condizionata dalla differenziazione degli individui, allora anche le soluzioni a cui giungiamo nella lotta con la realtà sono differenziate.
Vedete, esiste per noi la necessità di lottare con la realtà, e questa necessità deve condurre, infine, a un assoluto; ma è un assoluto che ha validità solo per noi, cioè, nel quadro della lotta, così come questa lotta tra me e la realtà è stata determinata da elementi concreti, non da quelli astratti, generali, il che significa che, in metafisica, esistono, davvero, tante soluzioni quante possibilità di differenziazione esistono nel genere umano. In altri termini, la preoccupazione metafisica offre questo spettacolo molto strano per cui, fino all’ultimo, si deve ammettere la possibilità dell’esistenza di un numero di soluzioni assolute infinitamente grande.
È ovvio che, così presentata, la formula è contraddittoria; in realtà però, non lo è affatto, perché questo assoluto significa, semplicemente, un assoluto valido per me, cioè un assoluto in profondità, e non un assoluto in estensione.
Se le cose sono così come le presento io, allora la questione della storia della metafisica è penosa, perché, laddove si tratta di un numero di soluzioni infinitamente grande, non possiamo più studiare queste soluzioni. Sì e no, perché nella massa di queste differenziazioni degli individui, esistono possibilità scritte di raggruppare e riunire, possibilità che sono date, in un certo senso, dall’identità delle condizioni storiche. Le persone che vivono nella stessa famiglia hanno, solitamente, una stessa aria di famiglia; quelle che vivono sulla stessa terra hanno, di nuovo, determinate affinità strutturali; esiste, di conseguenza, la possibilità di constatare l’esistenza di alcuni gruppi reali, concreti, non astratti, bensì di alcuni gruppi con radici nella realtà, che si costituiscono in due tipi: spaziale e temporale.
Esiste, perciò, una coloritura del tempo e una dello spazio, nella struttura umana, in generale. Questa coloritura del tempo e dello spazio è quel che noi chiamiamo l’attualità storica o, con un termine più esatto, il momento storico, mentre il momento storico formulato ci dà quel che si chiama la moda.
Vedete perciò che la moda non è poi così frivola e da accantonare.
Insomma, perché credete che oggi non andiamo più in giro con i pantaloni corti, le calze lunghe, con merletti e spada? Non perché non ci piacerebbe più; no, io credo che sia più bello, ma noi non lo facciamo per un altro motivo: perché abbiamo adottato questi abiti, che sono la stilizzazione delle bluse degli operai. Vi immaginate degli operai di fabbrica muoversi tra i macchinari con degli abiti a coda?! Sicché abbiamo adottato questo tipo di vestito, che rappresenta la stilizzazione della blusa del lavoratore, perché il ritmo della società moderna è condizionato dalla produzione meccanizzata.
Poi, vengono le persone serie e si domandano se non sia indecente che le signorine vadano in giro con abiti corti. Non lo è, perché ora vanno in giro mentre prima stavano a casa e cullavano il bambino con il piede e potevano portare vestiti lunghi; oggi bisogna muoversi molto e c’è bisogno di abiti che si portino più comodamente, ed ecco perché i vestiti di oggi sono più corti. È bello che le signorine vadano in giro coi capelli corti? È bello, perché non hanno tempo di pettinarli e di farsi i bigodini la sera.
Così che, vedete, la moda non è, in verità, una moda, bensì la moda è una forma specifica di vita, imposta dalle condizioni generali. Ora, è evidente che se il sarto dice che oggi il risvolto di un abito si porta più lungo, questo, è naturale, è la fantasia creativa dell’uomo, che cerca ovunque variazioni. E al tempo in cui da noi si portava la giubea [8] delle persone serie, che quelle persone rimpiangono, credete che non presentasse una varietà altrettanto grande di quella che presentano gli abiti e i vestiti di oggi? Altrettanto grande, solo che noi giudichiamo in modo semplicistico. Quando vedi per strada un cinese e dopo tre giorni un altro, ti domandi se sia sempre lo stesso oppure no. Noi non riusciamo a stabilire immediatamente la differenza, ma, se vedo uno di noi in strada e dopo tre giorni ne vedo un altro, dico che non è più quello dell’altro ieri. Allo stesso modo, tra i vestiti di oggi vi sono delle differenze sensibili, mentre tra i mantelli del passato noi non facciamo più differenza, ma questo non significa che non ce ne fosse. Di conseguenza, la moda è una realtà, e le variazioni all’interno della moda non hanno niente a che fare con la frivolezza o la serietà del fenomeno che si chiama moda.

5. Il superamento del “momento storico” – legge inesorabile nella successione delle generazioni storiche

Io, tuttavia, da queste considerazioni, voglio dedurre qualcos’altro, cioè: quale sia l’origine dell’esistenza di questo atteggiamento contro la moda in filosofia. Io credo che sia semplicemente il fenomeno naturale che si verifica dappertutto: la sclerosi.
Si dice spesso che l’America sia il paese del progresso e della mancanza di tradizione. È inesatto. Si dice che in America, accanto agli impianti più perfezionati, nei quali si è attuata la razionalizzazione, il taylorismo, esistano impianti assolutamente vecchi, in cui si lavora come si lavorava settant’anni fa.
Ebbene, nessuno può convincere il proprietario di un impianto che lavora come settant’anni fa che sia meglio lavorare come lavora Ford nelle sue officine.
Così anche per la filosofia: io non posso convincere qualcuno che ha imparato all’estero trecentoventicinque anni fa che il momento storico di oggi è altro da quello di trecentoventicinque anni fa. Probabilmente i suoi professori gli hanno insegnato così; e siccome il nostro filosofo non è abituato a pensare da solo, è rimasto all’idea del maestro di trecentoventicinque anni fa.
Vedete, di conseguenza, la moda significa l’espressione del momento storico. La resistenza alla moda significa, semplicemente, l’incapacità di adattarsi al momento storico, l’incapacità di vivere la vita al suo ritmo. Quel che dico io degli uomini di trecentoventicinque anni fa lo direte voi di me, domani; e io sarà uno sclerotizzato, perché, davvero, io vivo l’epoca di oggi, ma la fatalità che giace in voi è di superarmi, perché il tempo corre e perché io mi sono fissato in un determinato periodo, che per voi non è stato essenziale.
È naturale che si succedano periodi nella storia e che ciascuno di noi si identifichi con un periodo e si ancori in quel periodo, siamo rappresentanti del periodo che ha presieduto, in un certo senso, alla coagulazione definitiva della nostra struttura.
Perché, in ciascuno di noi, vi è una lotta continua ogni giorno, questa lotta continua, per via dei sentimenti, delle impressioni, delle idee e così via fino alla fine, slitta in un quadro, che, col tempo, si fissa. Quando noi siamo giunti alla soluzione che rappresenta la verità, ci siamo anche fissati, ma, nel momento in cui ci siamo fissati, siamo morti.
Questo è il lato tragico rappresentato, dal punto di vista storico, dalla metafisica.
Ciascuno dei nostri antenati è per noi un uomo morto e nessuno ci è mai potuto essere utile in nulla. Quando iniziamo la lotta metafisica, niente di quello che ci ha preceduto ci aiuta. Ci guardiamo attorno e non vediamo nessuno. Dopo essere giunti a equilibrarci, allora la formula definitiva del nostro sistema metafisico è, allo stesso tempo, la nostra pietra tombale.
Di conseguenza, io capisco la rabbia, il rancore, la mancanza di comprensione di chi ci ha preceduto nei nostri confronti. Questo non significa che anche noi dobbiamo manifestare nei loro confronti la stessa mancanza di comprensione. Non possiamo manifestarla, perché noi siamo vivi e loro sono morti, e un uomo morto sta sempre peggio di un uomo vivo, e perché sappiamo che anche noi moriremo domani e chiediamo a coloro che verranno dopo di noi la stessa indulgenza che oggi dobbiamo mostrare a coloro che ci hanno preceduto.
Signori, non fatevi illusioni, non pensiate che, se sono d’accordo con voi ora, ci siamo intesi una volta per tutte. Nella misura in cui siete persone vive, voi mi supererete e il nostro accordo di oggi – che può dipendere anche dalla piacevole vicinanza che avete, e dal caldo che c’è qui, e dalla mancanza di occupazioni esteriori, e dalla poche preoccupazioni interiori – l’accordo di oggi è un accordo posticcio; domani non esisterà più, domani mi supererete, avrete persino il dovere di superarmi, nella misura in cui siete vivi e nella misura in cui io debbo giungere alla soluzione assoluta del mio modo di vedere e debbo morire, perciò, prima di voi.
Signori, io ho detto queste cose crude, al punto che è parso che scherzassi. Io non ho scherzato affatto e allorché sono costretto a manifestare la mia posizione contro alcuni attacchi venuti da parte dei vecchi, lo faccio e bisogna che lo faccia con malinconia che mi procura la certezza che io mi troverò domani nella stessa situazione nei vostri confronti.
Anche se io prego Dio di conservarmi sempre abbastanza fresco di mente, tanto da non dimenticare quel che vi ho detto oggi, da non dimenticare cioè che domani voi avrete il diritto di trascurare la vostra solidarietà col vostro momento storico e, di conseguenza, il diritto di gettarmi alle vostre spalle. Ciò in cui io credo tuttavia di esservi o potervi essere veramente utile è che rappresentando davvero un punto di vista in consonanza con l’atmosfera e con la struttura della vita di oggi in generale, io rompo un tipo vecchio, che tendeva, in qualche modo, a opprimere la vita e a erige una barriera alla realtà, affinché voi, collocandovi nel suo flusso, giungiate alla sponda che vi è propria.

Nae Ionescu
Traduzione e presentazione a cura di Igor Tavilla
(n. 12, dicembre 2025, anno XV)


NOTE

[1] Riferimento ai corsi di metafisica tenuti negli anni 1928-1929 e 1929-1930, rispettivamente Curs de metafizică. Teoria cunoștinței metafizice. I. Cunoașterea imediată e Curs de metafizică. Teoria cunoștinței metafizice. I. Cunoașterea mediată. Cf. N. Ionescu, Opere, vol. II, a cura di Marin Diaconu e Dora Mezdrea, EMLR, București 2017, pp. 7-143 e 145-236.
[2] A distanza di un anno dalla morte di Nae Ionescu la rivista bimestrale «Pan. Literatură. Artă», diretta da George Acsinteanu e Remus Țincoca, riproduceva integralmente la prima lezione del corso di storia di metafisica a partire dal secondo paragrafo. Cf. N. Ionescu, Moda în filozofie, «Pan», a. 1, n. 3, 1-15 aprilie 1941, pp. 1-2 e 8. Nello stesso numero, sono dedicati a Ionescu un articolo di Mircea Vulcănescu, Amintiri universitare. Ulysse printre sirene, uno di Mircea Eliade, Funcțiunea socratică a lui Nae lonescu, e uno di Alexandru Constant, Mărturii despre Nae Ionescu.
[3] Riferimento alla teoria sociologica classica dell’imitazione di Gabriel Tarde. Cfr. G. Tarde, Les lois de l’imitation. Étude sociologique, Alcan, Paris 1890, 19217; ed. it. Le leggi dell’imitazione. Studio sociologico, a cura di Filippo Domenicali, Rosenberg & Sellier, Torino 2012.
[4] Nae Ionescu era a conoscenza dell’apertura di alcuni giovani intellettuali romeni verso la spiritualità orientale. Dal dicembre del 1928, Mircea Eliade si trovava in India e sul quotidiano «Cuvântul» pubblicava i suoi resoconti, talvolta riguardanti argomenti affini al Corso di Nae Ionescu, quali la mistica persiana e lo yoga.
[5] Traduciamo così l’espressione equivalente: «să dăm vrabia din mână pentru cioara din par», lett. “lasciamo andare il passero dalla mano per il corvo nei capelli”, che veicola il senso di accontentarsi del poco che si ha piuttosto che desiderare promesse più vantaggiose ma incerte.
[6] Eco della celebre tesi hegeliana «Tutto ciò che è razionale è reale. Tutto ciò che è reale è razionale», contenuta nella prefazione ai Lineamenti di filosofia del diritto del 1821.
[7] Nell’originale «în sensul judecării noastre cu realitatea». Qui e nelle righe successive Ionescu ricorre a quest’espressione mutuata dalla sfera del diritto (“venire a giudizio con la realtà”), che traduciamo fuor di metafora.
[8] Secondo il testo litografato alla base dell’edizione del 1996, la prima parte della frase suona: “La preoccupazione metafisica è generalmente umana, ma non specificamente umana”. Seguiamo la lezione dei curatori, che hanno corretto il testo in funzione della consequenzialità logica del contesto della frase.
[9] Giubea (f.), termine di origine turca, indica una lunga e ampia mantella di stoffa (fine), spesso foderata di pelliccia, indossata un tempo dai boiari.