Cioran terapeutico: ermeneutica psicologica del pensiero negativo

Una lettura di Emil Cioran scatena sempre nel lettore sensazioni ambivalenti e contraddittorie. Non siamo in grado di capire perché un autore unanimemente (e superficialmente) considerato un pessimista e un nichilista radicale riesca a ispirarci un'euforia e un'esuberanza che sullo spirito hanno l'effetto di un balsamo tonificante. Riscontriamo in Cioran questa violenza, questa passione irriducibile, questa euforia degli Abissi, questa vertigine inebriante. L'ermeneutica delle lacrime formulata dal pensatore di Răşinari, la contemplazione del mondo attraverso lo scandaglio del Nulla che esso trasmette come una luce intermittente ogni volta che uno spirito coraggioso decide di guardare in lui e in sé l’Abisso, si può tradurre, come in Ruysbroeck, in languore spirituale o nella voluttà dell'eccesso come in Bataille. In Cioran, la conoscenza attraverso le lacrime è la conoscenza eccessiva (l'eccesso dell'Essere che ascende all'Impossibile, all'Irreparabile) e le lacrime sono quelle dell'estasi. Si compie in questo modo la funzione gnoseologica dell'estasi, sulla quale Cioran avrebbe scritto nella sua tesi di dottorato (in psicologia!) che stava progettando di realizzare alla Sorbona, quando nel 1937 arrivò a Parigi come borsista dell'Istituto Francese di Bucarest.

Nel suo ultimo libro, Terapia prin Cioran. Forţa gândirii negative, recentemente uscito presso la casa editrice Trei di Bucarest, Horia Pătraşcu ci fornisce sia una ricostruzione del percorso intrapreso da Cioran nella stesura del suo progetto di dottorato, sia una spiegazione illuminante di questa apparente contraddizione (generalmente liquidata attraverso l'etichetta lapidaria dell'effetto Cioran) che ci istruisce magistralmente sulle fonti della fascinazione dei testi cioraniani. La lettura del libro di Horia Pătraşcu ci sembra una brezza soave e rinvigorente nell'ambito dell'esegesi cioraniana. Il suo merito, tra tanti altri, è quello di demolire i pregiudizi interpretativi di lunga data ai quali i lettori di Cioran sono stati abituati fin d’ora e cioè quelli che dipingevano un Cioran in rotta con la filosofia (non solo con la vita), un Cioran pensatore antisistemico e paradossale.

Horia Pătraşcu abbatte definitivamente questo cliché: «L'idea che subito dopo la laurea Cioran sia fuggito, in seguito a parecchie notti insonni, dal cortile ordinato della filosofia alle foreste della letteratura, della mistica e della poesia dove si sarebbe inselvatichito, è la conferma che si tratta solo di un mito» (p. 50). Scopriamo dunque che Emil Cioran ha invece elaborato un sistema di pensiero coerente, una noologia, una psicologia dei sentimenti spirituali, metafisici dell'uomo, che ha catalogato con la massima sottigliezza analitica questi sentimenti, restando fedele alle proprie categorie interpretative lungo gli anni e nelle opere scritte. L'autore ci ricorda anche la grande influenza che Henri Bergson esercitò nel plasmare il pensiero cioraniano, un altro fatto sul quale la maggior parte degli esegeti hanno inspiegabilmente deciso di sorvolare.

Il merito più significativo di questo libro è tuttavia quello di proporsi come uno strumento quanto mai reale e pratico nell'ambito di una terapia spirituale basata sul cosiddetto pensiero negativo. Nell'attuale epoca dell'ipertrofia del pensiero positivo e della proliferazione tirannica di ogni sorta di manuale di sviluppo personale, self-help, autoeducazione e automotivazione, non ci è più permesso di ignorare la presenza costante e paradossale di un fenomeno che sta raggiungendo delle proporzioni sempre più inquietanti e che investe tutti gli strati sociali: si tratta ovviamente del fenomeno della depressione. Horia Pătraşcu non elude questo paradosso, anzi, l'autore ci propone sia un'analisi di questa realtà sconvolgente, sia una soluzione viabile, addirittura rivoluzionaria: la terapia con Cioran.

          Giova sapere dunque che la repressione di alcuni sentimenti naturali, che appartengono legittimamente alla struttura spirituale dell'essere umano, come la sofferenza, l'angoscia, la malinconia, la noia ecc. non può portare in alcun modo al raggiungimento di un equilibrio spirituale (come ci vorrebbe invece persuadere il pensiero positivo) perché nessun equilibrio potrà essere costruito sulle fondamenta di un'autoillusione. Tante voci parlano dell'effetto vertiginoso provocato dall'impatto con una simile concentrazione purissima di lucidità come quella prescritta dal terapeuta Cioran nei suoi libri, senza riuscire tuttavia a spiegare (e a spiegarsi) il mistero di questa forza. Horia Pătraşcu possiede il talento di decifrare con la massima naturalezza le ricette di guarigione spirituale, apparentemente ambigue, che Cioran ci ha lasciato in eredità, avendo ragione di credere che in questo modo sarebbe stato d'aiuto all'umanità. L'autore sottolinea che questa lucidità presuppone allo stesso tempo un immenso coraggio, quello dell'assunzione incondizionata, individuale, dell'umana sofferenza, dell'angoscia, del sentimento tragico della vita. Presuppone il fatto di portare questi vissuti fino alle loro ultime conseguenze, sulle più alte vette estatiche, lì dove si compirà una sorprendente alchimia spirituale: la trasfigurazione della sofferenza in felicità e beatitudine. Stiamo qui parlando del metodo agonico che l'autore estrapola dalla sua attenta analisi dell'opera cioraniana (e più precisamente dagli scritti in lingua romena), nella quale ci confronteremo con un Cioran vitalista, effervescente e passionale nell'affermazione del valore supremo della Vita, un Cioran che soddisfa contemporaneamente sia la sete di negazione dell'Intelligenza (il cioraniano «Dire a ogni cosa un no folgorante») che la sete di affermazione dell'istinto vitale. Il metodo agonico significa «tuffarsi nell'atteggiamento eroico della vita», significa la trasfigurazione «tragica e messianica» della disperazione, significa «la promozione dell'ardore». «La febbre dell'esaltazione messianica» mescolata alla «freddezza della lucidità» crea una lega metafisica che si traduce in pensiero esplosivo, «lama nuda» dello spirito che tramuta la sofferenza in beatitudine.

Del resto, la capacità quasi demiurgica, si potrebbe dire, di realizzare il salto metafisico dal polo della sofferenza a quello dell'estasi, di trasmutare l'infelicità in felicità, è una caratteristica delle anime virili. A questo proposito, così si esprimeva Lauretta Rensi Perucchi, col pensiero rivolto evidentemente al suo illustre marito, Giuseppe Rensi, un autore così vicino a Cioran, sia come pensiero (ricordiamo qui la sua principale opera, La filosofia dell’assurdo) che come temperamento: «Le vere sventure segnano d’un distintivo di grandezza e di nobiltà coloro che le portano nel cuore virile. Sono come certe croci solitarie, drizzate in vetta a montagne altissime, che sfondano l’azzurro del cielo con le loro braccia. E forse, in un certo senso, quelli che soffrono di un immenso dolore, sono meno infelici degli altri».

Ecco dunque una importante considerazione preliminare (se vogliamo un’avvertenza speciale), che ha bisogno di essere compresa prima della somministrazione della medicina Cioran: solo un animo coraggioso, realmente virile, può avere accesso alle rivelazioni del dolore che si trasforma in estasi. Cioran ci tiene a sottolineare più e più volte che il pessimismo degli uomini passionali è un pessimismo virile e che l’autentica virilità è quella capace di confrontarsi con il proprio dáimōn, con le tenebre e gli abissi del cuore, una virilità capace di trasformare una patologia in una eudemonologia, come ci spiega Horia Pătraşcu. In questo modo, quello che a prima vista può sembrare una malattia (il pensiero negativo è correntemente considerato una patologia ai giorni nostri) non ha bisogno di essere guarito ma piuttosto di essere portato a compimento:
«La terapeutica di Cioran rimanda alla conversione dello squilibrio negativo in uno squilibrio positivo, la trasfigurazione della patologia in eudemonologia. Lungi dal volere stabilire come meta degna di essere perseguita, il silenzio di prima dell’Essere, o quello del non-Essere, Cioran raccomanda la connessione, tramite l’emozione, all’intensità del flusso vitale. Gli elementi della trasfigurazione appartengono alla malattia stessa» (p. 289). Mentre le religioni e le varie correnti del positive thinking «prescrivono senza eccezione tranquillanti della vita interiore, il cui principio è sempre quello del raggiungimento dell’equilibrio tramite la diminuzione», la terapia di Cioran ci insegna «la grande arte della vita», quella che «consiste nel vissuto simultaneo delle sue contraddizioni, della finitudine e dell’infinito, del trascendente e dell’immanente, della coscienza della vanità del mondo e dell’appassionarsi per il mondo e per la vita» (p. 285).

Scriveva Cioran nel suo articolo del 1933, L’uomo senza destino: «Fino ad ora sono stati scritti solo inviti alla femminilità, vale a dire inviti alla rivolta capricciosa, inconsistente, inviti a facilitazioni e a un sospetto donchisciottismo. Ma la nostra virilità deve iniziare solamente lì da dove abbiamo perduto tutto e solamente da quando la vita non ci è più sembrata un’evidenza (...) Lo dico una volta per tutte: nella nostra disperazione c’è più speranza che nell’equilibrio piatto degli uomini senza destino e nella nostra morte c’è più vita che nell’armonia comoda degli uomini normali. Che il nostro unico orgoglio sia quello di avere destino e la nostra gioia sia quella di morire a causa della vita, della nostra vita insanguinata da una criminale e parossistica tensione».

Ecco dunque che il libro di Horia Pătraşcu ci appare in questo senso come una risposta provvidenziale al cioraniano invito alla virilità. La terapia con Cioran. La forza del pensiero negativo è un lavoro unico nel panorama letterario contemporaneo così saturo degli edulcorati testi-ricette che ci promettono la guarigione spirituale attraverso la coltivazione del pensiero positivo, quello che ci sembra ormai paradossale continuare a definire come positivo, dato che esso si basa su una negazione clamorosa (una repressione) conseguente alla diserzione dall’assunzione dell’Assoluto individuale e della continua creazione di sé stessi. Questa creazione passa necessariamente anche (o soprattutto) attraverso la sofferenza. Horia Pătraşcu ci aiuta a capire l’autentico messaggio dello psicologo Emil Cioran: «Ogni essere umano porta dentro di sé un mondo, un mondo che ha il dovere di portare in superficie, di creare, di far nascere».

Questo libro è rivolto a tutti, poiché il suo messaggio è in fondo il più antico messaggio della filosofia (la conoscenza e la creazione del Sé), il messaggio cioè della filosofia vissuta in maniera attiva, vitale, pratica e non quella del sistema filosofico irrigidito dalle costrizioni scientifico-accademiche, delle ideazioni “scolastiche, teoriche e indifferenti»: «Il rifiuto del sistema filosofico e di qualsiasi ideologia scaturisce da questa visione della continua creazione di sé – compito fatale dell’essere umano, dal quale però, così tante volte nella sua storia e nella sua vita l’individuo ha disertato» (p. 282).

Se la rassegnazione (e il suo inevitabile corollario: la diserzione) è fatalmente e atavicamente «uno dei più cari idoli dei rumeni» (p. 198), il libro di Horia Pătraşcu si presenta al contrario come una lettura vitalista dell’opera di Emil Cioran, una lettura in grado di portare alla luce tutto il potenziale euforico e trasfigurativo dell’irassegnazione e dell’ardore spirituale – je ne saurai jamais me résigner – era la parola d’ordine di Benjamin Fondane. La terapia attraverso la passione e l’ardore può essere ugualmente prescritta sia sul piano individuale che su quello collettivo, a un popolo affranto e plasmato dalla nullitudine come quello mioritico.

Il libro di Horia Pătraşcu ha la forza di una fulminante ermeneutica dei testi cioraniani. Esso si rivela una guida spirituale indispensabile attraverso la quale saremo in grado di scoprire come passare dal culmine della disperazione al culmine della beatitudine.



Amelia Natalia Bulboacă
(n. 9, settembre 2014, anno IV)