Lucian Boia: «Fine dell’Occidente? Verso il mondo di domani». Un best seller ora in italiano

Lucian Boia, uno dei maggiori storici della Romania post-comunista, esce per la prima volta in lingua italiana con l’agile saggio intitolato Fine dell’Occidente? Verso il mondo di domani (Sfârșitul Occidentului? Spre lumea de mâine), presentato al Salone del Libro di Torino 2014, dalla casa editrice Ediesse (collana DOXXI). L’edizione originale è stata pubblicata dalla casa editrice Humanitas di Bucarest nel 2013.

Personaggio per certi aspetti controverso, Lucian Boia appare sulla scena culturale romena post rivoluzionaria nel 1997, grazie al saggio Istorie și mit în conștiința românească edito dalla Humanitas (Storia e mito nella coscienza romena); sebbene i suoi lavori anti-comunisti pubblicati dopo l’89 fossero già noti, sarà Storia e mito nella coscienza romena a consegnargli la notorietà, imponendosi come nuovo riferimento importante nell’analisi della storia nazionale romena. Da allora, in quasi vent’anni di studi e pubblicazioni (molti dei quali veri e propri best seller, accompagnati spesso da polemiche), Boia si è affermato come uno dei maggiori studiosi dell’immaginario e dei miti nazionali (dal comunismo al nazionalismo, dalla democrazia alla fine del mondo), proponendo spesso teorie innovatrici, se non provocatrici. E Fine dell’Occidente non fa eccezione.

Durante un’intervista per România Liberă, Boia dichiara che, dopo il 1989, con il comunismo alle spalle, avrebbe detto solo la verità. È naturale, lo storico si riferisce alla manipolazione sistematica della realtà, attuata dal regime ceaușista a tutti i livelli della vita pubblica e privata, e forse, in modo meno diretto, anche a ciò che sembra essere un dato costante dei suoi scritti. Nei temi e soprattutto nelle argomentazioni, Boia sembra spesso prediligere il ruolo di demistificatore, una sorta di smascheratore – spesso alquanto ironico – dei luoghi comuni e delle idee preconcette della storia (e l’analisi di miti e immaginari nazionali, in un certo modo, lo dimostra), che procede con il solo obiettivo della verità, contro manipolazioni, menzogne e omissioni.

In Fine dell’Occidente? Verso il mondo di domani, l’opinione di Boia sul declino dell’Occidente, contro la tendenza generale, è una negazione – l’Occidente non è finito – con la specifica che non si tratta della«fine del mondo, ma qualcosa che in un certo modo le assomiglia: la fine di un mondo.Un mondo tramonta e s’intravedono, come attraverso una cortina di nebbia, le forme confuse di un mondo nuovo». Come già accaduto dopo il crollo dell’Impero Romano, cioè di una grande civiltà tradizionale, dalle cui rovine è sorto il Medioevo e poi la modernità, ugualmente, sostiene Boia, l’Occidente «tramonta» nella misura in cui ha portato a termine la sua missione: l’invenzione di una società tecnologica e l’unificazione del mondo nel proprio modello.

Sorge allora la necessità di chiarire quale sia il modello occidentale, quali siano le sue strutture portanti e peculiarità, cosa insomma, secondo Boia, renderebbe l’Occidente «diverso» dalle altre civiltà coeve. Per prima cosa, e senza dubbio, c’è il cristianesimo, portatore di un nuovo modello «storico», non ciclico ma con un inizio e una fine assolutamente definiti, e in questo senso – quando le sue premesse saranno laicizzate – portatore di modernità e progresso: solo in un mondo interamente cristiano la parola di Dio troverà compimento e questo, nei fatti, spinge gli occidentali alla scoperta del resto del mondo: «al margine orientale della Terra, nelle rappresentazioni medievali si trova il paradiso terrestre. L’ha cercato Colombo, come ha cercato l’oro dell’Oriente. E alla fine ha scoperto qualcosa di completamente diverso: l’America».

Ancora, in seno alla società occidentale, per la prima volta rispetto a società anche molto più sviluppate culturalmente, le conoscenze scientifiche sono applicate alla tecnica, passando dalla speculazione scientifica alla ricerca scientifica: l’Occidente come laboratorio del mondo («molto materialista, l’Occidente…»). Strettamente connessa a quest’ultima, Boia specifica ancora una caratteristica tutta «occidentale», l’idealismo («…e indicibilmente idealista. Molto più idealista e più materialista di qualsiasi altra civiltà»).

Certo, l’Occidente ha anche molte colpe, incancellabili, e Boia – sebbene sostenga in modo appassionato il ruolo principale dell’Occidente nel progresso dell’intero pianeta – non può evitare di ricordarle. È vero, l’Occidente ha insanguinato il pianeta con le guerre mondiali, l’ha messo in catene e l’ha frammentato in razze e generi ma ha anche saputo pentirsi e chiedere scusa, forse anche in modo eccessivo; «quanto è diventato modestol’arrogante Occidente d’altri tempi!» ironizza Boia a proposito della situazione attuale. La condotta generale, infatti, sebbene sia di «uguaglianza su tutta la linea» teorica, nella pratica rimane piuttosto simbolica, restituendoci un Occidente che l’autore ritiene alquanto soffocato dal politically correct: sembra che ogni differenza debba essere necessariamente eliminata («ciò che è anche solo un po’ diverso potrebbe non essere rigorosamente uguale») e, spiega lo storico, la questione della donna e quella delle razze, il modo in cui le differenze siano cancellate e rinnegate, ne sono esempio lampante.

Quanto detto finora rende Fine dell’Occidente? Verso il mondo di domani un testo piuttosto «scomodo» e molto provocatorio agli occhi del pubblico occidentale, come riconosciuto dal direttore della collana DOXXI, Prof. Antonio Cantaro che, in un’intervista per Fondazione Critica Liberale, spiega come gli argomenti di Boia tradiscano una certa nostalgia «eurocentrica» da tempo superata nel dibattito storico. Staremo a vedere quale sarà l’accoglienza del pubblico italiano.

Un altro grande argomento del saggio e della risposta in esso contenuta, riguarda il futuro: qual è il futuro dell’Occidente? Complicato rispondere a questa domanda, soprattutto perché (come ha cura di sottolineare lo storico più volte), banale ma vero, il futuro rimane tale contro qualsiasi previsione o statistica, vale a dire, sconosciuto. Possiamo proporre ipotesi, infinite ipotesi come infiniti sono gli elementi in ballo, ma oltre la speculazione o la possibilità, non rimane altro che vivere il presente. Un presente anch’esso complicato per un Occidente sempre più piccolo e, si direbbe, sempre più insicuro di fronte al proprio passato e al resto del mondo che una volta, nel bene e nel male, ha dominato.

A questo proposito, l’autore sostiene che «l’unica possibilità per l’Occidente, se non vuole affrettare il proprio declino e sottoscrivere la propria scomparsa, è ritrovare fiducia in sé e riscoprire il gusto dei grandi ideali che una volta l’hanno messo in moto». Sarà in grado di farlo? Nessuna anticipazione.



Clara Mitola
(n. 7-8, luglio-agosto 2014, anno IV)