Viaggiando in Romania con Laura Rainieri

Anche se l’ho desiderato, mai sono stata in Romania, e se prima d’ora potevo rammaricarmene, dopo aver letto il libro di Laura Rainieri Viaggio in Romania (Ed. Studia, Cluj Napoca, 2014), il mio desiderio di visitare questa terra è stato in parte appagato, in parte rinfocolato. Perciò ringrazio Laura che, con l’esperienza maturata nei suoi tanti viaggi, ha descritto in modo esaustivo questo Paese, come le parentetiche poste sotto il titolo – tra realtà fantasia e utopia – chiaramente informano. 
Chi legge questo libro entra subito nella spazialità e nella temporalità dei luoghi descritti, poiché fin dall’inizio viene preso per mano e sapientemente guidato, attraverso un iter geografico preordinato, nelle città e nei paesi che incontra, scoprendone la bellezza e le peculiarità, ma anche gli aspetti meno eclatanti. Dei luoghi, oltre i ritratti paesaggistici, sono offerte notizie su eventi storici, con annotazioni riguardanti in particolare la dittatura di Ceausescu. Queste notizie sono così amalgamate da divenire parte integrante del discorso, vivacizzandolo e, al contempo, favorendo la conoscenza di realtà territoriali che, per essere conosciute, hanno bisogno di venir considerate da varie angolature. Questa prerogativa, che mostra il lavorio di ricerca dell’autrice, costituisce un’importante particolarità nel racconto della Rainieri, la  cui lettura  mi ha riportato alla mente il libro Tra i boschi e le acque  dello scrittore inglese Patrick Leigh Fermor (1915-2011) dove, seguendo il corso del Danubio, il lettore viene condotto dall’Ungheria alla Romania: lo spettacolo di questa terra gli si offre attraverso una notevole varietà di notizie geografiche e di riflessioni personali. 
  
Il libro ha un’interessante prefazione del professor Stefan Damian, che lo ha tradotto in lingua romena con testo a fronte, come si fa con un libro di poesia. Ciò accresce l’interesse per la lettura, rendendo possibile un raffronto continuo tra la lingua italiana e quella romena, che procedono unite nella scrittura come fiumi, le cui acque confluiscono in un unico letto, oltre i cui argini vedono alzarsi paesi, città, monti, valli e pianure.
Il paesaggio viene ridefinito dall’autrice attraverso numerosi tasselli che, unendosi in un mosaico, offrono al lettore la possibilità di una completezza geografica e storica. Ad accrescerne la grazia, Laura inserisce un particolare tassello, quello letterario, di cui si avvale per citare due grandi poeti romeni: Tudor Arghezi e Nina Cassian. Rimbalzano dalle pagine alcuni versi della Cassian: «Questa è la nostra terra./ Siamo noi che abbiamo tracciato il disegno/ di queste acque e di queste montagne./ Ogni fiore qui è nato secondo le nostre indicazioni./ Il paesaggio porta la nostra firma».  
La visita in Ucraina non è stata possibile, nonostante vari tentativi: a Cernǎuti (Czernowitz) è nato Paul Celan, quando ancora la Bucovina apparteneva alla Romania. Qui ella, a proposito del desiderio di approdare in questa terra e dell’apprezzamento per il Poeta, si esprime così: «È un desiderio puro, perché nessuno potrà dire, più dei suoi versi: se ami qualcuno, vorresti calpestarne le orme». Attraverso la suggestività di questi «intermezzi letterari» meglio s’intende e si ama la personalità di Laura per la sua sensibilità poetica, tanto da sentire nostri, nell’anima, città e paesi mai veduti prima, percependone il genius loci, quel quidche trascende la visione di monumenti e palazzi e chiese per aprire l’animo a più intense emozioni. 

Di fronte ai Monti Carpazi Laura, quasi di rimando alle parole della Cassian, intesse nella filigrana della prosa alcuni versi suoi: «Così ci viene incontro a squarciagola/ con inni d gioia/ il pelo folto/ il manto di velluto/ a chiazze e macule di colori sgargianti./ […] Lietamente a braccia aperte/ si mostra/ e si rigenera./ A morire e a vivere insegnaci: Natura». 
Ammalia il fascino di una terra definita «bucolica oltre ogni  carisma», perché dalla forza di questa definizione il paesaggio incarna ciò che l’immaginazione suggerisce, rendendo possibile, attraverso l’idea della dislocazione in spazi altri esistenti da sempre, una folgorante percezione dell’eterno.
Si resta in contemplazione dinanzi ai Monasteri della Bucovina, dove si viene avvolti dalle luci delle lampade, e rapiti dalla suggestività delle icone. Ma ancora non basta a dire quanto la Rainieri ci faccia partecipi del suo viaggio, conducendoci anche in alcune case minuziosamente descritte, abitate da gente comune, dove assistiamo a spaccati di vita. Sono date notizie sui cibi, informazioni sull’ospitalità, testimonianze circa l’orgoglio degli abitanti i quali, pur avendo la loro terra fama di povertà, si svelano intrinsecamente generosi, nel segno di una notevole ricchezza interiore.
Ed eccoci in Transilvania, nell’arco dei Carpazi che terminano quasi inabissandosi nel Danubio, alle Porte di Ferro, com’è chiamata la gola che, scavata dal fiume tra i Carpazi e i Balcani, segna il confine tra la Romania e la Serbia. Qui si trova il famoso castello di Dracula, dove si ascoltano i racconti imbastiti dai ciceroni attorno alla figura vampiresca per tenerne viva l’immagine, rinfocolandone il mistero. 
Se qui trionfa il mistero, a Cluj-Napoca siamo invitati a una festa. È  l’8 marzo 2013, e  giungiamo nella capitale della Transilvania con l’autrice, che porta un grande mazzo di mimose dall’Italia perché in terra romena, pur così ricca di fiori smaglianti, la mimosa non cresce. La Direttrice dell’Istituto di cultura Italiano, dove la Rainieri è diretta, gliene ha fatto richiesta, per distribuirlo come dono alle donne. Anche perché Laura li ha informati che, con questi fiori, in Italia si festeggia la donna.

Per Rainieri, il viaggio non è mai fine a se stesso, ma scambio di esperienze con i popoli delle terre visitate, un altrove da conoscere, un insieme di tradizioni e di voci cui porgere ascolto. D’altronde Laura Rainieri è scrittrice che mai finisce di stupire perché dal suo ʻcilindroʼ estrae sempre un nuovo libro che, a seconda dell’ispirazione, è un romanzo, un saggio, un libro di poesia, e ogni volta, comunque ella declini le parole, l’opera affascina.
Sintetizzando, il fascino di Viaggio in Romania sta nel linguaggio che amalgama alle descrizioni paesaggistiche le sensazioni di gioia o di tristezza; sta nell’icasticità cromatica delle parole capaci di mettere in scena una sequenza di «quadri» che mostrano ogni aspetto del paesaggio; sta nella sostanza delle riflessioni che ne ampliano la conoscenza; sta nella capacità compositiva di strutturare in forma romanzata un’eterogenea quantità di informazioni, creando da questo tutto un unicum di chiara e piacevolissima leggibilità. È in tal modo che viene consentito al lettore di entrare in un particolare stato d’animo: quello di  chi è così coinvolto da quanto la scrittura «mostra» da credere di star davvero compiendo un viaggio in Romania. Ed è facile prevedere che, al risveglio di questa illusione, forse non pochi lettori intraprenderanno questo viaggio, per vedere dal vivo ciò che il libro propone e per appagare il desiderio attizzato dalla lettura.




Franca Maria Ferraris
(n. 1, gennaio 2015, anno V)
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