«Ana Macarena» di Daniele Semeraro, un romanzo-testimonianza

Se dovessi incorniciare Daniele Semeraro con una frase, quella più calzante sarebbe: «Intru unde e întuneric și fac lumină, fac viață». Ovvero, «Dove regnano le tenebre io do luce, io do la vita». Parole, dal vago sapore biblico, di Florin Hora, il «Bruce Lee» delle fogne di Bucarest, riferite a sé stesso, ma che ben si addicono all’autore di Ana Macarena (Castelvecchi Editore, 2018). Ed è dalle fogne o canali di Bucarest che Semeraro dà inizio al viaggio di Ana, alias Macarena per via di sua madre che amava quel tipo di ballo in voga nell’ultimo decennio del Novecento.

Ma chi sono i bambini delle fogne bucarestine? Per rispondere a questa domanda occorre risalire al tempo della dittatura di Ceaușescu. Il Conducător, tra le varie scellerate riforme, concepì nel 1966, con il Decreto 770, anche quella dell’abolizione dei preservativi e di ogni altro tipo di contraccezione, allo scopo di incrementare la crescita demografica del Paese. Naturalmente, questo stato di cose condusse a un picco di nascite indesiderate, con il risultato di bambini rifiutati da famiglie disastrate, spesso abusati e abbandonati per le strade o chiusi in orfanotrofi lager. Quando poi nel 1989 il comunismo cadde, il Paese si trovò con una miriade di problemi a cui far fronte per l’attuazione dell’incipiente democrazia e la problematica dei bambini di strada passò nel dimenticatoio. Fu così che molti di loro, sotto l’ala protettiva di «Bruce Lee», trovarono rifugio nei sotterranei di Bucarest dove passavano grossi tubi per il riscaldamento delle abitazioni, una sorta di grossi termosifoni con cui potersi riscaldare nelle fredde notti d’inverno. Una marea di bambini e adolescenti fondarono in tal modo una sorta di società parallela e sotterranea dove riparare e sniffare colla allucinogena (l’aurolac) da un sacchetto di plastica e i vapori che ne aspiravano davano loro un ottundimento che chiamavano ‘sogno’. Era come se non sentissero più il peso del corpo ed evanescenti si facevano pure i morsi della fame ma soprattutto i ricordi traumatici. Di giorno vagavano per Gara de Nord, la principale stazione ferroviaria di Bucarest, buscandosi denaro, per lo più in cambio di prestazioni sessuali con pedofili che arrivano dalla ricca Europa, ma anche da America e Canada.

Da questa realtà e da questi luoghi ha inizio la storia di Ana Macarena, che parte verso l’Italia a bordo di un pulmino in cerca del suo fratellino Marian, vittima anch’esso del mercato della prostituzione minorile nella «Milano da bere». Il suo vuole essere un viaggio della speranza, del ricongiungimento e, perché no, della svolta della sua miserabile vita, ma che si tramuterà, di pagina in pagina, in una odissea di soprusi e violenze. Ana viaggia da Bucarest fino alle campagne di Puglia, dove inizia la sua schiavitù, per poi portarsi, mesi dopo, in terra di Sicilia che ugualmente la vedrà triste protagonista di violenze e maltrattamenti a opera di sprezzanti ‘padroncini’ e caporali spietati. Liberatasi con alterne fortune, giunge nella rinascimentale Firenze, dove vedrà uno spiraglio di vita ‘normale’ grazie a Cenzo: un ricco albergatore di mezza età, narcisista e manipolatore, che la legherà a sé, con un amore malato, sfruttando le sue paure e le sue inquietudini. Sarà Cenzo, infatti, a ricongiungerla poi con suo fratello Marian. Ma anche questo nuovo capitolo dell’esperienza fiorentina si dimostrerà col tempo una sterile speranza, che tuttavia Ana coltiverà religiosamente ancora e sempre, schiudendo in sé quel mistero che abita la realtà con la rassegnazione dell’attesa. Lei non riuscirà mai, nonostante le ingiustizie e i fallimenti, a ribellarsi o, meglio, frena consapevolmente la sua voglia di rivolta. La frena perché per lei che veniva dalle fogne niente è peggio di quel che aveva lasciato.

«Noi figli delle fogne abbiamo un rapporto particolare col Signore, con la sua opera, con la sua presenza. Per noi Dio è rassegnazione. Siamo nelle sue mani e sappiamo per certo che Lui è grande, come sappiamo che dobbiamo morire».
Ana Macarena, sapeva di dover morire, prima o poi. È naturale morire. Innaturale è morire prematuramente come è toccato a lei nel finale del romanzo. Avendo confidato fino all’ultimo nella vita. Lottato per essa e per un soldo di felicità.
Anche in questo romanzo Semeraro, come è nel suo stile, usa il cavallo di Troia della letteratura per denunciare tutte le male-dinamiche sociali che investono l’essere, detto umano. Ne consegue che Ana Macarena possiamo considerarlo, a buon diritto, una sorta di reportage che dall’infanzia negata nella Romania post Ceaușescu ci porta dritti al nostro Paese con l’irrisolto fenomeno dell’immigrazione e certa sua disumana «gestione».

Ma, oltre ad essere un acuto osservatore del nostro tempo, Daniele Semeraro è soprattutto un grande affabulatore. La sua autentica capacità di narrare Storie è data dalla sua stessa scrittura che è un atto d’amore per la parola come testimonianza. Come nella vita, egli è uno scrupoloso «pater familias» dei suoi personaggi: di quei vinti che ha a cuore e di cui sente l'innato bisogno di amare e di raccontarli per dare loro esistenza a dispetto degli eventi avversi. E lo fa con la scrittura esattamente come quando lo senti parlare: pensoso, con voce calda e bassa, e quel velato accento apuliano che sa di terra riarsa, di fatica. Terra di oralità e di speranza. «Ogni vinto – come disse in una intervista – è il simbolo di una sconfitta, ma la forza per non affondare alla fine esce. Spetta alla collettività far sì che queste persone assumano la dignità di essere considerate Vite». E come parte della collettività, Daniele Semeraro dà il suo apporto come meglio sa fare: con i suoi libri e la sua sensibilità.


Daniele Semeraro nasce a Locorotondo nel 1977. Vive a Martina Franca fino al 2012 quando si trasferisce a Firenze. Nel 2011 pubblica per Lupo Editore il suo primo romanzo: Scrivere polvere. Il secondo, Nel segno di Caballero, esce nel 2014 con lo stesso editore. Con Non è adesso, Na’ jé m’  nel 2014 è tra i vincitori del premio «La Giara» indetto dalla Rai. Il romanzo è stato in seguito pubblicato da Rai Eri nell’aprile 2015. Nel 2018 è la volta di Ana Macarena, finalista nel 2019 del Premio Presìdi del Libro «Alessandro Leogrande». Del 2021 è L’ultima perla del filo, Pubblicazione Indipendente - Firenze.






Giovanni Abbate
(n. 11, novembre 2021, anno XI)