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 |  | Badanti romene: un libro per conoscere molte storie di casa nostra
 
  Sono poco meno di un milione e quasi non c’è  italiano che non ne abbia conosciuto una, magari di nome o di viso. Sono le  badanti romene, protagoniste in Italia di molte storie, spesso luminose,  talvolta opache. Ma cosa sappiamo realmente di loro e della loro vita? Cosa c’è  dietro i loro nomi e, spesso, i luoghi comuni che le riguardano? Non ci si lasci ingannare dalla seconda parte, fuorviante e sdolcinata, del titolo, perché il libro Badanti romene, ambasciatrici d’amore (Viola Editrice, Roma 2015) è  un’opera di grande interesse, assolutamente da leggere e sperabilmente da  tradurre e pubblicare anche in Romania. Lo firmano Giancarlo Germani, avvocato  impegnato da anni nelle problematiche della comunità romena presente in Italia,  e Alexandra Cristina Grigorescu, giovane conduttrice televisiva a Roma.
 «Lo scopo  principale di questo libro – sottolineano gli autori  – è quello di far conoscere meglio una figura  controversa nella società italiana, ma piena di umanità e che merita il  rispetto generale: la badante romena. I media italiani, soprattutto in questi  ultimi anni, hanno evidenziato all’attenzione pubblica, solo alcuni aspetti,  generalmente i più discutibili della comunità romena, ponendo in una luce  spesso ambigua soprattutto le lavoratrici del settore domestico e  dell’assistenza familiare. Parliamo di donne di tutte le età, spesso non più  giovani, che hanno lasciato il loro paese natale, la Romania, le loro  tradizioni, la loro cultura e le loro famiglie, per venire in Italia alla  ricerca di condizioni di vita migliori. La ricerca di un posto di lavoro in una  casa italiana era ed è motivata dalla necessità di poter mandare i figli  all’università, di comprare una casa, di aiutare la famiglia dei figli ad  affrontare le spese degli studi dei nipoti, di migliorare, in poche parole, il  tenore di vita delle proprie famiglie».
 
 Come vivono abitualmente le loro giornate, con  quali problemi si confrontano, quali speranze, illusioni, amarezze,  soddisfazioni sono il pane quotidiano delle nostre badanti? E come sono viste,  tanto in Romania, quanto in Italia? E che dire degli scandali e degli abusi,  sia da parte di chi le chiama in casa propria, si da parte loro in casa altrui?  Queste donne, con un nome e una storia non di rado avvolte nella nebbia  dell’indifferenza o del pregiudizio, sono spesso protagoniste di grandi pagine  di umanità. Come anche del contrario, talvolta. Il libro di Germani e  Grigorescu tratteggia i diversi aspetti e dimensioni della vita e del lavoro  delle badanti, senza eluderne nessuno: «Non vogliamo nascondere le zone di  ombra costituite da comportamenti personali non sempre corretti e onesti che  sono sfociati a volte anche in reati – segnalano gli autori – ma riteniamo  giusto dare un panorama complessivo dell’attività di queste donne, che spesso,  nel bene, e a volte nel male, hanno saputo lasciare un’impronta importante  nella società italiana».
 
 Per gentile concessione dell’editore,  pubblichiamo uno dei capitoli più toccanti, dedicato a un tema delicatissimo: i  figli delle badanti, le centinaia di migliaia di bambini e ragazzi rimasti in  Romania, privi della madre (e talvolta anche del padre), con tutte le  problematiche che a ciò si connettono. Come accade con gli altri capitoli del  libro, anche in questo caso al testo degli autori seguono testimonianze tratte  dalla stampa italiana.
 Giovanni Ruggeri   I  figli   I figli e la famiglia hanno rappresentato le motivazioni principali che  hanno spinto tante donne romene in Italia e in altri paesi di tutto  l’Occidente. La voglia e la determinazione di strappare i propri figli a una  vita di duro e ottuso lavoro e di povertà, ha determinato le donne romene a  mettersi in cerca del Sacro Graal di un benessere che non cercavano per loro,  bensì per la propria prole. «Che almeno loro non soffrano quello che abbiamo  patito noi». Questo è stato il principale propellente morale che in tutte le  epoche ha spinto gli uomini all’emigrazione, compresi quei milioni di italiani  che in tutto il mondo hanno cercato fortuna, Romania compresa (eh già...  sorpresi?) verso la fine dell’800 per affrancare i propri figli dalla miseria o  dalla dura vita nei campi per un misero tozzo di pane.Mentre le donne italiane hanno filato in Belgio, hanno prodotto  cioccolata in Svizzera o fatto le governanti e le colf negli Stati Uniti nei  primi anni del ‘900, le donne romene si sono guadagnate sul campo, per la loro  pazienza e per le loro ridotte pretese, il marchio di badanti preferite dalle  famiglie italiane nel terzo millennio.
 Con quei 200/300 euro che ciascuna è riuscita a mandare per anni in  patria, come risultato netto di innumerevoli sacrifici e privazioni, è  cresciuta in Romania una generazione di ragazzi – i figli delle badanti – che  non si possono considerare ricchi o benestanti, perché non hanno alle spalle  grosse fortune materiali, ma che hanno una potenzialità enorme costituita  dall’aver studiato in condizioni di discreto benessere.
 Questi ragazzi hanno già vissuto esperienze formative notevoli, avendo  quasi tutti raggiunto, per periodi più o meno brevi, le loro madri in Italia e  avendo potuto frequentare anche le scuole italiane (dove attualmente ci sono  circa 90.000 ragazzi romeni) padroneggiando almeno due lingue europee e le  moderne tecnologie.
 In Romania la società è divisa in modo molto netto tra chi ha e chi non  ha... ebbene, i sacrifici delle badanti, hanno reso possibile un minimo di  flessibilità sociale, grazie alla liquidità reperita presso le famiglie  italiane che hanno consentito a questi ragazzi, prima di avere condizioni di  vita migliori, dal vestiario al cibo, e poi di poter studiare godendo anche dei  nuovi supporti elettronici e informatici come computer, tablet, smart e iphone,  che in Romania si sono imposti con un consumo quasi sproporzionato allo stesso  Pil romeno...
 Non tutti questi ragazzi sono riusciti ad arrivare in fondo al tunnel,  molti si sono persi e alcuni purtroppo hanno anche posto fine ai loro giorni  consumati dalla lontananza delle madri e dalla rottura dei nuclei familiari.
 La Romania e le famiglie romene hanno pagato un costo molto alto a  questa corsa verso un benessere che è stato raggiunto emigrando, ma che poteva  anche essere raggiunto sfruttando in maniera corretta, sensata e più  democratica, le grandi risorse interne del paese. Una responsabilità politica  pesante per le coscienze dei politici romeni che in questi 26 anni di  democrazia, si sono accaparrati selvaggiamente tutte le risorse e hanno poi  ignorato o minimizzato il fenomeno migratorio, come se i milioni di romeni  scappati all’estero fossero degli stravaganti turisti e non individui posti con  le spalle al muro da un sistema sociale iniquo e vessatorio.
 I figli della ricca borghesia semi-securista romena, sono cresciuti con  Bmw, Ferrari, stage ad Harvard e Oxford tra un party e un master a Londra,  mentre i figli delle badanti sono cresciuti spesso in campagna con i nonni  ottantenni senza grandi svaghi, dando una mano ai lavori nei campi ma con la  spinta, che solo l’ingiustizia sociale e la povertà sanno dare, di migliorare  sia le proprie condizioni, sia le proprie prospettive, non solo per se stessi  ma anche per i genitori che si erano immolati per anni all’estero solo ed  esclusivamente per loro.
 Il più grande investimento delle badanti romene infatti, oltre ai  milioni di rimesse che hanno rappresentato la prima fonte di introito in valuta  della Romania, sono stati i figli. Non potendo fornire loro Ferrari o Bmw o il  relativo tenore di vita da Vip, che in Romania è appannaggio dei cosiddetti  uomini di affari, dei politici o dei cantanti, le badanti romene hanno fornito  ai propri figli l’esempio delle loro vite: il sacrificio per un interesse  superiore e la consapevolezza che solo studiando e conseguendo una preparazione  di livello superiore, sarebbero potuti stare al pari, e anzi superare i figli  della grassa borghesia romena, ricchi, ma spesso non motivati, viziati e quasi  sempre molto maleducati e arroganti.
 Non è un caso che tanti ragazzi romeni figli di queste famiglie della  cosiddetta «Diaspora romena», vincano a mani basse le Olimpiadi di matematica,  fisica, geografia o chimica, confrontandosi con successo con le nuove  generazioni europee senza complessi o inibizioni di sorta.
 Non bisognerà stupirsi più di tanto se questi ragazzi seguissero le  orme dei loro predecessori italo americani che da figli di poveri immigrati  «maccaronari» diventarono la classe dirigente del sogno americano spingendo gli  Stati Uniti a raggiungere traguardi inattesi e imprevedibili in ogni campo.
 Vedremo se la società romena saprà sfruttare questo potenziale umano  che le badanti e le famiglie della «Diaspora» hanno saputo, con grandi  sacrifici, far lievitare all’interno di un corpo asfittico e spesso iniquo,  come quello della società romena post-decembrista, per creare delle basi  sociali ed economiche veramente libere e democratiche, dove il benessere non  debba essere raggiunto tramite l’emigrazione, ma attraverso una sana competizione  tra cittadini eguali.
 Se la nuova classe dirigente romena sarà quella nata sulle ceneri e sui  sacrifici di milioni di famiglie romene della «Diaspora», la Romania avrà  enormi potenzialità di diventare in pochi decenni una delle locomotive d’Europa  dove benessere e stile di vita saranno invidiate, apprezzate e imitate.
 Se invece i figli e il prezzo di decenni di rinunce e sacrifici saranno  ignorati o minimizzati come si è fatto sinora, soprattutto in Romania, con il  fenomeno stesso della emigrazione di massa che è ignorato o manipolato dai  media romeni per non disturbare troppo l’attuale classe dirigente che ne è la  principale responsabile, queste potenzialità saranno regalate ad altri paesi. A  questo punto personalmente spero che tanti di questi ragazzi e delle loro  famiglie, scelgano l’Italia come loro terra di adozione.
 Già numerose sono le richieste di cittadinanza di tanti romeni che, non  trovando in Romania ancora un contesto adatto alle loro ambizioni e  possibilità, chiedono e prendono la doppia cittadinanza, ed egoisticamente per  l’Italia questo è un bel vantaggio, perché stiamo accogliendo fra noi persone  di valore, sia umano sia professionale, che potranno solo giovare alla nostra  società che ha bisogno di queste cellule staminali che ci riportano indietro a  un passato prossimo – per troppi già remoto – troppo velocemente dimenticato e  frettolosamente archiviato.
 I valori umani sociali, culturali e professionali di questi figli della  «Diaspora» e delle badanti romene, sono frutto di amore, dedizione e altruismo,  parametri importanti per una società che voglia dirsi sana, competitiva e  democratica. Vedremo tra l’Italia e la Romania chi sarà più lungimirante  nell’apprezzarli, intanto un grazie commosso alle loro madri... sia per gli  sforzi profusi... sia per i risultati ottenuti!
 (I testi che seguono sono riportati dagli autori del libro a termine  del capitolo, ndr).
 40 suicidi fra gli «orfani bianchi»
 Il  welfare di cura è principalmente femminile; le mamme che curano i nostri figli  e genitori però lasciano in patria i loro bambini, spesso senza cura. Si chiama  «care drain» e nella sola Romania già 40 ragazzini si sono suicidati, vittime della  «sindrome Italia». Una riflessione.
 Orfani bianchi,  vittime del care drain, rimasti soli in patria con le mamme all’estero a  prendersi cura dei figli (o dei nonni) di qualcun’altro. Nella sola Romania,  una quarantina di ragazzini si sono suicidati proprio a causa della lontananza  dalla madre. In realtà i dati ufficiali parlano di 30 casi dal 2008 a oggi, ma  secondo le associazioni sono molti di più. L’allarme è stato lanciato ieri dal  deputato Pd Khalid Chaouki, durante un convegno organizzato in collaborazione  con l’Associazione delle donne romene in  Italia (Adri) e la Ong Soleterre. Sono circa 750 mila bambini in Romania che  hanno almeno un genitore che lavora all’estero e moltissimi di essi sono  piccolissimi, fra i 2 e i 6 anni.
 Riproponiamo qui  una riflessione della ricercatrice Flavia Piperno, che già nel 2008 su  Communitas aveva portato a galla il problema. Il testo completo dell’articolo «Il  welfare vittima del care drain» è su Communitas n. 22, marzo 2008.
       Il problema del care drain
 Sia in Romania che  in Ucraina si assiste a un processo di crescente femminilizzazione delle  migrazioni. I dati mostrano che si tratta di un fenomeno recente: in Romania  secondo stime effettuate dal Center for Urban and Rural studies – uno dei più  importanti centri di ricerca che opera attraverso vaste indagini quantitative  svolte a livello locale – su un campione di 1.199 nuclei familiari dal CURS, la  migrazione delle donne è raddoppiata in appena tre anni – tra il 2001 e il 2004  – passando dal 16,7% al 31% del totale. In Ucraina – dove secondo dati del  Ministero della Famiglia la percentuale di migrazione femminile è simile a  quella rumena – l’aumento del flusso migratorio in alcune importanti regioni di  emigrazione, come Ternopoli, e l’emergere di nuovi paesi di destinazione - tra  cui proprio l’Italia – sono fenomeni interamente dovuti alla partenza delle  donne. Questo nuovo flusso migratorio ha naturalmente un nuovo impatto sui  paesi di origine. Da una parte, poiché l’emigrazione delle donne è fortemente  orientata al benessere della famiglia e soprattutto dei figli (piuttosto che  all’investimento o al successo personale), produce ricadute indubbiamente  positive sulla famiglia che resta nel paese di origine, sia in termini di  aumento della qualità della vita, che di opportunità socio-economiche. Una  ragazza diciassettenne intervistata in Romania si mostra pienamente consapevole  di questo processo: «La mamma è partita principalmente per me: per alzarmi! per  farmi alzare! per aiutarmi a fare una casa e un bel lavoro e poi vedremo!»
 Una sottrazione di cura
 D’altra parte,  poiché le donne rappresentano nei paesi di origine le principali care giver  all’interno della famiglia, la loro partenza necessariamente comporta una  sottrazione di cura, di cui risentono soprattutto i membri della famiglia più  deboli: principalmente figli minorenni e genitori anziani.
 Al problema del  drenaggio di competenze e cervelli (brain e skill drain) che come ampiamente  rilevato in letteratura spesso si associa ai processi migratori, si unisce un  nuovo tipo di drenaggio: quello della cura. Proprio per indicare questo nuovo  fenomeno, utilizziamo il termine care drain. Il problema del care drain,  scarsamente dibattuto in occidente, non è invece nuovo nei paesi di origine: in  Romania mass media e ONG, proprio in riferimento a minori con genitori all’estero,  cominciano a parlare di «abbandono di fatto», mentre in Ucraina è divenuto  ormai di uso comune il termine «orfano sociale».
 I bambini di internet
 La nostra e altre  ricerche, mostrano come solo in una minoranza di casi il drenaggio di cura si  trasformi in vuoto di cura, e dunque in abbandono, contrariamente a quanto  spesso sostengono media e ONG locali, poiché i membri della famiglia  transnazionale mettono in atto una serie di strategie compensative che limitano  l’impatto del care drain. Le madri, in primo luogo, continuano a svolgere un  ruolo di accudimento nei confronti della famiglia di origine e una funzione di  cura emotiva e guida da lontano. Viaggi frequenti, contatti telefonici quasi  quotidiani e un flusso di rimesse fortemente orientato proprio alla cura –  destinato cioè ad affidatari che si prendono cura di figli e genitori anziani,  allo studio e alle ripetizioni dei figli, alle spese sanitarie e ai risparmi  per la pensione, etc. – sono i principali strumenti di una continuità relazionale  che si esplica al di là dei confini. Alcuni ragazzi, intervistati nella terra  d’origine, parlano di un’intimità che addirittura si rinnova nella distanza:  «Il nostro rapporto è migliorato da quando lei e là. Io mi ricordo poco di mia  mamma da quando ero piccola, il babbo era la figura forte, non gli  disubbidivamo mai. (A mia mamma) non le raccontavo molto prima che lei  partisse, ma quando è partita ci siamo molto avvicinate. Continuo a parlare con  la mia mamma quando ho un problema, lei sa tutto di me. Quando stavo con un  ragazzo, il babbo non sapeva niente. Lei invece è tornata in ferie e ha capito  subito. Ha capito dal mio comportamento. È molto ricettiva a tutto, capisce  subito. Tutti si confessano con lei, quando ci parlano al telefono».
 In loco, la cura si  riorganizza attraverso l’espansione del ruolo della famiglia allargata,  (principalmente grazie al coinvolgimento di nonne materne, zie e sorelle)  oppure, fatto nuovo in questi paesi, attraverso l’acquisizione di prestazioni  di cura sul mercato privato.
 La solitudine dei figli
 Se è vero, dunque,  che grazie alle strategie compensative adottate dalla famiglia transnazionale  il drenaggio non si trasforma in vuoto di cura, è anche vero tuttavia che una  carenza di cura di fondo -ovvero ciò che potremmo definire care shortage –  generalmente permane. I minori, pur ricevendo rimesse e telefonate quotidiane  dai genitori, restano di fatto senza alcun parente nella terra di origine (nel  nostro campione abbiamo riscontrato tale situazione almeno in una decina di  casi su 53); ma anche quando la rete familiare si attiva, essa appare comunque  «sotto sforzo» e non sempre è in grado di fornire soluzioni adeguate. Parenti e  tutori possono avere difficoltà a esercitare una cura e una sorveglianza  efficaci; il gap generazionale tra nonni e nipoti può risultare eccessivo,  mettendo in difficoltà tanto i primi che i secondi, soprattutto nei casi in cui  per essere posti sotto la tutela dei nonni, i minori devono spostarsi dalla  città alla campagna, e la differenza di mentalità può rivelarsi insormontabile.
 A volte inoltre, le  soluzioni trovate si rivelano «precarie», parenti o tutori non possono cioè  tenere a lungo il minore con sé e molti ragazzi si vedono dunque costretti a cambiare  sistemazione e alloggio ripetutamente. Si assiste in queste circostanze a una  sorta di migrazione interna originata dalla migrazione internazionale e dal  bisogno di cura.
 Quasi sempre,  quando chiediamo ai ragazzi chi li sostiene e li guida nei momenti di  difficoltà, essi non sono in grado di individuare alcun referente adulto, a  parte le madri che sono all’estero.
 La storia di Robert
 La storia di Robert  mette in luce molti degli aspetti ora descritti: «Tu sei rimasto con i nonni?»
 «No, sono rimasto  con un vicino di appartamento… loro mi facevano da mangiare e le pulizie, ma  dormivo da solo… a 12 anni… e ora se voglio dormire con qualcuno non ci riesco.  Davvero! Se io non mi sento da solo nel letto non mi va bene…» «Come era vivere  da solo a 12 anni? »
 «C’erano cose buone  e cose male: facevo quello che volevo, mangiavo quello che volevo… ma anche  cose non buone. Se volevo parlare con qualcuno non sapevo con chi, se volevo  che mi aiutasse qualcuno con i compiti non ce l’avevo…»
 «Chi pagava le  bollette? »
 «Il mio vicino,  perché i miei mandavano i soldi e pagavano sia le bollette che la mia  sussistenza… Io mangiavo a casa loro… e se volevano andare al mare o in  campagna venivano e mi lasciavano da mangiare in frigo…»
 «Non ti portavano  in vacanza con loro?»
 «E no, perché è  un’altra cosa…i genitori non possono essere sostituiti mai. Mai».
 «Perché non sei  rimasto coi nonni?»
 «I miei nonni  vivono in campagna, qui in Romania si vive molto meglio in città. Da noi in  campagna si lavora, la mentalità è diversa, loro erano duri, non capivano i  miei problemi, i miei sentimenti, loro solo: lavorare, lavorare e basta».
 «E la tua esperienza  in Italia come è stata?»
 «Io in tutto in  Italia sono stato un anno pieno. Non sono stato a scuola... ho perso un anno...  Quando stavo in Italia il giorno giocavo con mio fratello, mentre i miei  lavoravano rimanevamo da soli... ho voluto tornare in Romania perché qui sono  nato».
 La solitudine delle mamme
 Spesso le madri  migranti faticano a gestire la separazione e la relazione a distanza. Alcune  donne evidenziano, in particolare, la difficoltà a mantenere il controllo sui  figli, altre, soprattutto se hanno figli piccoli, faticano addirittura a  riconoscersi come madri; altre ancora dichiarano che a causa della distanza, la  relazione con i figli cambia in modo radicale, a volte permanente, e questo,  tra l’altro, contribuisce a rendere particolarmente traumatici gli incontri in  occasione di visite o del ricongiungimento e rende ancor più complicato  ristabilire una relazione di riconoscimento reciproco.
 Tanţa, che lavora  in Italia e in Romania, ha un bambino di 11 anni e afferma: «Non passa un  giorno senza che pensi cosa starà mangiando? [...] Credo che questa distanza  cambia la relazione per sempre, io sto pensando che quando lo porto qui non  voglio separarmi un’altra volta da lui. Per loro è tutta un’altra cosa. Loro  dopo questo periodo un po’ si allontanano, non hanno più la stessa confidenza  come prima, diventi un po’ più straniera. Ti manca proprio questo periodo dello  sviluppo, quando loro hanno più bisogno di te, tu non ci sei. Questo non si  recupera mai. Loro prendono completamente altre abitudini e ti ritrovi di  fronte a loro che proprio non li riconosci. Tu sai che a lui piaceva questa  cosa e ti ritrovi di fronte a lui che ti dice “che schifezza!”»
 La difficile  gestione della relazione a distanza e di un rapporto che necessariamente nella  lontananza si trasforma, aumenta il malessere sociale delle lavoratrici  immigrate, ne limita la capacità di offrire cura e sostegno da lontano, rende  più instabili le relazioni familiari e più difficile l’inserimento dei ragazzi  che intendono ricongiungersi.
 Crisi a scuola e devianza 
 Nel paese di  origine la carenza di cura (intesa come accudimento e comunicazione), e dunque  l’appartenenza a un contesto familiare meno protetto, acuisce momenti di  difficoltà propri di ogni storia, accresce problematiche latenti in soggetti  più fragili, esaspera problematiche intrinseche a determinati contesti sociali  in cui, ad esempio, sono più diffusi comportamenti di bullismo o devianza  minorile. Significativa a questo proposito la denuncia dell’Ispettorato  Regionale di Polizia di Iaşi, che sulla base di documenti interni relativi  all’anno 2005, nota come nella regione quasi la metà dei reati, truffe e scassi  di macchine in specie, siano stati compiuti da minorenni tra i 14 e i 16 anni e  come tra questi minori siano in ascesa quelli con genitori all’estero.
 Anche diverse  strutture scolastiche, dove l’impatto di quello che abbiamo definito «care  drain» è particolarmente forte, si trovano di fatto sotto pressione. In Romania  i problemi maggiormente citati da professori e psicologi della scuola sono  assenteismo, abbandono scolastico e demotivazione allo studio, indotti anche  dalla forte propensione a migrare da parte dei minori (si starebbe diffondendo  tra i giovani l’opinione secondo cui chi trova opportunità di guadagno  all’estero ha più successo di chi studia); a ciò si aggiunge la difficoltà a  reinserire gli studenti a scuola dopo periodi passati all’estero e il venir  meno dei colloqui con i genitori, che rende più debole l’azione del corpo  docente. Una professoressa intervistata a Salaj, in Romania, afferma: «La  situazione cambia velocemente, da una settimana all’altra. Dei bambini che  restano alcuni hanno problemi, altri no. Alcuni sono contenti: hanno dolci e  vestiti e i genitori quando tornano gli portano i cellulari. Alcuni però  smettono di studiare, cominciano ad utilizzare molto internet... sono i  “bambini di internet».
 Diversi professori  intervistati in Romania e Ucraina inoltre notano come problemi comportamentali,  quali ad esempio conflittualità o indisciplina, rendono ulteriormente complessa  la gestione delle classi, ma alcuni parlano anche semplicemente della  difficoltà a sostenere studenti che hanno un vissuto emotivo difficile e  tendono a chiudersi in se stessi. Anche per questo molti professori parlano del  bisogno di maggiore formazione per loro stessi, e della necessità di un  maggiore coinvolgimento degli psicologi della scuola. A questo proposito ci colpisce  la dichiarazione di una professoressa intervistata a Focşani, la quale  dichiara: «Tutto questo cambia loro, i bambini, ma cambia anche noi, perché  arriviamo ad essere in contatto con problemi sempre più difficili da risolvere,  da un anno all’altro le situazioni si complicano sempre di più». [1]
 
 [1] http://www.vita.it/it/article/2014/05/13/40-suicidi-fra-gli-orfani-bianchi/126905/    (n. 5,  maggio 2016, anno VI)
 
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