Emil Cioran, intellettuale senza patria

Spettatori indiscreti di uno spettacolo a cui non a tutti è dato prender parte. Questa è la sensazione che si avverte nel leggere Emil Cioran. L’intellettuale senza patria. Intervista con Jason Weiss, testo a cura di Antonio Di Gennaro, con traduzione di Pierpaolo Trillini, pubblicato presso la casa editrice Mimesis. Il testo riporta l’intervista rilasciata da Cioran a Jason Weiss nella famosa mansarda parigina in rue de l’Odéon 21, nell’agosto del 1983. Pubblicata ora per la prima volta per il pubblico italiano, essa è apparsa in passato nella rivista «Grand Street», vol. 5, n. 3 del 1986 ed è stata successivamente ripubblicata nel 1991 in Jason Weiss, Writing at risk: interviews in Paris with uncommon writers, University of Iowa City.

Nella presentazione, Antonio Di Gennaro ricorda che Emil Cioran, che non amava di certo le apparizioni in ambienti ufficiali e i discorsi in pubblico o ambito universitario, ha tuttavia sviluppato un’intensa verve orale attraverso colloqui privati ed interviste. Si è costruito uno spazio originale per confrontarsi con il suo pubblico. Giornalisti, poeti e scrittori che intendevano conoscere più da vicino la particolare concezione della vita del pensatore romeno, i segreti e i retroscena che si celavano dietro una scrittura privata per eccellenza, si recavano da lui e gli ponevano domande, dando allo scrittore la possibilità di raccontarsi, di svelarsi. Cioran espone e chiarisce in modo sistematico il proprio pensiero attraverso ricordi ed aneddoti della propria vita, un vero e proprio impegno testimoniato già a partire dal volume Entretiens pubblicato nel 1995 in cui sono riportate però solo una parte delle conversazioni tenute da Cioran con i suoi interlocutori. Potremmo quindi considerare il presente volume come una sorta di «arricchimento» del testo del ’95.

Tra gli episodi riportati ne emerge uno che risulta chiarificatore rispetto all’idea promulgata da Cioran di affrontare la vita con distacco, racconta a Weiss: «Le racconto un aneddoto che è stato significativo nella mia vita. Vivevamo a Sibiu, una città di provincia dove ho trascorso tutta la mia giovinezza e dove mio padre era prete ortodosso. Avevo circa ventidue anni e un giorno ero in uno stato terribile. A casa eravamo solo io e mia madre e [...] penso che fosse verso le due del pomeriggio, gli altri erano usciti tutti. All’improvviso ebbi un attacco incredibile di disperazione, mi gettai sul divano e dissi: “Non ne posso più”. E mia madre disse: “Se avessi saputo, avrei abortito”. Ciò mi colpì in maniera straordinaria. Non mi ferì affatto. Ma in seguito pensai: “Questo è stato molto importante. Io sono semplicemente un accidente. Perché dovrei prendere tutto così sul serio?”. Perché, in effetti, tutto è privo di sostanza» (p. 30)
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Di fronte alle domande che gli vengono poste, Cioran si mostra aperto al dialogo e al confronto, è ironico ed umile, parla con semplicità. Racconta esperienze di vita reale, gli episodi salienti della sua esistenza, quelli che hanno fatto in modo che prendesse una certa posizione rispetto a tematiche importanti (quali la religione o la filosofia) e rielabora i concetti chiave del suo pensiero, quelli trattati instancabilmente nei suoi testi: l’idea del suicidio, il tempo, la coscienza, l’insonnia.

Da scrittore privato – Privatdenker – Emil Cioran ha parlato nei suoi testi esclusivamente di sé ed ha imboccato volontariamente la strada del rifiuto della filosofia classica, mostrandosi cinico e scettico, opponendosi ad ogni sorta di pedagogia e profanando qualsiasi ideologia; l’uomo è al centro del suo discorso, l’uomo con il suo destino, fatale, l’uomo che ricerca la felicità e viene punito da ciò: dovrebbe non fare nulla, non è fatto per fare qualcosa, non avrebbe dovuto calarsi nell’avventura di vivere. Questa idea affonda le sue radici nel carattere originario dei romeni; alla domanda posta da Weiss infatti, risponde: «Quello che ho ereditato dal popolo rumeno, dai contadini, è il loro fatalismo. I rumeni, forse, sono il popolo più fatalista al mondo. L’ho imparato da bambino, perché la gente diceva sempre cose del tipo: “Non c’è niente che un uomo possa fare” e “C’è solo il destino” e così via. Quella visione della vita mi ha segnato, non posso negarlo, con una sorta di filosofia della rinuncia. E questi contadini sono più vicini alla tragedia greca di quelli dell’Occidente. La loro è la stessa visione, che l’uomo sia una sorta di zimbello del destino» (pp. 64-65).

La scrittura di Cioran si caratterizza per essere scrittura di cose vissute, racconto che nasce soprattutto da esperienze negative, traumatiche, prima tra tutte l’insonnia e il rapporto strettissimo tra questa e l’idea del suicidio. Essa ha sicuramente giocato un ruolo decisivo sia nella vita che nella produzione di Cioran. L’insonnia, l’allerta permanente, esaspera la coscienza, ed è proprio nelle notti di veglia, afferma il pensatore romeno, che si è prodotto il distacco dalla filosofia in quanto dottrina. Alla domanda di Weiss circa la possibilità di utilizzare proprio l’insonnia come strumento di esplorazione della filosofia, Cioran replica: «Sia che tutti i miei pensieri siano stati dovuti all’insonnia o meno, senza di essa sarebbero stati privi di una certa frenesia. Questo è innegabile. Attraverso l’insonnia tutte queste cose hanno assunto un’altra dimensione» (p. 33). L’insonnia «in realtà è stata la causa profonda della mia rottura con la filosofia. Ho capito che nei momenti di grande disperazione la filosofia non serve a niente e non offre risposte» (p. 21).

E ancora, sempre a proposito dell’insonnia: «Il dramma dell’insonnia è che il tempo non passa. Sei sdraiato nel mezzo della notte e non fai più parte del tempo. Ma non sei neppure nell’eternità. Il tempo passa così lentamente che diventa agonia. Tutti noi, in vita, siamo trascinati dal tempo, perché siamo nel tempo. Quando sei sdraiato, sveglio, in quel modo, sei fuori dal tempo. Così il tempo trascorre al di fuori di te e non riesci a tenerne il passo» (p. 26). L’uomo secondo Cioran non è in grado di sopportare un’esistenza senza pause, una memoria senza intervalli, dormire infatti serve non tanto per riposare, ma per dimenticare, per avere la possibilità di iniziare il giorno dopo quasi una «nuova vita». Questa possibilità gli è negata, e da essa prendono vita il distacco dalle costruzioni prestabilite e il suo particolare scetticismo.

Moltissimi i temi affrontati: le letture di Nietzsche, Dostoevskij e Shakespeare, i rapporti intrattenuti con Beckett e Michaux, il racconto di quelli che egli stesso ha definito gli «incontri unici», avvenuti con persone viste un’unica volta e che hanno lasciato un segno indelebile, che hanno costituito l’anello di congiunzione tra il pensatore e il suo pubblico, e molti altri ancora.

Un’unica intervista, sole 83 pagine in cui troviamo risposte precise ed esaustive, ricordi ed eventi, che vanno a costituire lo scenario nel quale Cioran ha la possibilità di elaborare, o meglio di ri-elaborare, le idee di una vita, le stesse che hanno caratterizzato e reso unici i suoi testi, idee che lo hanno reso uno dei più originali prosatori francesi del Novecento. Cioran pone l’orecchio e con la semplicità di pensiero e di parola che lo ha distinto, si muove con disinvoltura da un argomento ad un altro, fornendo un’immagine di sé tanto profonda e complessa quanto umana e sensibile.



Marisa Salzillo
(n. 3, marzo 2014, anno IV)