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 |  | «Buona notte, bambini!»: il romanzo di Radu Pavel Gheo e le strategie dei suoi traduttori
 
  Una storia generazionale, tra  emigrazione, ricordi, gioie e drammi di vita vissuta, una  sorta di favola moderna, ora dai risvolti tragici, ora dai risvolti intimisti,  ripiegati nei ricordi dell’infanzia e dell’adolescenza: così si potrebbe  riassumere in maniera molto sintetica il poderoso romanzo Buona notte, bambini! – più di 500  dense pagine, nella traduzione a cura di Mauro Barindi e Maria Luisa Lombardo –  dello scrittore transilvano Radu Pavel Gheo (n. 1969, Oravița), pubblicato  di recente da La Zisa, casa editrice di Palermo, e presentato all’ultimo Salone  internazionale del libro di Torino (con il sostegno dell’Istituto Romeno di  Ricerca e Cultura Umanistica di Venezia). Proprio con questo volume La Zisa  inaugura all’interno del suo catalogo la collana «Dor» dedicata in modo  specifico alla letteratura romena. Il titolo Buona notte, bambini! prende spunto dal saluto di commiato della  voce che ogni sera annunciava la fine dei dieci minuti di favole per bambini  che la radio romena comunista elargiva al pubblico infantile. È un saluto che  ritorna più volte nel romanzo come un’eco, una sorta di sfondo sonoro su cui  crescono quattro amici d’infanzia – Marius, Paul/Paulică,  Cristina, Leopold/Leo –, sorpresi lungo tre distinte fasi della loro esistenza (con  salti temporali, senza seguire un ordine rigorosamente cronologico). E se da un  lato è sinonimo di un paradiso perduto, di nostalgici ricordi del passato,  poiché evocatrice dell’età d’oro della loro infanzia, questa stessa frase  pronunciata in modo puntuale, in special modo da quelli che potremmo definire i  due personaggi negativi del romanzo (il mecenate Dunkelman – il nome già dice  tutto – e il subdolo LePendu) si tramuta in un’eco tetra, quasi malefica,  premonitrice di sciagure. In fondo, questi due oscuri personaggi rappresentano  le paure infantili dei ragazzi che riaffiorano e si incarnano nella vita adulta  sotto altre fogge: è il Male che ingaggia l’eterna lotta con il Bene,  quest’ultimo rappresentato fin dall’esordio del romanzo nelle figure di due  vecchietti, Petru e il suo anonimo compagno – che ricompariranno in altri  momenti salienti della trama –, chiara allusione a figure evangeliche, e sorta  di angeli custodi veglianti sui destini dei quattro.
 
 Il romanzo ruota quindi attorno alle vite  di questi quattro giovani protagonisti che s’intersecano in un arco di tempo  che va dagli anni ’80 agli anni 2000, ora in Romania, ora negli Stati Uniti.  Episodio centrale nella struttura della trama è il tentativo dei quattro amici  (tre in realtà, perché uno si ammalerà pochi giorni prima) di fuggire in  Occidente nel 1986 attraversando di nascosto la frontiera con la Serbia. E  questo loro tentativo – che è sogno di libertà, di riscatto, di una vita migliore,  in definitiva il sogno-mito dell’Occidente per antonomasia, quello americano,  con la sua musica e i suoi realia (la rossa Corvette guidata da Marius, suo  sogno diventato realtà ed evocata in una canzone di Prince) – assume qui i  caratteri di un vero e proprio rito di passaggio: dal mondo dorato  dell’infanzia alla vita adulta. Questo passaggio si rivela più duro del  previsto: il piano, infatti, fallisce, i tre vengono colti sul fatto e  catturati, subendo le vessazioni e persino abusi sessuali da parte delle  guardie di confine. Una volta rilasciati, le loro vite continueranno, in  parallelo, ma ormai per sempre adombrate da tale episodio.
 È da  qui insomma, a partire da questo episodio, nucleo epico e generatore dei  diversi fili narrativi che avviluppano la trama, tra salti spazio-temporali, reminiscenze  infantil-adolescenziali, vendette e strani e non casuali incontri (tra cui  emblematico è quello con il signor Dunkelman, già citato sopra, rappresentante  della Fondazione Dunkelman per le Arti, vero e proprio «fil noir» del romanzo,  dalle valenze demoniache), che la «storia» si impossessa del terzetto  Marius-Leopold-Cristina, fagocitandoli, proprio perché sono i personaggi  «attivi», passati attraverso quel rito di passaggio che li ha già condannati.  Il quarto amico, Paulică, sfuggito alla prova della vita in quella fatidica  notte, l’unico a non lasciare la Romania, si limiterà a condurre un’esistenza  tranquilla ma banale e anonima come professore di liceo, perseguendo il suo  sogno di diventare uno scrittore famoso. Si svende a Dunkelman, accettando di  firmare con questi una sorta di «patto del diavolo»: denaro, fama e successo  come autore a comando di facili bestseller preconfezionati.
 Da un altro punto di vista, la storia è  anche rifugio di consolazione per uno in particolare dei quattro amici: Marius.  Pur stabilitosi da anni negli Stati Uniti, continua a vivere nel passato  alimentato dai suoi sogni «americani»; e ritorna in Romania alla guida dell’oggetto  desiderato da adolescente, quella Corvette rossa citata in precedenza,  involucro materiale e simbolico della sua esistenza, vettore del suo riapprodo  ai luoghi dell’infanzia e simbolo di un ciclo che si conclude, un ciclo nelle  cui spire erano finiti stritolati anche Cristina e Leo.
 Altri due aspetti del romanzo che vanno  sottolineati sono la rievocazione storica e sociale degli ultimi anni del  comunismo in Romania (aureolato, come ogni epoca, da una certa nostalgia,  indipendentemente dal regime politico che la governava) e la vita di provincia  e della campagna contrapposta a quella urbana di Bucarest o di Iași,  realtà che l’autore descrive con accuratezza perché intimamente connesse alla  vita e all’agire dei protagonisti. La provincia e la campagna rappresentano gli  spazi accoglienti dell’infanzia, con le tipiche case dei villaggi del Banato o  della Moldavia (più sotto i traduttori ne parlano in dettaglio), palcoscenico  dei giochi e dei riti sociali dei personaggi bambini. Le città (specie Bucarest)  appaiono invece solo come luoghi di transito, più o meno belli, con le loro  insidie e il loro carattere frenetico che non concedono spazi all’intimità o  nelle quali ci si sente a disagio pur ammirandone il dinamismo e la modernità.
 La copertina dell’edizione  italiana riproduce la stessa dell’edizione romena per espresso desiderio  dell’autore al quale è particolarmente cara poiché richiama e riassume  visivamente la storia che si trova alle spalle dei quattro bambini fotografati.   Interessante anche l’idea di realizzare a quattro mani la  traduzione, con strategie peculiari nella realizzazione della versione in  italiano del romanzo, anche alla luce delle particolarità e delle complessità  del testo romeno.
 
 
 Perché tradurre insieme L’idea di tradurre insieme il romanzo di Radu  Pavel Gheo è nata quando abbiamo scoperto che entrambi stavamo lavorando a  questo romanzo, al fine di proporlo in seguito alle case editrici per una  possibile pubblicazione in Italia. Innamorati di questo romanzo e profondamente  convinti delle sue possibilità (ci sono voluti lunghi mesi di pazienti  tentativi prima di trovare un’editrice interessata, e alla fine è comparso come  dal nulla il dott. Davide Romano di La Zisa edizioni) abbiamo quindi deciso di  unire le forze e ci siamo messi al lavoro, suddividendoci i dieci capitoli  (strutturati in cinque parti più l’epilogo e l’avvertenza al lettore finali). Buona notte,  bambini! è un romanzo  molto denso: come sottolineato dallo stesso autore, con una certa dose di  autoironia, è un romanzo da un… 1.000.000 di segni. Vista la consistente  struttura del libro, è stata necessaria una grande coordinazione fra noi, al  fine di mantenere una certa coerenza e rispettare elementi caratteristici e  fondamentali del romanzo. Per  fare un banale esempio, c’è stata una coordinazione iniziale e poi in itinere  per decidere anche l’ortografia (uniformandola quindi) di certe parole come,  per esempio, «beh/be’», oppure «dai/dài» Oppure come rendere ortograficamente la  pronuncia inglese dei protagonisti, quando cantano canzoni famose degli anni  ’80 (che ovviamente non coincide sempre con la versione in romeno). Inezie, ma  inevitabili considerazioni per garantire la qualità della traduzione.
 
 
 Le ripetizioni nel testo
 Una delle  difficoltà di questa traduzione risiede nelle ripetizioni o nei parallelismi  sparsi nei vari capitoli. Vi sono espressioni o parole che evocano (attraverso  la ripetizione appunto) episodi passati. In tal senso, la prima difficoltà è  stata proprio individuare questi punti chiave. In particolare ci sono due  capitoli (Marius 1978 e Paul 1978) dove queste ripetizioni e  similitudini si ripetono in maniera massiva, anzi, spesso in maniera del tutto  speculare, in questo caso per rappresentare due punti di vista diversi o due  versioni della stessa vicenda. In questo caso, abbiamo proprio creato un file  di comparazione per decidere in che misura rispettare queste similitudini e  parallelismi fra i due capitoli. Si è operato in maniera tale da rendere  riconoscibili queste similitudini, almeno per un lettore attento, quindi  utilizzando le stesse espressioni laddove possibile, sempre nel rispetto della  leggibilità e fruibilità del testo. Ecco un esempio: Marius 1978:
 «Entrambi i ragazzi  indossavano pantaloncini, camicie a manica corta, con bottoni e taschino sul  petto, e avevano ai piedi sandali di finta pelle, con fibbie.
 “Che dici di fare?”  domandò Paulică al suo amico, impaziente.
 “Viene anche  Cristina?” gli rispose Marius con un’altra domanda.
 Paulică si strinse  nelle spalle.
 “Andiamo a  chiamarla?” propose lui. “Magari non la lasciano…”
 Entrambi erano in  forse.
 “Sì, non so  neanch’io se può svignarsela dai suoi”, disse Marius con voce strascicata.
 ‘I  suoi’ erano, ovviamente, i nonni della ragazza».
 Paul  1978:«Entrambi  indossavano pantaloncini, camicie a manica corta, con bottoni e taschino sul  petto, e avevano ai piedi  sandali di  finta pelle, con fibbie.
 “Che vuoi che  facciamo?” domandò Paulică, impaziente.
 “Viene anche  Cristina?” gli rispose Marius con un’altra domanda.
 Paulică si strinse  nelle spalle.
 “Andiamo a  chiamarla?” propose lui. “Magari non la lasciano…”. Dissero entrambi esitando.
 “Sì, non so  neanch’io se può svignarsela dai suoi”, disse Marius incerto.
 ‘I suoi’ erano,  ovviamente, i nonni».
 Un altro caso  di ripetizione (evocativa) ci è indicato dallo stesso autore in modo esplicito,  attraverso il verbo «a trage», molto usato nel romanzo in varie accezioni  semantiche (compresa quella dall’evidente sfondo erotico-sessuale quando accompagnata  dal pronome «o»: «a o trage» che  riecheggia allusivamente nell’esempio che citiamo sotto) [«trăgea»] e il  corsivo fra parentesi. Abbiamo cercato in italiano di mantenere lo stesso verbo  per le tre espressioni differenti le  trăgea în armată/ O trăgea de păr/ ce le mai trăgea), ma alla fine abbiamo  preferito mantenere sole le prime due ripetizioni (importanti perché  evidenziano il ricordo di un evento doloroso), e nella terza ripetizione  abbiamo optato per rispettare il carattere colloquiale dell’espressione in cui  figura il verbo «a trage» [«trăgea»] come si può evincere da questo esempio: «Da. Şi dacă s-o nimeri să fi luat şi chenzina... şi n-o fi  apucat ţaţa Lisaveta să-i ia banii... Le trăgea el şi-n armată?
 (Soldatul  o ţinea de păr. O trăgea de păr şi îi întorcea obrazul spre penisul lui erect.)
 - Le trăgea, da, confirmă  tînărul. Da, da, ce le mai trăgea!»
 In italiano:
 «Sì. E se per di più ha incassato il  salario… e zia Lisaveta non ha fatto in tempo a togliergli i soldi... Le  sbornie se le prendeva anche nell’esercito?»
 (Il  soldato la teneva per i capelli. La prendeva per i capelli facendole girare la  faccia verso il suo pene eretto.)
 “Sì, sì”, confermò il giovane. “Sì, sì,  eccome ci dava dentro!”»
 
 
 Strategie testuali, giochi di parole, modi di  dire, poesiole e canzoni
 Ricorrenti nel testo sono giochi di parole, canzoncine o poesie, che  marcano a volte momenti ameni, altre volte momenti drammatici. Abbiamo voluto  mantenere sempre i giochi di parole, rispettando per quanto possibile  l’intenzionalità dello stesso. Anche in questo caso, a volte non è stato  difficile trovare soluzioni praticamente identiche in italiano:«Mie-mi place  ABBA, zise brusc Cristina. ABBA şi Boney M. Dedii, dedii cuul, dedii, dedi  cuul... fredonă ea fals.
 - Dă din, dă din cur... o maimuţări  Paulică».
 In italiano:
 «“A me piacciono gli Abba”, disse  inaspettatamente Cristina. “Gli ABBA e i Boney M. Dedii, dedii cuul, dedii,  dedi cuul…” canticchiò lei stonata.
 “Muovi, muovi il  cul…” le fece il verso Paulică».
 In altri casi, abbiamo cercato soluzioni  alternative, ma coerenti con il contesto, evitando inutili e disastrosi  stravolgimenti: «„Tecuci, Tecuci, cuci şi cuci şi cuci”  fredonă aiurea tînărul, umplînd armoniile piesei instrumentale ce se auzea la  radioul maşinii cu ultimul cuvînt citit pe un indicator de pe şosea. „Tecuci, Tecuci, uite nişte cuci, cuci, te  cuci...”».  In italiano: «“Tecuci, Tecuci, cuci, cuci e cuci”  canticchiava a vanvera il giovane, riempiendo le armonie del pezzo strumentale  che si sentiva nell’autoradio con l’ultima parola letta su un cartello  stradale. “Tecuci, Tecuci, toh, come  cuci, cuci, te’ cuci…”»
 Analogamente  abbiamo preferito mantenere le rime senza alterare il senso nelle canzoni  presenti nel testo, come questo canto dei pionieri:
 Noi în anul  2000, Cînd nu vom  mai fi copii,
 Vom face ce-am văzut cîndva,
 Toate visele îndrăzneţe
 În fapte le vom preschimba.
 Vom fi meşteri iscusiţi
 Să vă facem fericiţi
 Pe voi, părinţii ce veţi fi
 La a doua tinereţe în 2000.
 Quando il duemila verràE bambini non saremo già
 Quel che vedemmo un dì faremo
 E i nostri sogni più audaci
 In realtà trasformeremo
 Saremo mastri capaci
 Per far voi padri felici
 Che nel duemila e più
 Sarete la seconda  gioventù.
 Ci ha dato parecchio filo da torcere la  trovata escogitata per il capitolo Marius  1990-1991 nel quale l’autore ha scelto di disseminare il testo di  parole-chiave in… rigoroso ordine alfabetico, dalla a alla z: aeroport, buimăcită, Cristina, dor, engleză e così via fino a zadarnic. Finché iniziale e parola coincidevano con quelle  italiane, il gioco è stato facile (come aeroport/aeroporto, Cristina/Cristina, filme/film, imigranți/immigrati ecc.,  grazie anche soprattutto a parole o sintagmi inglesi adoperati in originale: Hollywood, joint, K-Mart, money, Queen of  Angels, Radioshack, Surf City Sex, Wild Goose Chase, XXX, you). Ma quando  ciò non ci veniva più in aiuto, la sfida si è fatta ardua e seguire l’ordine  alfabetico con parole che necessariamente dovevano avere la stessa iniziale e  che per ovvi motivi non sempre potevano coincidere con la parola romena ci ha  messo a dura prova (abbiamo tralasciato le parole la cui iniziale era un diacritico  – î  e ț –, dato che sono inesistenti nell’ordine alfabetico italiano). Elenchiamo qui  di seguito questi casi, corredati dal loro esempio: buimăceala = batticuore:  Acum, cînd îmi aduc aminte, mi se pare că buimăceala aceea nu l-a părăsit aproape  un an întreg.Ora,  quando ci ripenso, mi sembra che quel batticuore non lo abbandonò per quasi un anno intero
 dor = desiderio «N-a îndrăznit totuşi să spună „dor”, deşi ştia că aşa era: îi fusese dor de ea, de draga lui  prietenă, […]»«Non si azzardò però a dire “desiderio”, anche se sapeva che era così: aveva sempre provato  desiderio per lei, la sua cara amica, […]»
 engleză = english «- Ceva engleză ştii, nu?»«Un po’ di…english lo mastichi, vero?»
 gașcă = gruppo «Dar plăcerea pe care o simţea Marius în timp ce se plimbau  aşa, în gaşcă, doar ei trei, pe  malul Oceanului Pacific […]»«Ma il piacere che avvertiva Marius, mentre passeggiavano,  in gruppo, solo loro tre, in riva al  Pacifico […]»
 obosită = orribilmente  stanca «- Of, Mariuse, sînt atît de obosită!»«Uff, Marius, sono così orribilmente stanca! […]»
 vinovat = verme «Nici nu-l cunoşti! Nu-l scoate acum pe Leo vinovat pentru... pentru nu ştiu ce!» «Quanto poco lo conosci! Non ti devi sentire autorizzato a  considerarlo un verme per… per aver  fatto non so che cosa!»
 zadarnic = zero «Un gest zadarnic. Totul  fusese zadarnic»«Un gesto che equivaleva a zero. Tutto era stato inutile.»
 Sempre in questo capitolo c’è un ardito  gioco di parole fra l’interiezione volgare inglese fuck e la forma della prima persona singolare e terza persona  plurale fac del verbo romeno «a  face». In questo caso abbiamo pensato di sfruttare lo stesso artificio fono-ludico  usato dall’autore ricorrendo a un altro termine inglese, «cunt»,  particolarmente scurrile, riferito all’organo sessuale femminile, e facendolo «assonare» in qualche modo alla  prima parte del termine italiano «cantonata» (quindi cunt – cant-onata). Questo il brano incriminato: «- Bun, şi ce să fac? Zi tu: ce să fac?Două adolescente în costume de baie  monokini ude, cu părul adunat în şuviţe, căci tocmai ieşiseră din apă,  întoarseră capul spre Marius şi îl priviră cu dezgust, apoi se îndepărtară repede.  Leo i le arătă:
 - Le-ai văzut?— Da, răspunse intimidat  Marius. Ce-am făcut?
 - Exact asta: ai zis „Ce să fac?”  Nu mai zice „fac”, pricepi? Noi tot zicem că fac asta, fac aialaltă.  Pula. Aici sună  ca dracu’. Fac, fac, fac! Auzi? Fac,  fuck, fuck.
 - Aha! se lumină Marius. Şi-atunci ce  fac... adică ce...?
 - Uite, noi zicem „efectuez”. Efectuez  asta, efectuez aialaltă. Bine?
 - Bine».
 «Bene,  ma quante cantonate devo prendere ancora? Dimmi anche tu: quante cantonate?Due  ragazze adolescenti, bagnate, con addosso un monokini e i capelli grondanti,  che erano appena uscite dall’acqua, lanciarono un’occhiataccia a Marius e lo  squadrarono schifate, per poi allontanarsi in fretta. Leo gliele indicò:
 Le  hai viste?
 Sì,  rispose Marius intimidito. Un’altra mia cantonata?
 Ecco,  è proprio questo: hai detto ‘cantonata’ Non dire più ‘cantonata’,  capisci? Noi sempre a dire cantonata di qua, cantonata di là. Cazzo. Fa una pessima impressione. Cantonata! Senti? Cant-onata, cunt, cunt.
 Aha!  disse Marius illuminandosi in volto. E allora, che faccio per evitare cant…?
 Senti,  noi diciamo ‘citrullata’. Ho preso una citrullata. Va bene?
 Bene.»
 Molto ricco poi l’utilizzo di modi di  dire tipici o espressioni idiomatiche, campo tradizionalmente irto di ostacoli  perché intimamente legati alla sfera socio-culturale della lingua di partenza,  che ha richiesto uno sforzo particolare per renderli il più vicino possibile a  un corrispondente o a un plausibile significato italiano come, per esempio,  l’espressione «a veni cu porcu’» nella battuta: «- Ei, vii şi tu cu  porcu’! rîsese el.»  «Eh,  vuoi vedere adesso che mi farai l’imbucato!, esclamò ridendo.»
 
 Elementi specifici di una determinata cultura o  epoca
 Visto che il  romanzo tratta del periodo della dittatura comunista (anni ’80) sono  inevitabili termini strettamente legati a quell’epoca, che fanno parte della  memoria storica della Romania, ma che per il lettore italiano sono estranianti  e comunque non altrettanto evocativi. Pensiamo a termini quali «Utecist» (da  UTC, «Uniunea Tineretului Comunist»), «RFG-ist» (da «Republica Federală Germană»,  che abbiamo optato di rendere con la sigla tedesca BRD), o ad altre sigle come  C.A.P. («Cooperativa Agricolă de Producție») e CUG («Combinatul  de Utilaj Greu»); in questi casi concreti abbiamo sciolto le  sigle o, per altri termini, trovato un’espressione italiana che riflette il  senso della parola romena:  «El,  pionierul, utecistul,…/Lui, pioniere, membro della Gioventù Comunista…»«Uteciştii de azi,  R.F.G.-iştii de mîine / Oggi nella Gioventù Comunista,  domani nella BRD»
 «E  paznic acolo, la CUG /  Fa il guardiano alla fonderia CUG.»
 Lo  stesso  discorso è valido per alcuni nomi di prodotti che circolavano all’epoca, spesso  provenienti dall’ex Jugoslavia. Ad esempio, le audiocassette ORWO. Nel testo  romeno un personaggio dice «am vreo două ORWO goale»: in italiano  inevitabilmente abbiamo dovuto specificare che si trattava di audiocassette. In  altri casi abbiamo usato un inciso, Zvezdane  staze (cioè Star Trek). In altri  casi, non è stata necessaria alcuna aggiunta da parte del traduttore, in quanto  deducibile dal testo stesso. È il caso delle sigarette soprannominate «Moartea  pe schiuri», oppure di «ocsko» (dall’ungherese «ócska» - mercatino  dell’usato). Oppure per termini già  più noti al lettore italiano, come «securist» - securista.Le descrizioni,  inoltre, sono spesso minuziose, come nel caso della radio «Electronica» e  questo ha facilitato il nostro compito di trasmettere in maniera quanto più  fedele l’immagine dell’oggetto in questione:
 «Puştiul blond şi  slăbuţ, mai mic cu un cap decît prietenul lui, se duse repede spre un aparat de  radio imens, dintr-un lemn gălbui, cu un capac mare, sub care se ascundea un  pick-up. Era un „Electronica” românesc cu lămpi, vechi de vreo douăzeci de ani.  Avea difuzoarele plasate în partea de sus şi mascate cu o pînză groasă,  gălbuie. Sub ele, în stînga şi în dreapta scalei, se vedeau două butoane mari  cît cepele – unul pentru volum, celălalt pentru acord fin –, iar jos, pe  marginea lată, şase clape mari, crem, din ebonită. „Grăsunul”, cum îi ziceau  puştii, era lung de aproape jumătate de metru şi cîntărea vreo cincisprezece  kilograme.»
 «Il ragazzo biondo e  mingherlino, di una testa più basso del suo amico, si precipitò verso un  immenso apparecchio radio, di un legno giallognolo, con un grande coperchio,  sotto cui si celava un giradischi. Era della marca romena “Electronica” a  valvole, vecchia di vent’anni. Aveva gli altoparlanti collocati nella parte  superiore e mascherati da una tela spessa, giallognola. Sotto di essi, a  sinistra e a destra della scala, si potevano vedere due manopole grandi quanto  delle cipolle – una per il volume, l’altra per la sintonia –, e sotto, sul lato  della larghezza, sei tasti grandi, color crema, di ebanite. “Il porcellino”,  come lo chiamavano i ragazzi, era lungo quasi mezzo metro e pesava circa  quindici chili.»  Particolare  attenzione abbiamo dedicato al rispetto delle descrizioni dei luoghi e degli  spazi, spesso ammantati nella narrazione da un velo di nostalgia, poiché legati  al periodo spensierato dell’infanzia, pieno di sogni. Anche in questo caso,  abbiamo fatto delle ricerche in merito, ricorrendo anche al prezioso aiuto dell’autore.Ad esempio, le  case di alcuni dei protagonisti. Non si tratta sempre dello stesso tipo di  casa, come confermatoci dallo stesso autore. Abbiamo le case in Moldova: La  casa di Lisaveta è tradizionale, con la veranda aperta (cerdac o pridvor), quella  del padre Saveliuc ha la veranda chiusa, per proteggersi dal freddo. Poi quelle  del Banato, dove trascorrono  l’estate i protagonisti, a casa dei nonni (Teicova). In questa regione le case  sono allineate, con la facciata principale che dà sulla strada, e hanno un  cancello grande. Sotto questo grande cancello (nel romanzo «sub-poarta») in  estate c’è ombra e quindi fresco. In queste case del Banato c’è un coridor, che non è altro che una specie  di veranda, solo che in Banato ha sempre le parete in mattoni o in vetro (glasvand), affinché non entri la  pioggia. Questo «coridor» si estende lungo le camere della casa (diventa una  camera molto lunga), e a volte si trasforma in uno spazio dove immagazzinare le  cose, a volte è utilizzato come cucina. Ecco un esempio:
 «Ca să ajungă acolo,  Paulică şi Marius trebuiau să iasă pe coridorul interior, unde gătea bunica celui  dintîi, să coboare treptele și să iasă „sub poartă” – adică în  spaţiul acoperit de dincolo de poarta mare a casei, unde se vîra pe vremuri  carul încărcat cu fîn ori porumb –, apoi să treacă în celălalt corp de clădire,  să străbată coridorul închis de acolo și abia apoi să intre în sala birtului,  acum întunecată și lăsată în părăsire.»  «Per giungere fino a  lì, Paulică e Marius dovevano uscire nella veranda interna, dove cucinava la  nonna del primo, scendere i gradini e passare “sotto il cancello”, cioè sotto lo spazio coperto fuori dal cancello  principale della casa, dove un tempo veniva piazzato il carro carico di fieno o  di granoturco, poi passare nell’altro corpo dell’edificio, percorrere la  veranda chiusa di lì e solo allora entravano nella sala dell’osteria, adesso  buia e abbandonata.»  Non mancano i regionalismi, come «a  peltui» - vaccinare 
 
 Onomastica  e toponomastica
 Abbiamo preferito  mantenere l’onomastica e la toponomastica originale. In  un caso tuttavia avevamo il dubbio se tradurre il nome del personaggio Petre, allusivo all’apostolo omonimo. Ma  alla fine ci è sembrato opportuno lasciarlo in romeno, perché il lettore lo  avrebbe comunque relazionato al nome biblico anche se non reso con «Pietro». Nel caso di nomi o  nomignoli eloquenti, abbiamo pensato di renderne in italiano la componente  scherzosa e volgare come Leu’puli =  Cazzoleo (riferito al personaggio Leopold), che ricorre con frequenza. Nel caso della  toponomastica: per la località Iacobenii  Vechi/Noi abbiamo tradotto gli aggettivi Vechi e Noi e tolto la -i  finale dell’articolo (Iacobeni Vecchio/Nuovo), in quanto denotativi e  relazionati con la struttura stessa del romanzo che oscilla fra il passato («vechi»)  e il presente («noi»).
   A  cura di Mauro Barindi e Maria Luisa Lombardo(n. 7-8,  luglio-agosto 2016, anno VI)
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