La storia di un triangolo imperfetto che parla di mare, di solitudine e di amore

Stefano Cominale, giovane autore originario della provincia a nord di Napoli, è alla sua prima esperienza come scrittore di romanzi, ma non è alla sua prima esperienza nell’ambiente artistico. In possesso di una laurea magistrale al DAMS e di un’assegnazione master all’Università di Barcellona in Teoria i Historiographia Cinematogràfica, nel 2008 gira il cortometraggio Janis dorme ancora, dedicato alla compianta cantante Janis Joplin, scomparsa prematuramente nel 1970, e all’arte surrealista, con cui partecipa nel 2009 alla II Edizione del Premio Cinematografico di Polena, all’VIII Festival di San Pietroburgo «Načalo-Inizio» e, infine, al concorso del Festival Internazionale del Giallo e del Mistero MystFest che vince nella categoria corto web più votato online. Nel 2009 gira il corto A mo’ di Modì, dedicato all’artista livornese Amedeo Modigliani. Nel 2013 risulta vincitore al Progetto Leonardo a Siviglia e lavora a una produzione che si occupa di documentari dal nome Savitel. Nel 2015, negli Stati Uniti, gira Almost Chet, dedicato al jazzista Chet Baker e alla poesia di Charles Bukowski.





Nel 2013, durante i suoi viaggi in metropolitana tra Brooklyn e Manhattan, comincia a lavorare a un soggetto cinematografico per un lungometraggio in inglese che avrebbe dovuto vedere la luce negli States; i protagonisti sono decisamente ispirati ai passeggeri che incontra quotidianamente nel D Train, una fauna metropolitana formata dagli appartenenti all’ultimo gradino della scala sociale del sogno americano. La sceneggiatura viene completata a Los Angeles e, con il titolo The Goldfinch, viene registrata allo U.S. Copyright Office nel 2015, ma subisce poco dopo una radicale trasformazione. Oscuri i motivi di questa metamorfosi, complice forse il richiamo della terra natìa, forse un amore mai sbocciato con la città californiana, o forse un incontro ravvicinato con l’asfalto di Pomona durante un viaggio in moto, sta di fatto che The Goldfinch, dopo avere visto il concepimento a New York di fronte all’oceano Atlantico e la nascita a Los Angeles con la testimonianza dell’oceano Pacifico, diventa ’O cardillo, si spoglia di tutti gli americanismi, la grande mela diventa una piccola città di provincia, lo slang diventa il dialetto napoletano, ma, per quanto riguarda i personaggi, come lo stesso autore dice, «gli ultimi restano gli stessi, da un capo all’altro del mondo». La trasmutazione, però, non è ancora completa, manca l’ultimo passaggio che viene concepito quando torna a New York: la sceneggiatura diventa un testo narrativo. Di solito, è dai romanzi che si estrapolano soggetti per il cinema e non viceversa; è la prima volta che un copione diventa romanzo. Non a caso, l’autore lo definisce «un ibrido, un testo narrativo con la pelle di celluloide».





’O cardillo ha un sottotitolo decisamente emblematico, Sceneggiata Blues, due termini che racchiudono due mondi, che a un primo sguardo, non hanno niente in comune e sembrano indiscutibilmente inconciliabili. La sceneggiata, infatti, è un genere teatrale tipicamente napoletano, adottato in passato per un breve periodo anche dal cinema, che prende spunto da una canzone popolare che traccia la trama, dove un’azione molto semplice e pochi personaggi, tra cui spiccano isso, essa e ’o malamente (lui, lei e il malvagio), scatenano le emozioni del pubblico, un pubblico che in passato partecipava attivamente e vivacemente alla recita, incitando l’uno e inveendo contro l’altro, schierandosi con l’uno o l’altro dei protagonisti, tanto da, talvolta, degenerare in risse nella platea. Dall’altra parte troviamo il blues, il blues che è una forma di canto popolare afroamericano, nato nelle piantagioni degli Stati Uniti del sud, i cui temi sono legati alla schiavitù e alle sue conseguenti frustrazioni; la musica è quasi una nenia, un lamento, da qui il termine blues, che viene appunto dalla locuzione inglese to feel blue, letteralmente sentirsi blu, per intendere il sentimento di malinconia, il sentirsi un po’ giù. Ma perché questo sottotitolo con l’accostamento di due parole e due generi apparentemente così lontani geograficamente, socialmente e storicamente? Per rispondere a questa domanda bisogna tenere in considerazione le origini partenopee dell’autore e la sua esperienza americana.
Le radici di Stefano Cominale appaiono evidenti già nel titolo ’O cardillo, non solo perché il termine è spiccatamente napoletano, ma soprattutto perché il cardellino è un elemento che si ritrova spesso nella canzone classica partenopea, come Lu cardillo, canzone del ‘700 di autore anonimo, dove l’uccellino svolge il compito di messaggero d’amore o di vendicatore. Anche il nome della protagonista, Regina Esposito, evoca una delle canzoni napoletane più note Reginella, scritta nel 1917 da Libero Bovio e musicata da Gaetano Lama, e anche qui troviamo un cardillo, ma questa volta l’uccellino in questione impersona la protagonista della canzone e viene invitato a volare via, così come ha fatto l’innamorata Reginella.





E un cardellino, suo malgrado si ritrova a essere il leitmotiv, talvolta silenzioso e invisibile, del nostro romanzo, che accompagna con la sua presenza le vicissitudini dei protagonisti, protagonisti che sembrerebbero usciti da una sceneggiata contemporanea, con il famoso trio formato dalla coppia insidiata dal terzo incomodo, protagonisti i cui nomi sono un omaggio al teatro eduardiano, protagonisti che si ritrovano a incarnare le macerie di una città distrutta dal terremoto, protagonisti che sono protagonisti di un romanzo, ma comparse della loro stessa vita.
Stefano Cominale sceglie nomi simbolici per i suoi personaggi, nomi importanti che ci fanno subito pensare al grande Eduardo De Filippo, come il politico corrotto e camorrista, Gioacchino Marvizzo, un chiaro riferimento a Gioacchino, custode della tenuta Marvizzo, che Antonio Barracano racconta di aver ucciso ne Il sindaco di rione Sanità; i due omonimi sono accomunati dallo stesso comportamento violento e prevaricatore, atto a sottomettere il prossimo e, se necessario, a schiacciarlo. Rino Murri, porta il cognome di Michele Murri, il protagonista di Ditegli sempre di sì, e come lui ha dei comportamenti talvolta folli, che gli fanno rischiare la vita in varie occasioni. Rino Murri è lo speaker di una radio locale, Radio Harlem, nome che si aggancia, non solo alla prima stesura del romanzo, ma anche al sottotitolo relativo alla musica afroamericana, essendo il quartiere di Harlem noto per il gospel. Rino Murri, detto ’O capitano perché è un ex marinaio, contrariamente a Gioacchino Marvizzo, è un perdente, ma è anche un sognatore, tanto Marvizzo è aggressivo, violento, malamente, così ’O capitano è schiuvato, per usare un termine caro all’autore, che appunto significa disgraziato, vocabolo proveniente dalla tradizione religiosa col senso di schiodato dalla croce. Il nome della protagonista, Regina Esposito, invece, potrebbe essere un omaggio all’attrice Regina Bianchi, sublime interprete di alcune delle commedie eduardiane più famose, indimenticabile nelle rappresentazioni di Filumena Marturano e Napoli Milionaria, ma soprattutto rappresenta una contraddizione in termini, un ossimoro, un nome altisonante, Regina, associato al cognome più comune a Napoli, un cognome da ruota degli esposti. Regina è una donna bella, molto bella, ma proprio la sua bellezza è la sua condanna, è una prostituta, è una donna forte, decisa, dura, perché a volte per sopravvivere è necessaria un’armatura, e lei se l’è cucita addosso quell’armatura, insieme agli abiti che ama confezionarsi da sola. Regina Esposito, come si legge nel primo capitolo «Da giovanissima viveva di sogni. Cresciuta, sognava di vivere».
La trama, come vuole la tradizione della sceneggiata, è semplice, Regina ha una relazione ‘professionale’ con Gioacchino, gli vende il suo tempo e il suo corpo; Gioacchino, uomo abituato a dare a tutto un prezzo e a comprare tutto ciò che vuole, ritiene Regina una sua proprietà e, totalmente affascinato da se stesso, ama filmare le loro prestazioni con una telecamera amatoriale; Rino, non ha niente a che vedere con i due, vive la sua vita ai margini della società, continua a fare lo speaker a Radio Harlem, o a quel che ne resta dopo il terremoto, passa solo la musica che gli piace, quasi tutta musica americana, ha una famiglia, o una presunta tale, con un’afroamericana più dura del granito e poco propensa a fare sconti, con cui ha un figlio, ed è prossimo alla cecità per una malattia che avrebbe potuto curare, ma le cui cure non avrebbe mai potuto pagare. Loro malgrado le vite dei tre si intrecceranno, dando vita a una serie di avventure sospese tra la violenza e la tenerezza, tra la speranza del sogno e l’amarezza del risveglio, tra la voglia di chiedere aiuto e il pudore o la paura di farlo. Le strade di Rino e Regina si incrociano alla fermata di un autobus, direzione periferia estrema, come il D Train che arriva a Coney Island, decisamente lontano da Manhattan, e incontreranno il cardillo che, scappato dalla sua gabbietta in un momento di distrazione, dimostrerà che la libertà non è un fantasma, anche se spesso è invisibile. Rino e Regina scopriranno di avere in comune più di quanto potessero immaginare, scopriranno di essere totalmente compatibili perché sono allo stesso tempo totalmente identici e totalmente differenti, scopriranno che anche loro possono avere il diritto di avere dei sentimenti: «Regina allora spalancò gli occhi in quelli di Rino. Il tempo per loro si arrestò nuovamente, consapevoli quella volta di afferrare l’infinito di proposito e tapparlo con cura in una bottiglia vuota».





Il nostro trio vive una vita fatta di degrado e desolazione, violenza e disperazione, respiri e apnee, in un ambiente indefinito, sappiamo che è Napoli, ma non ci sono particolari elementi a specificarlo, c’è il porto, ci sono le macerie del terremoto dell’80, c’è una provincia abbandonata al suo imbarbarimento; il tempo è scandito dalla musica, la musica che Rino passa quotidianamente, tra le macerie della sede di Radio Harlem e quelle della sua vita. Intorno ruotano altri piccoli personaggi atti a sottolineare, se non ampliare, lo squallore di questo sottobosco umano, dal fonico Ciccio, gigante con un ritardo mentale e angelo custode di Rino, al ‘dottor’ Sagliocco, medico radiato dall’ordine per oscuri motivi, da Iolanda Parker, moglie disillusa e violenta di Rino, a Ciuciù, barista nano, ma coraggioso, di un bar malfamato, e tanti altri, tutti che cercano di vivere o sopravvivere in una giungla chiamata vita. Una nota a parte merita Ciro Murri, figlio di Rino e Iolanda, un bambino poco più che decenne costretto ad assistere ai continui litigi dei genitori, litigi permeati da una violenza gratuita fatta di incomprensioni e delusioni; segno evidente della sua triste condizione è il suo mutismo, Ciro non parla e nessuno se n’è mai accorto, perché nessuno lo ascolta, la madre è troppo presa dalla sua rabbia e solo di rado Rino si ricorda di lui, ma quando cerca di trasmettergli il suo amore e le sue competenze per la musica, Ciro, pur senza parlare, gli dimostra la sua riconoscenza e il suo affetto attraverso un lungo abbraccio e Rino per la prima volta ‘sente’ il figlio, come lui stesso dice: «Non l’ho ascoltato. L’ho sentito; qua, nelle viscere».
’O cardillo è una storia fatta di mare, di solitudine e di amore, di mare perché l’immensa distesa d’acqua che fa da sfondo alla storia trasmettendo calma e tranquillità, segnerà anche il confine tra le vite dei vari personaggi; di solitudine, condizione comune a tutti i personaggi, che vivono una vita insieme ad altre persone, fisse o di passaggio, ma in realtà sono soli; di amore, e qui abbiamo vari tipi di amore, dall’amore a pagamento a quello genitoriale, da quello per l’amico a quello per una donna, ma l’amore, per essere vero, deve essere fatto anche di addii, perché se lo Yin è l’amore lo Yang è l’addio, perché l’addio a volte è un atto d’amore dovuto, che serve a ridare la libertà, come aprire una gabbietta per lasciare volare via un cardellino tenuto prigioniero.





Patrizia Ubaldl
(n. 11, novembre 2021, anno XI)




Bibliografia e sitografia
1. http://www.ilportaledelsud.org/cardillo.htm
2. https://it.wikipedia.org/wiki/Reginella_(brano_musicale)
3. Eduardo De Filippo, Cantata dei giorni dispari, Arnoldo Mondadori Editore, Milano 2005.
4. Eduardo De Filippo, Cantata dei giorni pari, Arnoldo Mondadori Editore, Milano 2000.
5. Stefano Cominale, ’O cardillo. Sceneggiata blues, Scatole Parlanti, Viterbo 2020.