Emil Cioran e il suo «Ultimatum all’esistenza»

Ultimatum all’esistenza. Conversazioni e interviste (1949-1994) è il volume a cura di Antonio Di Gennaro edito da La scuola di Pitagora nel 2020 che raccoglie delle lettere e oltre 30 interviste, la maggior parte inedite in Italia, di Emil Cioran. Il titolo è tratto dall’intervista con Ben Amí Fihman, nella quale Cioran afferma «Per me, scrivere è un ultimatum all’esistenza», frase che riassume il pensiero di Cioran per ciò che concerne la scrittura, da lui intesa come ultimo atto salvifico esistenziale.

Il pensatore romeno è noto per essere un grande lettore di biografie – appassionato in particolare di quelle di mistici come Teresa D’Avila –, convinto che le narrazioni di vicende personali e intime siano di gran lunga più interessanti dei classici filosofici, da lui studiati e apprezzati in gioventù, ma poi abbandonati in una seconda fase della propria vita-pensiero. Vicini allo spirito cioraniano, è una vera sorpresa leggere questa preziosa raccolta, che ci presenta Cioran attraverso interviste e lettere grazie alle quali conoscere aspetti, del pensiero e della vita (nel suo caso sono intrecciati), ancora poco trattati o approfonditi nelle sue opere o in altre conversazioni.

Molteplici le interviste grazie alle quali possiamo immaginarlo non solo come il pensatore ʽcupo’ che ha sperimentato il cafard, ma come un uomo amabile che accoglie l’intervistatore nella propria casa in rue de l’Odéon e non esita a raccontare particolari e aneddoti della propria vita, con l’acume e l’ironia che già lo contraddistinguono nei suoi scritti, e anche con una grande predisposizione a ridere (lo fa spesso dopo alcune sue affermazioni) e scherzare. Come quando, a proposito della sua impossibilità di imitare gli anacoreti, alla domanda di Alina Diaconú «Li invidia?» egli risponde che la sua è «una sorta di odio del vinto. […] ma ho anche capito, molto presto, di essere molto freddoloso, uno che in un convento non potrebbe stare, dato che come lei sa, i conventi non hanno riscaldamenti». A emergere è anche il Cioran provocatore nella scrittura e nella vita, come quando racconta della sua unica esperienza in Romania come insegnante, professione che non amava affatto: «Qualche studente iniziò a odiarmi. Facevo domande impossibili, del tipo: “Qual è la differenza tra psichico e psicologico?”».

Ogni intervista mette in luce aspetti differenti di Cioran, grazie a domande incalzanti e mirate che rivelano il punto di vista dell’intervistatore. Uno di questi, Hans-Jürgen Heinrichs, sottolinea un aspetto interessante di Cioran, affermando: «a volte ho l’impressione che l’intera sua opera sia molto più sistematica di quella di un filosofo sistematico. Credo che difficilmente ci sia una domanda esistenziale che l’uomo possa porsi che non appaia nella sua riflessione». Non trascurando nessuna domanda esistenziale e sviscerando ogni questione, il pensatore romeno mostra una forte coerenza, seppure espressa nella forma del frammento. Cioran, che in molte occasioni è tuttavia pronto a evidenziare le proprie contraddizioni, ammette: «ho sempre scritto la stessa cosa sugli stessi problemi. È un ruminare, un ruminare all’infinito cose impossibili». Se si tratta di un ruminare, è un tipo di ruminazione del pensiero capace di arricchire ogni volta la riflessione con sfumature e dettagli, che solo la cura estrema della parola, scritta e orale, può offrire. E in questo Cioran è un maestro, esperto com’è nel labor limae, in particolare da quando ha cominciato a scrivere in lingua francese. Sebbene proprio in questa raccolta definirà il proprio modo di scrivere un «urlare, come uno che corra per le strade e gridi», nelle interviste parla ampiamente della «giuridica» lingua francese, che considera opposta all’espressiva e poetica lingua romena, e dello sforzo necessario che gli è costato utilizzarla, tradendo così la lingua madre.

Nelle interviste e lettere ritroviamo argomenti molto cari alla riflessione di Cioran, alcuni già noti ai suoi lettori e altri meno trattati o approfonditi, tanto da costituire la vera e propria novità della raccolta. Tra i primi il tema del suicidio, che per Cioran ha una connotazione positiva in quanto «l’idea del suicidio, invece di deprimere e annientare, salva: senza questa idea mi sarei ucciso da un pezzo»; spesso chi meditava il suicidio si è rivolto a Cioran e proprio parlando con lui vi ha rinunciato. Inoltre il pensatore romeno, apologeta del fallimento, ribadisce l’importanza di quest’ultimo e, tra i personali, annovera quello relativo al buddhismo: per anni si è «dato delle arie», credendo di essere buddhista, ma alla fine ha dovuto ammettere di non riuscire a esserlo, affermando: «Io sono solo intellettualmente libero, non interiormente purificato».

Tra i temi già affrontati qui approfonditi – e a proposito di fallimento –, vi è la passione per la Spagna. Cioran parla della nazione che rivela essere l’unico Paese che ama, perché ama «il suo genio sconfitto» e racconta di come sia nato esattamente quell’amore: «Un giorno, su un treno, a bordo di un vagone di terza classe, è salito un contadino spagnolo. Era sfinito e lasciando cadere la sua bisaccia a terra mi guarda e mi dice: “¡Qué lejos está todo!” (Come tutto è lontano!). Quella frase è all’origine del mio amore per la Spagna».

Cioran inoltre parla del suo rapporto con le donne; negli anni della giovinezza le prostitute erano quelle che frequentava maggiormente e ricorda un episodio in cui una prostituta ebbe una «intuizione psicologica straordinaria». La donna, che ogni volta che faceva l’amore vedeva il cadavere del marito morto, una volta disse a Cioran che egli si trovava in uno stato analogo. Da qui il suo frequente citare le prostitute, che avevano «un’esperienza della vita inaudita».

Di grande novità nelle interviste le considerazioni su Nicolae Ceaușescu, sulla necessità di nuovi grandi uomini politici in Romania e sugli intellettuali romeni, come il suo amico Constantin Noica che, a differenza di Cioran, restò nella propria patria e affrontò sei anni di carcere. Quest’ultimo per Cioran aveva l’obiettivo di svolgere nella propria nazione il ruolo di maître à penser e divenire una grande personalità. A queste si aggiungono le riflessioni di grande attualità sull’Islam che Cioran, in seguito all’usura di cristianesimo e cattolicesimo, immagina espandersi fino a credere che «tra cinquant’anni Notre-Dame sarà una moschea».

Dalla raccolta emergono nuovi tasselli mancanti per ricostruire la figura di Cioran dal punto di vista del pensiero e della vita, che ci restituiscono il ritratto di un intellettuale libero: libero di contraddirsi, libero di non sposarsi, libero di pensare, di scrivere e di non scrivere (quando sceglierà di farlo). Leggere questo volume ci fa scoprire nuove sfumature del pensiero di Cioran e ci fa sognare di andare indietro nel tempo, per avere anche noi la fortuna di intervistarlo da giornalisti in rue de Odéon, o magari di conoscerlo da lettori che, al di là dell’età, fanno parte di quella «gioventù eccentrica» (così dicevano spesso, sostiene Cioran) che è il suo pubblico.






Rossella De Lorenzi
(n. 5, maggio 2021, anno XI)