Autoritratto con tartaruga in cammino verso lo Strega

Il romanzo in questione, pubblicato di recente, cioè in piena pandemia, da Feltrinelli, è Il libro delle case di Andrea Bajani, di cui corre voce che sarebbe nominato per il Premio Strega 2021. Sarei sorpresa se non lo ricevesse, perché il libro ha una profondità e una poesia che raramente si incontrano in prosa, e sarei sorpresa se lo ricevesse, perché la sua composizione è di un'originalità che può confondere chiunque non si renda conto che il significato profondo del libro emerge proprio dalla sua forma. Cercherò di presentare l'antinomia qui suggerita.

Prima, però, voglio ricordare ai lettori che Bajani è già noto in Romania: esattamente 10 anni fa è apparso presso la casa editrice Humanitas di Bucarest, in versione romena, il suo romanzo, a quel tempo già pluripremiato in Italia, Se consideri le colpe. Come il nuovo romanzo, anche quello raccontava la crescita e la maturazione del protagonista in una famiglia anomala. Giunto in Romania al funerale di sua madre, quel protagonista viveva, da un lato, fra i ricordi dell’infanzia, dall'altro, nella realtà di uno strano paese, la Romania, nei primi anni della transizione. A differenza del romanzo recente, quell’altro era scritto in prima persona, ma era caratterizzato dalla stessa oscillazione tra passato e presente, tra memoria e realtà vissuta immediatamente e senza pregiudizi, e come il nuovo, aveva al centro la trasformazione del protagonista in anni segnati soprattutto dalle relazioni familiari. Quel romanzo ha significato per me un'esperienza che voglio ricordare qui: ho saputo di Bajani e del suo romanzo ambientato in Romania da una preziosa amica, Ileana Bunget, allora docente di lingua romena presso l'Università degli Studi di Torino. Conosceva di persona Bajani, che all'epoca viveva anche lui a Torino, si era affezionata a lui e al suo libro e mi contagiò del suo desiderio di tradurlo e pubblicarlo in Romania. Il destino la fece morire della malattia che la consumava già da tempo prima che finisse la traduzione, traduzione che, su richiesta di Ileana, con il lutto nell'anima, terminai io. Questa è la parte buia della storia, ma ne segue un'altra, luminosa: l'arrivo di Bajani al lancio del libro e la mia scoperta di un giovane alto, bello, simpatico, fraterno, spinto dalla curiosità (portava sempre con sé un taccuino dove annotava tutto quello che destava il suo interesse), spregiudicato, desideroso di capire il mondo e le persone, loquace, insomma, un ragazzo solare! Ci siamo poi rivisti in altre occasioni come quando coordinava un bellissimo progetto per la formazione e il coinvolgimento dei giovani al Salone Internazionale del Libro di Torino. Negli ultimi anni non ci siamo più rivisti, ma nella mia mente persiste la luminosa giovinezza che la sua persona emanava. Tenevo a menzionare questo mio ricordo perché il romanzo di cui parlo qui rivela una persona che non riconosco e non conosco.

Ma torniamo al Libro delle Case. In sostanza, esso è il racconto dell'intera vita del protagonista (chiamato Io) fino a oggi, cioè dal 1976 al 2020 – vita che lascia trasparire con sufficiente limpidezza quella dell'autore – a partire dalla descrizione delle case dove ha vissuto o che in un certo modo hanno segnato la sua crescita: la casa della prima infanzia in cui muove i primi passi, quella della sua adolescenza quando comprende e soffre la disfunzione della propria famiglia, la casa di vacanza che accentua la sua solitudine, le case in cui vive l’esperienza matrimoniale, la casa in cui vivono in disordine gli amici studenti oppure la casa degli amici maturi che lo ospitano quando si separa dalla moglie, lo studio sul tetto di Parigi ecc. Ma affinché il lettore possa arrivare alle vicende, ai fatti e ai personaggi (poco numerosi e per lo più appartenenti alla vecchia e alla nuova famiglia) bisogna prima conoscere la casa in tutti i suoi dettagli architettonici e topografici, insomma la casa quale involucro della vita: metratura, divisioni, circolazioni, aperture, colori e materiali. Ripercorrendo i commenti sul libro di alcuni blogger, mi ha divertito quanti hanno espresso la perplessità o l’insoddisfazione di averci scoperto il linguaggio specifico delle agenzie immobiliari, sottolineato, per altro, dalle varie piante catastali inserite fra le pagine. Ma nel romanzo la nozione di casa-involucro della vita  si estende a vari altri spazi, concreti o affettivi, che segnano momenti significativi della vita o dell’immaginario del protagonista: la stanza d'ospedale dopo l'operazione della madre, o l'altra, dove la futura moglie cura il cancro; la casa (descritta a volte dentro, a volte da  fuori) in cui il protagonista compie la propria maturazione sessuale con una donna sposata, o la cabina telefonica da cui la chiama; la stanza o l'auto visti in TV in cui il Prigioniero (Aldo Moro) finisce tragicamente la sua vita nel 1978; lo spazio abbandonato che ricorda la morte selvaggia nel 1975  del Poeta (Pier Paolo Pasolini), la banca dove il padre apre il primo conto personale del giovane Io ecc. L'involucro costruito è detentore di uno stato d'animo del protagonista o di un'esperienza a volte così decisiva da estendere il proprio significato a un generico dentro affettivo. In questo senso gli esempi più eloquenti sono i capitoli Casa del persempre – che di fatto intende rispettivamente la fede nuziale e il sereno stato di sicurezza, di significanza, di fiducia e di certezza che il nuovo matrimonio gli regala – l'unico momento felice del libro, e i capitoli Casa dei ricordi fuorusciti che evocano il tormento e l'incapacità del protagonista di indagare il proprio io profondo, quello in cui giacciono i ricordi dimenticati.

Molto sinteticamente questo sarebbe l'argomento che riempie la forma, una forma che – come ho detto – è quella che, a mio avviso, dà il senso e il valore del libro. Ecco di che cosa si tratta: il libro è composto da 78 capitoli di 2-3 pagine ciascuno; ogni capitolo reca un numero, una data e un titolo che nomina una casa, e inizia con la descrizione dettagliata e concreta di questa. L'ordine dei capitoli non è cronologico ma casuale, case del passato si alternano a case recenti, case famigliari a spazi esterni, in più, alcune case sono rivisitate in diversi momenti o da altre prospettive, come rivestimenti di altre scene di vita. Questa disposizione, cui si aggiunge, ovviamente non a caso, la mancanza dell’indice, suggerisce, a mio avviso, un primo significato complessivo del libro: ovvero che la vita che l'autore effettivamente ci racconta, e forse anche la nostra, non può coagularsi in una narrazione portatrice di senso, ma è solo una sequenza casuale di episodi singolari –  che possono essere esperiti in qualsiasi ordine, dove il valore di ciascuno è unico e distaccato dagli altri, lasciando al protagonista, ma anche al lettore, solo una sensazione di veridicità e contemporaneamente di non-necessità. In realtà il percorso del protagonista è abbastanza chiaro e così sono pure le sue sofferenze e frustrazioni, i vari rapporti familiari, lo stato sociale e i vari stili di vita dei personaggi. Però mancano i nessi tra loro: come sono avvenute le rotture all'interno delle famiglie? Perché un matrimonio che sembrava essere il compimento del protagonista è finito? Quali motivazioni o eventi collegano gli episodi professionali? e così via. Per avere un'idea della struttura del libro immaginatevi una serie di piccoli filmati girati in famiglia durante gli anni, su pellicola di 15 mm, quella di una volta, e senza audio, in cui si vedono, in un paesaggio o in una stanza, alcuni personaggi (conosciuti o dimenticati) che compiono una breve azione di 3-4 minuti. Immaginate di essere seduti sul divano e di proiettare i 78 filmati a caso. Identifichereste i luoghi, capireste il significato di quell’unica azione, quella specifica reazione dei personaggi, forse anche le emozioni, ma vi mancherà quella sequenzialità necessaria a fare da tramite e a dare un senso all’insieme. Il paragone è giustificato anche dalla mancanza del dialogo e dallo sguardo sempre esterno sui personaggi. In tal modo il romanzo, che percorre tuttavia la formazione di un uomo, può essere considerato la negazione stessa del romanzo di formazione, del tradizionale percorso coerente e ascendente dell'eroe del Bildungsroman.
Inoltre, sebbene attraverso le scene rappresentate il romanzo si delinei come un romanzo autobiografico, l'autore vuole nondimeno distaccarsi dal suo personaggio in vari modi: innanzitutto la narrazione è in terza persona, benché il protagonista si chiami Io; poi i personaggi non hanno veri nomi ma si chiamano Io, Sorella, Padre, Moglie, Bambino, Parenti, Donna con fede, ecc., sono quindi categorie, non identità, e anche il protagonista, detto Io (seguito dal verbo in terza persona) è pure lui una categoria. Così il narratore extradiegetico (per usare un termine specializzato) che narra le case è extradiegetico anche quando narra se stesso, cioè quell’Io. Se a questa spersonalizzazione si aggiunge il fatto che il punto di vista, prevalentemente quello dell’impersonale Io, è sostituito a volte da quello di vari oggetti o della tartaruga (su cui tornerò subito), abbiamo, a mio avviso, un altro significato importante del libro: che l’universo in cui si svolgono le vite dei personaggi, le nostre vite, è uno orizzontale, senza gerarchie, senza gradi di valore.  È un universo privo sia di tragedia che di umorismo e di gioia, in cui la vita scorre cinerea e discontinua, segnata prevalentemente dalla solitudine, una vita in cui non si progetta il futuro e in cui non c'è posto per la speranza; eppure è una vita – se così si può dire – pregna di presenza e di attenzione (in cui riconosco, sì, l'uomo Bajani).
Oserei dire che, incentrando il suo romanzo sulla casa-involucro della solitudine – anche quando si è in compagnia – Bajani, consapevolmente o meno, ci offre l’immagine stessa della vita durante il confinamento per il Covid, un’immagine da risonanza magnetica di questo mondo malato.

Ma la rifinitura dei grandi significati del libro, derivanti, come dicevo, dalla sua forma, è data dallo stile e dal linguaggio: i capitoli giocano su molti e vari registri stilistici: quello burocratico-immobiliare o quello finanziario-bancario-militaresco –  che adoperano esclusivamente un linguaggio denotativo, preciso, persino tecnico e  volutamente «legnoso» – è irrigato da un'ironia spinta spesso sino al sarcasmo; mentre altri registri (come negli episodi della felicità coniugale, della separazione dalla moglie, quelli dedicati al luogo della morte di Pasolini, ai ricordi che non vogliono venire a galla ecc.) hanno in sé una poesia o evanescente o abissale, misteriosamente chiusa in frasi sapienziali o addirittura apoftegmatiche. Voglio dire che la particolare originalità del volume deriva non solo dalla struttura ma anche dal virtuosismo stilistico e dal linguaggio. Il che non rende necessariamente il romanzo facile da leggere (né facile da tradurre). Anzi, direi che il romanzo ci propone una certa tecnica di lettura e se la scopriamo e la applichiamo, avremo una rivelazione e un piacere: cioè, secondo me, il romanzo non va letto tutto d’un fiato, ma capitolo per capitolo, magari a caso e con interruzioni. Dico, quindi, che il volume merita di essere letto come si legge un libro di poesia, perché il gusto cinereo della vita è generosamente compensato dal lirismo che lo impregna.
Non so se sono riuscita a chiarire l'antinomia di cui parlavo all’inizio, ma so che devo chiarire la parabola della tartaruga. La tartaruga è l'unico animale menzionato nel romanzo e riappare, come un senhal, in più capitoli: quando gareggia nel cortile con l’infante, quando cambiano gli inquilini della Casa del sottosuolo, quando Io adulto percorre i luoghi della morte di Pasolini ecc. È l'animale-chiave-di-lettura del libro: quello che, a differenza dei personaggi del romanzo, che cambiano le case, porta costantemente con sé la propria casa; a differenza dei personaggi che oscillano continuamente fra una prospettiva interna e un’altra esterna, la tartaruga ha una prospettiva unica, dall'interno verso l'esterno, e da un interno sempre sicuro e protettivo; a differenza dei personaggi che si agitano, appaiono e scompaiono, si ammalano e muoiono, vivono cioè sotto l'impero del cambiamento, lei, con la sua lentezza, è l’immagine della stabilità. La sua presenza è simbolica, e non a caso verso la fine del libro, l’autore le dedica un capitolo (Casa di Tartaruga) datato 2048, quando tutti i personaggi del romanzo se ne saranno già andati, tutti tranne la tartaruga, che in tutto questo tempo si è presa cura della propria casa, e che ora scopre la presenza di due piccoli di tartaruga e di un altro bimbo, come il piccolo che era nel passato Io, e si dirige gioiosamente verso la sua risata infantile. Non c'è speranza nel Libro delle Case? Come no? Nel 2048, per le tartarughe!





Smaranda Bratu Elian
(n. 6, giugno 2021, anno XI)