Il libricino di Galilei che cambiò l’immagine del mondo, ora anche in romeno

Nella collana «Biblioteca Italiana» della casa editrice romena Humanitas è apparsa di recente la prima traduzione romena del Sidereus nuncius (L’annuncio stellare) – il piccolo volume pubblicato da Galileo Galilei nel 1610 che cambiò non solo l’immagine che da millenni si aveva dell’universo, ma anche il modo di guardarlo e studiarlo. L’iniziativa e la traduzione appartengono a Gheorghe Stratan, fisico e professore di storia della scienza e perito traduttore. Come tutti i volumi della collana, anche questo è preceduto da un’ampia cronologia e da una prefazione dovuta a uno specialista italiano del campo. In questo caso la prefazione, firmata da un insigne studioso dei testi fondativi della scienza moderna e in particolar modo di quelli di Galileo, Franco Giudice, professore all’Università di Bergamo, spiega il contenuto dell’opuscolo galileiano e offre ai lettori romeni un’illuminante interpretazione del contesto storico, dell’ambiente e delle circostanze dell’apparizione del testo e soprattutto delle sue immense conseguenze. Alla struttura consueta della collana questo volume aggiunge, a modo di postfazione, uno studio complesso sul modo in cui, per usare le parole degli autori, «uno strumento può cambiare il mondo e ci può obbligare a rivedere la posizione che noi occupiamo nell’universo» – ossia sul contributo essenziale di Galileo alla tecnica della ricerca astronomica, sul modo in cui ha perfezionato e usato il telescopio. La postfazione e le note, generose e dettagliate, appartengono a un’eccezionale coppia di studiosi, il grande scienziato William Shea, per molti anni Presidente dell’Unione Internazionale di Storia e Filosofia della Scienza, illustre esperto di Galileo, e la ricercatrice Tiziana Bascelli, riprese dall’edizione del Sidereus Nuncius della Watson Publishing International LLC, SUA, 2009.

Pubblicato otto anni dopo il precedente volume galileiano apparso nella collana «Biblioteca Italiana», Le lettere copernicane, il libro recentemente offerto al pubblico romeno ne costituisce, si può dire, la premessa e la spiegazione: le lettere cosiddette copernicane, scritte da Galileo fra il 1613 e 1615 e rivolte ad alcune autorità del tempo, preparavano la lotta che il grande scienziato avrebbe combattuto con chi gli imputava l’interpretazione delle verità scientifiche, rivelate in primis nel Sidereus nuncius, come colpe morali da penalizzare. Per capire la rivoluzione prodotta nell’epoca dal Sidereus è utile citare le parole del noto specialista Giorgio Stabile, prefatore di quell’altro volume: «L’infausta unione di potere religioso e politico si era arrogata il diritto di decidere ciò che non poteva decidere, cioè della falsità in materia di fede di ciò che uno scienziato pensava, secondo coerenza e ragione, essere vero in materia di natura. Incolpando moralmente una convinzione intorno alla verità di una scoperta scientifica e intorno a dei dati di fatto, se ne vietavano, per timore, l’uso e le conseguenze possibili, soprattutto le implicazioni religiose e politiche. E nell’estremo tentativo di allontanare quelle possibili implicazioni, l’Inquisizione decise di vietare a Galilei di credere in quei dati di fatto». Ma che cosa aveva scoperto e affermato Galileo così da suscitare una tale reazione da parte delle massime autorità del tempo? Il Sidereus nuncius  lo chiarisce pienamente.

Nel 1609 Galileo entra in possesso di un cannocchiale, strumento da poco tempo inventato nei Paesi Bassi e che in quei giorni cominciava a circolare per l’Europa; lo perfeziona avvalendosi della maestria dei vetrai di Murano e – ciò che a nessuno era ancora passato per la testa – lo dirige verso il cielo. Seguono mesi di osservazioni astronomiche, di disegni minuziosi e accurati delle immagini osservate e di graduali e strabilianti scoperte. Quando esse diventano chiare, Galileo si affretta a farle pubbliche in un opuscolo, appunto il Sidereus nuncius, scritto in latino, e che esce nell’anno seguente. La fretta era giustificata dal fervore delle ricerche astronomiche nell’Europa del periodo, e dunque anche dal desiderio di non mancare il primato delle scoperte, mentre la lingua latina, comune agli intellettuali del tempo, poteva garantirgli una diffusione immediata e vasta. Ed è proprio quello che avvenne, infatti. Per sapere l’impatto prodotto da questo piccolo volume bisogna ricordare che in quel momento la rappresentazione dell’universo era ancora quella aristotelico-tolemaica o, se vogliamo, quella di Dante.

Le scoperte, descritte passo per passo nel volume con la stringatezza e la limpidezza specifiche di un manuale recente di fisica – stile in quel tempo ancora inusitato, e le loro immense conseguenze, non suggerite nel volume ma ben presenti nella mente dell’autore, sono, in grande, le seguenti: la descrizione della superficie lunare, che provava che il satellite della Terra, dunque virtualmente anche altri corpi celesti, era fatto come il nostro pianeta – il che suggeriva che la «quinta essenza» di cui erano costituiti i cieli secondo il sistema aristotelico-tolemaico era un inganno, che gli astri potevano essere simili alla Terra e, viceversa, che la Terra non costituiva un’eccezione cosmica; la scoperta dei quattro satelliti di Giove – scoperta consacrata da Galileo ai Medici, granduchi di Toscana e suoi prossimi protettori – provava che non tutti i corpi celesti ruotano intorno alla Terra, centro assoluto di tutti i moti dell’universo secondo il sistema aristotelico-tolemaico. Ne risultava che il sistema stesso, ossia l’immagine e la concezione che si aveva allora dell’universo, comportava errori essenziali. In più, il fatto che uno strumento, in quel caso il telescopio, ampliava di molto la vista umana era la prova incontestabile che l’uomo uscito dalle mani di Dio non era perfetto, ma semmai perfettibile grazie alla propria intelligenza e ai propri sforzi. E oltre tutto, le scoperte descritte nel libro provavano, concretamente, non ipoteticamente, che convincimenti millenari dell’umanità riguardanti il mondo circostante potevano essere falsi e che, da allora in poi, le asserzioni riguardanti la natura non potevano più partire da una visione globale filosofico-religiosa sul mondo bensì solo da osservazioni concrete, parziali e progressive. Il piccolo libro, di conseguenza, gettava le basi della scienza moderna e del suo metodo di ricerca, demolendo un sistema secolare dello scibile e, nello stesso tempo, legava indissolubilmente la ricerca scientifica alla tecnica. E nella conclusione del piccolo trattato, il riferimento esplicito al sistema copernicano, più rispondente dell’altro alle scoperte esatte in esso descritte, avrebbe aperto definitivamente la scatola di Pandora: la cacciata della Terra, e dunque anche dell’uomo, dal centro dell’universo e dalla sua posizione privilegiata nel processo della Creazione e negli intenti del Creatore. Era da aspettarsi, dunque, che le conseguenze delle scoperte descritte nell’opuscoletto galileiano spaventassero tutte le istituzioni e tutti i pensatori fedeli allo statu quo del conoscere.

Crediamo che quanto detto sopra spieghi sufficientemente l’importanza di questo libriccino (47 pagine) nella sua epoca. Il fatto che esso sia fruibile finalmente anche in romeno e proprio in questi nostri tempi non deve, però, essere inteso solo come un dovere verso i fondamenti della modernità ma anche come un monito e un segnale d’allarme riguardanti le ripercussioni vaste e imprevedibili che possono avere in qualsiasi tempo, presente o futuro, le scoperte scientifiche e tecniche.



Smaranda Bratu Elian
(gennaio 2019, anno IX)