«Le luci delle pietre»: Dinu Flămând e Savina Tarsitano, poesia e arte su scala internazionale

Lo scorso 10 maggio il prestigioso e vivace centro culturale MARCA, Museo delle Arti di Catanzaro, ha ospitato un evento che ha coniugato poesia e arte, Romania e Italia. Si tratta di un progetto artistico nato dalla collaborazione del noto poeta romeno Dinu Flămând e dall’artista Savina Tarsitano, progetto promosso dall’Amministrazione Provinciale di Catanzaro e dalla Fondazione Rocco Guglielmo e patrocinato dalla Fondazione Bogliasco di New York e dal centro d’arte e cultura Espronceda di Barcellona.

Se Dinu Flămând, poeta e traduttore di fama internazionale, è ben conosciuto dai lettori di questa rivista che, fra l’altro, nel numero di settembre 2015 gli ha dedicato un’ampia intervista sui suoi legami con la poesia e cultura italiana, con Savina Tarsitano è bene far conoscenza adesso: nata a Catanzaro, artista complessa, la cui arte spazia dalla fotografia alla grafica, alla pittura, alle installazioni e all’illustrazione, dedica la propria vita a una sostenuta serie di progetti consacrati all’integrazione sociale dell’arte, intimamente legati alla fisicità e spiritualità di vari luoghi del pianeta.

Savina Tarsitano e Dinu Flămând si sono incontrati nel 2005 durante un soggiorno presso il Centro Studi Ligure per le Arti e le Lettere gestito dalla Fondazione Bogliasco di New York e insieme hanno dato alla luce un progetto più unico che raro di dialogo fra poesia e arte, il progetto Le luci delle pietre. Il titolo è ispirato al volume omonimo – l’ampia antologia bilingue di poesie di Dinu Flămând La luce delle pietre pubblicata nel 2010 presso la casa editrice Palomar di Bari, a cura di Giovanni Magliocco, e illustrata da Savina Tarsitano. Il progetto, scaturito da un’eccezionale affinità spirituale di due artisti che parlano, concretamente e figuratamente, due linguaggi diversi – quello della parola di Dinu Flămând, romeno, e quello grafico e fotografico della Tarsitano, italiana – intende diffondere nel mondo un tale dialogo rendendolo itinerante. Nel 2010, quando, in contemporanea con l’antologia italiana suaccennata, usciva un nuovo volume antologico di poesie di Dinu Flămând, Umbre şi Faleze (Ombre e Falesie), pubblicato dalla casa editrice romena Brumar e illustrata dai lavori fotografici della stessa Savina Tarsitano, i due artisti iniziavano un tour europeo di dialogo delle arti – ossia mostre delle opere della Tarsitano accompagnate, in perfetta sintonia, da letture e commenti delle poesie di Dinu Flămând. Questo primo tour, incoraggiato da istituzioni culturali di prestigio europee e americane, iniziato a Berlino, è continuato poi a Roma, Torino, Bruxelles ecc. per finire a Genova in occasione del 15° anniversario della Fondazione Bogliasco di New York. Ma nel 2016 i due artisti si rincontrano a Barcellona e decidono di organizzare, a partire dal 2017 e sempre dalla Germania, un secondo tour mondiale. L’occasione è l’uscita della traduzione tedesca del volume antologico Ombre e Falesie del Flămând, edizione illustrata sempre dalla Tarsitano, con opere realizzate presso il Castello di Coswig. Il nuovo tour implica, come il primo, letture e commenti di poesie di Flămând ambientati in un nuovo ciclo di opere della Tarsitano e di installazioni di arte contemporanea.

Nel contesto di un tale progetto itinerante, l’evento di Catanzaro è altamente significativo: mentre le ombre di Savina, di ritorno nei suoi luoghi natii, significano un recupero concreto delle proprie origini, per Flamand esse sono l’occasione di rivivere, con sofferta immedesimazione e con altrettanto sofferto distacco, da varie distanze spaziali e temporali, la memoria delle proprie origini, le ombre dei suoi cari scomparsi, nella Transilvania, mitica e quasi mistica, della sua infanzia.

Una prima presentazione del nuovo progetto è avvenuta lo stesso giorno a Lamezia Terme, preludio di una serie di riprese e di sviluppo di una tale sinergia. Al MARCA, poi, il progetto dei due artisti e l’attuale tappa del nuovo tour di questo dialogo fra arti, culture, luoghi e memorie sono stati presentati dal critico d’arte Teodolinda Coltellaro, con un’introduzione di Rocco Guglielmo, direttore artistico del museo, che hanno sottolineato quello che  Karl-Erik Norrman, Segretario Generale del Parlamento Europeo della Cultura, aveva sinteticamente definito «una splendida prova che genera risultati creativi».

Di seguito, offro ai lettori italiani, in anteprima, la traduzione di una delle più belle poesie del volume Ombre e falesie, già apparso in tedesco e in portoghese (con una prefazione di Antonio Lobo Antunes) e che l’Italia non potrà lasciarsi sfuggire.

 

Giardino tropicale

Non credevo che divenisse così difficile
entrare in questa tua assenza che la presenza
della tua assenza mi apre ogni giorno davanti
madre 

sin dalla mattina quando il mio pensiero
esce a prender aria sul viso con l’umida maschera
del sonno e con gli spaventi notturni che ancora mi bagnano
la pelle e qualcosa dentro di me rimasto sveglio
persino nel mio sonno si oppone a quel pensiero
prima che fosse ancora pensato

non credevo che tanta non accettazione si ostinasse
davanti al definitivo
come se da qualche parte fosse rimasta non aperta
una porta inesplorata una possibilità...

mentre cozziamo contro uno di quegli spigoli
che feriscono senza sapere quando né dove
perché le cose nascondono sconosciute aggressioni
 
e se l’oblio viene... come mai non viene?  

o se c’è un tempo tutto suo come mai il mio tempo interno
non lo riconosce?

come se una grande impossibilità non del tutto
compiuta ti tenesse lontana
fino a che questo contrattempo o sfasamento
delle nostre vite si correggerebbe da sé
o tramite la somma dei complessi movimenti delle galassie
nei tempi lunghi covati da una pigra
intuizione umana...

ho quest’immagine guardando la femmina del pavone
nel giardino tropicale dove mi trovo (toccata da un’aberrazione
dell’istinto ha abbandonato le uova
con un’indifferenza suicida
e ora le cova solo il vento)

mentre non lontano il mare freme fra le mangrovie
della riva e le palme di cocco ripetono i cerchi del loro volo
attente solo a salire fino alle nuvole

e intorno a me sono le donne del luogo  
imponderabili mulatte
sempre chine su delle pentole dove qualcosa sta bollendo
o per bollire come per un’interminabile cena
mentre le loro mani separano i fagioli sventrano il pesce spremono
il succo dei minuti frutti pitanga (simili a giovani lamponi nostrani)
cuociono il riso e preparano il bollito di mais
lo stesso che nutriva la sera i contadini della Transilvania
e tutti quei gesti ti riportano davanti ai miei occhi

come loro ti affaccendavi per una famiglia numerosa
nei giorni della mietitura o quando si raccoglieva il fieno
e quando con lo stesso dondolare dei fianchi e con lo stesso
nembo di odore di femmina di queste
donne ondeggianti di Bahia
altre donne venivano ad aiutarci in un altro mondo
dove tu c’eri

sa di fumo l’isola
di spedizione in terre selvagge 
di pericoli e di fuochi di segnalazione
sa di agguato nelle siepi sulla riva
e nelle grotte sul mare dove si radunano le vipere
sa di pietra arsa e di chiodo arrugginito e di muschio di terra
che avvolge il tronco dell’albero sapateiro

mille radici sgorgate dal profondo lo allacciano
in una simbiosi che rasenta il soffocamento
si direbbe che qui radici prive di tronco assalgono i grandi alberi
e muoiono abbracciate ad essi dopo centinaia di anni
qui vuoti disabitati si aprono nella terra sotto le case
e foglie a sega tagliano il vento a fette di sonetto  

nei sonetti delle nozze barocche seguite allo sbarco
di tempo fa
quando alla riva una sfilata di vulve glabre accoglieva
la ciurma dei soldati di Alentejo con il loro sudore di molti mesi
accumulato sotto le corazze della civiltà

ora le negre arrostiscono le noci di acaju come ai tempi delle fazende
e tritano il pepe portano gli oli sorvegliano i bolliti
e di nuovo sa di paese transilvano e la mia mente è un cavallo
che sorge dal mare
un cane che gioca sulla spiaggia con il granchio morente
gettato dalle onde

la mia mente diventa la mia immaginazione però tanto concreta
che ti parlo e ti porto l’acqua dalla fontana
ti colgo i pomodori del giardino i baccelli dei fagioli dai sostegni
ti tolgo le patate dalla terra ti stacco i chicchi di mais
dalle pannocchie e ti porgo il sale che
disattenta (perché tu pure parli con me)
non trovi

e i tuoi occhi già agguatano l’autunno che mi stacca
da te per portarmi fra estranei a scuola
tu detesti la scuola detesti la città detesti ogni partenza
che potrebbe essermi utile e farmi un futuro
se quel futuro comincia col separarci

 

eri l’unica a sapere che significa la partenza del figlio
dove iniziano le assenze e dove finisce la felicità
tutti ridevano di te della materna esagerazione
senza vedere quanta disperazione c’era
nella tua delicatezza di non rischiare
a infastidirmi e ad allontanarmi da te

Ma tu sola sentivi giustamente che le gioie si sfasciano
dopo tali separazioni diventano stracci
lunghe tristezze e perdite definitive
di cui l’anima non guarisce mai

e se io adesso non riesco ad entrare dentro la tua assenza
abitarla e guardarvi attraverso
come guardo attraverso questa finestra da dove vedo alberi
che acchiappano il vento come si acchiappa il bioccolo dei pensieri
e se da tanto tempo sto davanti alla porta della tua assenza
con le chiavi sbagliate
e col rifiuto di entrare
significa che tocca a me di capire quello che tu
sapevi quando non accettavi la nostra separazione

io che adesso sono diventato tua madre
perché io sono rimasto mentre tu sei andata
che ho perso la speranza che ritorneresti dalla scuola
dell’eternità
dove ti ha mandato e chi?

sopra l’isola una distorsione dello spazio accoglie
le nuvole cariche d’oro che vengono da Minas Gerais
e di diamanti dalle terre di Diamantina
e alla loro ascella si scorge una luce oscura
che si farà bruscamente notte illuminata dalla Croce del Sud

io mamma non ci credevo...
ma forse Drummond ha detto già tutto quando
riprendeva Dio perché porta via
da questo mondo anche le mamme
le mamme infinite come dice lui

non credevo e non credo
ed è la prova che la mente si chiude
e lascia fuori tutto quello che non entra nell’anima
quanto enormemente stretta diventa l’anima
di fronte all’irreversibile

e se qui mi parlano gli alberi e l’erba e persino
le sconosciute costellazioni di questo cielo
così nuovo per me
come nuove mi paiono anche le rigogliose nervature
le radici della vita

è perché qualcosa sta per finire?

perché qualcosa sta per cominciare?...


   

 

   

Smaranda Bratu Elian
(luglio-agosto 2017, anno VII)