Claudia Mandi: Volti/Immaginazioni cromatiche nella rinascita artistica della romanità antica

Non sono un esperto d'arte (di arti visive, per essere più precisi), benché da giovane l’assaggiassi animato dai creatori attivi a Craiova, molti dei quali erano amici e compagni miei nell’ambiente culturale locale; ho pubblicato alcuni articoli su mostre anche in risposta al riflesso quasi incidentale dello spirito indagatore di uno che frequentava le mostre e a volte l’intimità dei loro laboratori. Pellegrino attivo culturalmente attraverso l’Italia per quasi tre decenni, era normale che non mi sfuggisse mai l’opportunità di visitare e ammirare le ricchezze ben note di un’arte patrimoniale eccezionale nella storia universale del genere e del genio creatore nei vari spazi dei musei sparsi dappertutto nel Bel Paese.

In questo particolare contesto, l’incontro con la recente fase creatrice dell’artista di Craiova, nata per caso nel mio territorio natio, formatasi nella sua città natale e poi a Timișoara, Claudia Mandi, nella sua mostra che porta il titolo in italiano – Antichità Immaginata (in Italia, l’artista ha portato a termine vari stage di perfezionamento e ha aperto mostre) – questo incontro mi ha subito suggerito un evento che trae il tema e la pertinenza dalla dimensione di un talento artistico in piena affermazione. Inoltre, questa è una fase intensa di maturità che indica il profilo di una personalità confermata nell’ambiente artistico.

La riposta all’inevitabile domanda sulla «fonte» di questo alquanto inaspettato, almeno da noi, tema, è indebitato al suo soggiorno a Roma, educativo in quanto borsa di studio, posto gremito a ogni passo di reliquie figurali, murali, sculturali o rese immortali dalle mani dei geni della pittura. Almeno che non fossero intrinseche alla vocazione e al profilo assunto come tale dall’artista, non posso ignorare il suo orientamento verso il Barocco romano, sin dagli anni della laurea universitaria, e il suo incentivo di problematizzare, in senso strettamente specifico all’arte della pittura, dell’immaginazione, come scatto creativo attivato nelle sue risorse più proiettive.

Nel percorrere, anche brevemente, la sua attività espositiva, possiamo concludere che quasi otto degli almeno venti incontri con il pubblico sono avvenuti in Italia, con diverse tematiche che hanno seguito sempre la linea dell’autentificazione della sua vocazione a investigare il volto umano, soprattutto sotto l’impatto della cromatica densa e diversa con i quattro elementi che attraversano la storia culturale e umana fin dai suoi inizi: aria, terra, fuoco e acqua.

Essi, gli elementi, mi sembrano producenti di senso per la diversità cromatica, e allo stesso tempo sembrano inquadrare i corpi umani, che non a caso sono in gran parte femminili, vividamente colorati, fluidi (come nei dipinti veneziani di un’altra fase-mostra), fluttuanti, nei movimenti insinuati con abilità e, direi, padronanza; la cromatica, il blu azzurro specifico anch’esso del paesaggio italiano, l’ocra, con colori di rosso e blu soprattutto nel contorno dei corpi femminili, con pochissimo nero o grigio soprattutto nelle linee trasversali per conferire una più ampia trasparenza, il rosso, nella sua varietà di toni, il bianco e, certamente, come sfondo per il blu marino o per la fluidità della stessa corporalità quasi sempre come figure dai contorni di mirabile precisione.

Segnate da un’affascinante espressività che incita, suscita anche i sensi addormentati dell’essere umano contemporaneo, prigioniero del virtuale televisivo o cinematografico, che conta sulla realtà non solo cruda, ma soprattutto alterata nei laboratori, le immagini corporali dei dipinti di Claudia Mandi sono, in questa mostra ospitata dalla Galleria degli artisti di Craiova, da un lato, dinamiche (come uno scatto, che anticipiamo dal titolo, della loro vicinanza, antiche predefinite, che, però, si sviluppano sobriamente e con una leggera grazia), ma, dall’altro, sono costantemente alla ricerca di una dimensione dello spirituale.

Ciò che l’artista chiama «il paradosso classico/anticlassico», calibrato attraverso varie tecniche dell’arte italiana delle diverse epoche nella sua plurisecolare storia, secondo me, non sfugge all’espressionismo, quel tonus dell’immaterialità che mantiene la trasparenza di un paesaggio, ma in cui si inquadrano il volto, la figura, e dunque quel corpo umano restituito alla sua dote – o alla sua radice – spirituale.

L’accuratezza del disegno che sembra aspettare di essere cercata nei dettagli – tutti realizzati e finalmente percettibili dall’osservatore come debito di un’accuratezza eminente – convergono, separatamente e insieme, alla costruzione di un’arte pregevole, configurando su una via relativamente breve gli attributi di un’artista che incide il suo nome – e la sua creazione – nell’illustrazione di un destino artistico già fissato e assunto.

La sua diligenza, il senso a volte acerbo della ricerca diventano non solo fonti d’ispirazione o tecniche di pittura innovativa, ma soprattutto punti di riferimento per la ricerca dentro l’immaginazione e la fantasia, senza di cui non c’è ideazione che si possa compiere veramente.

Volti/immaginazioni, dunque, come avevo suggerito sin dal titolo, con insistenza programmatica sul concetto di corporalità (antica) restituita alla nostra memoria sempre più lontana dalle radici perse, ma che può essere ritrovata nel vasto campo dell’arte.

















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George Popescu

(n. 10, ottobre 2020, anno X)