«Anexa 5.1». Mostra di pittura alla Galleria Helios di Timișoara

Intitolata misteriosamente Anexa 5.1, la mostra dedicata alle opere realizzate dai professori del corso di specializzazione in Pittura della Facoltà di Arte e Design di Timișoara, tenutasi nel mese di luglio del 2019 alla Galleria Helios di Timişoara, propone una breve presentazione dei risultati raggiunti grazie alla loro creatività durante l’ultimo anno accademico, di fatto uno sguardo attento sul proprio atelier. D’altronde il desiderio di esporre parte dei risultati delle ricerche visive svolte da ogni docente universitario si accorda bene con «anexa 5.1» che nel linguaggio anonimo-burocratico corrisponderebbe, appunto, alla performance artistica.

I professori del corso di Pittura dimostrano, uno per uno, di aver intrapreso una propria strada ben definita, originale, ma allo stesso tempo legata all’attualità. In questa selezione di lavori si ritrovano le principali tendenze della pittura contemporanea, dal figurativo all’astratto e viceversa, con tutte le sfumature possibili. Per Dana Constantin, la superficie pittorica diventa un campo su cui sperimentare colore e intrecci; lei stessa propone, come se fosse una priorità, l’uso del colore attraverso combinazioni raffinate per ottenere toni il più attenuati possibile, che tendono ai grigi sapientemente prodotti con accostamenti ben equilibrati. L’artista sceglie una dimensione speciale per le sue tele, sviluppate in verticale, alte e strette, disposte con interstizi, cosicché gli effetti cromatici ottenuti sulla superficie si combinano amplificandosi. Per accentuare la sensazione di vibrazione cromatica, Dana Constantin interviene sulla superficie dipinta con sottili pennellate come se fossero nervature dai colori complementari, ottenendo un effetto che potenzia sì il colore, ma in modo sottile, controllando il risultato del processo cumulativo.

La stessa sfera di interesse, quella delle ricerche cromatiche, accomuna Smaranda Moldovan e Andrei Părăușanu, entrambi colti nel tentativo di autodefinirsi e di distinguersi dagli altri colleghi pittori partecipanti alla mostra. Anche se non sempre il risultato ottenuto è scontato, le loro aspirazioni si dirigono verso una strada che potrà essere sviluppata in futuro. Evidente è lo sforzo di Smaranda Moldovan di cercare una via d’uscita dallo spazio bidimensionale, utilizzando sia materiali nuovi che tecniche frutto di esperimenti, realizzando una sorta di rilievo accanto alle sue composizioni.

La pittura di Dacian Andoni è in certa misura dedicata al figurativo, qualche volta i soggetti aspirano quasi alla narrazione; ma il problema principale è per lui rivolto soprattutto al modo di dipingere, ai mezzi di espressione, amplificati da pennellate nervose tendenti al neo-espressionismo. Il pittore si sente sfidato dal passato e non esita ad aprire «un dialogo con il Rinascimento», soprattutto per il fatto che, dopo varie peregrinazioni nelle regioni italiane, si è ritrovato di fronte a una natura antropizzata, in una sorta di armonia artistica e culturale (Arezzo). Mentre il disegno – di grandi dimensioni – cerca di catturare uno stato d’animo colto «in diretta», sul posto, la pittura, più elaborata, pone l’accento sui mezzi plastici che passano questa volta in primo piano, palesando l’impazienza di dipingere per catturare, con una certa avidità, ciò che si vede, e anche ciò che sta al di là.

Anche Cristian Sida ha esitato un tempo fra pittura astratta di fattura gestuale e un «nuovo spazio figurativo», ispirato a fonti libresche o a ricordi che si delineano in un nucleo narrativo-soggettivo. Ciò che l’artista pone in primo piano è, in realtà, il contenuto soggettivo, i temi personali che si articolano in un certo stato interiore, in un ostentato atteggiamento nombrilista, che ignora volutamente i dati estrinseci. Così, scegliendo come pretesto la letteratura surrealista di Boris Vian, articolata in modo esemplare nel suo capolavoro L’écume du jour, Sida dà sfogo all’immaginazione, sovrapposta a uno stato interiore messo alla prova dal testo.

Dal punto di vista figurativo, il più determinato dell’intera mostra resta Călin Beloescu, coerente con i propri principi espressi negli ultimi anni; egli prende l’avvio da frammenti di realtà di tipo fotografico, su cui costruisce una specie di narrazione spezzata e poi ricomposta come in un puzzle. La presentazione della realtà in una sequenzialità, che non ha apparentemente una logica, porta alla luce il tema della percezione, oggettiva e soggettiva in egual misura, invitando così lo spettatore a giudicare e valutare da solo in una zona di ambiguità. La scelta di dipingere solo nelle tonalità del grigio richiama in modo diretto la fotografia, permettendo di associare le sue tele a diverse fotografie di un luogo, ricomposto da queste immagini successive e allo stesso tempo frammentate.

Coerente ai principi dell’astrattezza, definita da costruzione e geometria, Liliana Mercioiu Popa sceglie di presentarsi con una composizione di grandi dimensioni (il termine installazione sarebbe tuttavia improprio per questa disposizione parietale). Liliana Mercioiu Popa ha occupato una superficie consistente dell’esposizione (una parete intera), il che le ha permesso di ottenere un’armonia e un equilibrio dinamico tra diversi elementi creando un insieme, e alcune tele che contengono costruzioni geometriche, sospese in uno spazio neutro dal punto di vista cromatico e quelle in cui i ritmi geometrici si combinano con gli effetti cromatici, creano la sensazione di galleggiare nello spazio. La disposizione delle tele sul pannello, la loro associazione in un tutto unitario conducono lo spettatore verso una nuova spazialità, virtuale tuttavia. Questa sensazione di tridimensionalità, prodotta da un accumulo di percezioni ottiche, sembra essere l’effetto previsto dall’artista, che dimostra così che l’astrattezza geometrica, di assoluto rigore, non resta prigioniera di rigidi principi, ma, al contrario, può creare allo stesso tempo una visione poetica.

Va menzionata, infine, l’unica opera presente alla mostra dell’artista Cristina Daju che rappresenta la trasposizione su di una tela bianca di un testo preso da un graffito pubblico. Loc de oftat mi è sembrato sin dall’inizio un lavoro atipico per l’artista, che ci ha abituato a un altro genere di lavori sia nel campo della pittura che della fotografia. Nel contesto di questa mostra attentamente elaborata, in cui ogni artista ha presentato con sincerità il lavoro frutto di ricerche nel proprio atelier, la tela in discussione è sembrata una canzonatura, esprimendo forse più che altro la sindrome di auto-commiserazione. Ma le discussioni sollevate sui social hanno messo in evidenza che, di fatto, il testo non era originale, ma prelevato da uno spazio pubblico e portato in una mostra, per cui anche lo stesso autore «anonimo» ha espresso disappunto per questo prestito non autorizzato. È esattamente ciò che manca a quest’opera, che, invece di creare un contesto concettuale, accompagnando la tela da un testo che avrebbe dovuto dimostrare che si trattava di un citazione, ha omesso di farlo. Se Daju avesse richiamato l’attenzione sul fatto di aver creato intenzionalmente un legame tra lo spazio della galleria e lo spazio pubblico marginale, accessibile a chiunque, il valore semantico dell’opera sarebbe stato indiscusso.

Al di là di ogni polemica, la mostra dei professori del corso di pittura è risultata essere un evento degno di nota, di una serietà indiscussa. L’esistenza di un catalogo, che avrebbe dato molta più risonanza a questo momento nella nostra storia recente, sarebbe stato di benefico vantaggio.


 

Daniela Constantin - Viola

 

Dacian Andoni - Contemplation

 

Smaranda Moldovan – Senza titolo

 

Liliana Mercioiu Popa – Livelli della realtà

 

Andrei Parausanu – Sequenza

 

Cristian Sida – Avec une fille dans un deux-pieces

 

Calin Beloescu – Il bel Sud I-III

 

Cristina Daju - Loc de oftat (appropriation)



Ileana Pintilie
Traduzione di Elena Di Lernia

(n. 11, novembre 2019, anno IX)