«Giappone. Terra di geisha e samurai» in mostra a Villa Contarini

La splendida Villa Contarini a Piazzola sul Brenta (Padova) è il teatro di una mostra eccezionale che si è aperta il 1° marzo 2025 e durerà fino al 29 di giugno del 2025. La mostra, curata da Francesco Morena, rappresenta il Giappone tradizionale ed è frutto di una intera collezione – fondo privato di Valter Guarnieri – con stampe, ceramiche, paraventi, kimono e due vere corazze appartenenti ai temutissimi samurai. Il passaggio dai paraventi con i magici ciliegi in fiore e fanciulle che decorano le ante diafane all’austera fierezza dei samurai, l’esposizione ci sprona a una esperienza unica: guardare la cultura e l’arte giapponese da dentro un altro scrigno di cultura barocca veneta del Settecento che è la sontuosa Villa Contarini, una delle più grandi e più belle ville venete. Il Giappone stesso è una terra di contrasti tra geishe e samurai, un paese la cui cultura e le cui arti affascinano da sempre, per varietà e raffinatezza già dal tempo degli impressionisti che, per primi, comprarono stampe giapponesi e presero spunto da queste meravigliose opere in formato Obon, insolito, o dai tagli cinematografici ante litteram evolute dall’arte delle Cinquantatré stazioni di Tokaido.
L’arte giapponese, come l’intero Giappone, si aprì al mondo a partire dalla metà dell’Ottocento e da allora gli europei e gli statunitensi hanno infatti avuto modo di conoscere in maniera sempre più approfondita il Giappone, apprezzandone le sue specifiche caratteristiche che lo rendono diverso da qualsiasi altro paese al mondo. Ma non c’è solo una curiosità culturale alla base. Vedendo queste meraviglie mi è subito venuta in mente la meravigliosa opera letteraria di una antropologa americana, Ruth Benedict, autrice di Il crisantemo e la spada, uno spaccato nella mentalità nipponica uscita dal genio di una scrittrice che non era mai andata in Giappone, ma che l’ha descritta alla perfezione. A proposito del fatto che spesso la scuola americana di antropologia ha servito la Patria quando si trattava di conoscere il nemico, nel caso del Giappone nella Seconda guerra mondiale, ma anche nello stesso periodo, di conoscere il modo diverso di approcciarsi all’altro sesso nelle diverse culture. Margaret Mead assieme a Ruth Benedict vengono considerate le principali esponenti di una corrente di studi definita studi di cultura e personalità. Margaret Mead fu tra le prime a sostenere il carattere di costruzioni culturali dei ruoli basato sul sesso. Tutto questo sforzo intellettuale era collegato all’America di allora implicata nella guerra e dove l’antropologia si sviluppa anche per poter, in un certo modo, conoscere l’altro, entrare nella mente della gente che apparteneva a culture così lontane dallo stereotipo occidentale, anche per poter prevenire e non far rivivere la catastrofe del Pearl Harbor.
Tornando alla mostra, è uno spaccato delle arti tradizionali giapponesi attraverso una precisa selezione di opere databili tra il XVII e il XX secolo provenienti dal fondo privato di Valter Guarnieri, un collezionista trevigiano con una grande passione per l’Asia orientale. E per non far mancare nulla, alla mostra si uniscono alcuni kimono di collezione privata e preziose ukiyo-e di Hokusai, Hiroshige e Utamaro dalla collezione di Giancarlo Mariani. Per i non intenditori ukiyo-e significa letteralmente «immagini del mondo fluttuante» ed è una corrente che nasce all’inizio del Seicento e dura sino alla fine dell’Ottocento e rappresentano delle stampe realizzate tramite la xilografia.
Il percorso si sviluppa per isole tematiche, approfondendo numerosi aspetti relativi ai costumi e alle attività tradizionali del popolo giapponese e tenendo conto anche dello spazio espositivo che è un’enorme sala dalle dimensioni lunghissime con le vetrate su un lato che ben si addicono a una infilata di paraventi magnifici di grandi dimensioni che rappresentano, il primo, una scena nel paesaggio, il secondo, una tigre maestosa di grandi proporzioni rispetto al fondale e in fondo il paravento che fa anche da logo per il biglietto della mostra che raffigura le due belle e graziose fanciulle sotto la pioggia dei ciliegi in fiore.
La parte centrale dell’esposizione è dedicata al binomio Geisha e Samurai, bellezza e forza, seduzione e audacia. Il Giappone tradizionale è infatti un paese popolato di bellissime donne, le geishe, e temerari guerrieri, i samurai. I militari hanno dominato il Giappone per lunghissimo tempo, dal XII alla metà del XIX secolo che è l’epoca degli Shogun, imponendo il proprio volere politico ed elaborando una cultura molto raffinata la cui eco si avverte ancora oggi in molti ambiti. La geisha, o più in generale la beltà femminile così come la intendiamo noi stereotipata – un volto ovale cosparso di cipria bianca, vestita in kimono elegantissimi e muovendosi con passi cadenzati, «ha rappresentato per il Giappone un topos culturale altrettanto radicato, dalle coltissime dame di corte del periodo Heian (794-1185) alle cortigiane vissute tra XVII e XIX secolo, così ben immortalate da Kitagawa Utamaro (1753-1806), il pittore che meglio di ogni altro ha restituito la vivacità dei quartieri dei piaceri di Edo (attuale Tokyo)» si legge sulla didascalia della mostra stessa.
E si passa subito dagli uomini agli dei. Molti, anche loro irrefrenabili e legati alla natura. Basta pensare perché l’unica condizione posta dal Giappone in seguito alla resa del 1945 fu quella di preservare l’istituzione imperiale. Per un giapponese l’imperatore è il figlio della Dea del Sole, Amaterasu, e implicitamente della Patria del Sol Levante, e il paese non potrebbe esistere senza il suo Imperatore, suo figlio. Così si spiega anche il fenomeno dei sacrifici in nome dell’Imperatore e della Patria, i temutissimi kamikaze, anche questo un nome di un fenomeno naturale, la grande tempesta che salvò Giappone dall’invasione cinese del sedicesimo secolo. Dal Shintoismo al Buddhismo, in particolare, di origini indiane, è giunto nell’arcipelago attraverso la Cina e la Corea. Esso ha permeato profondamente il pensiero giapponese, soprattutto nella variante dello Zen, che in questa sezione è testimoniata da un gruppo di dipinti nel formato del rotolo verticale raffiguranti Daruma, il mitico fondatore di questa setta. La natura fa parte dell’arte giapponese perché fa parte della dottrina scintoista. Una sezione della mostra è riservata al rapporto tra i giapponesi e la natura, che nello Shintoismo, la dottrina filosofica e religiosa autoctona dell’arcipelago, è espressione della divinità. Questa relazione privilegiata con la Natura viene qui indagata attraverso una serie di dipinti su rotolo verticale, parte dei quali realizzati tra Otto e Novecento, agli albori del Giappone moderno e dal sapore occidentale, segno dell’incontro tra le due culture.
Il testo della presentazione della mostra sottolinea che «A metà dell’Ottocento, dopo oltre due secoli di consapevole isolamento, il paese decise di aprirsi al mondo. Così, nel volgere di pochi decenni, il Giappone avanzò con convinzione verso la modernità. Intanto europei e statunitensi cominciarono ad apprezzare le arti sopraffini di quel popolo e molti giunsero a scoprire il mitico arcipelago. Il mutato scenario fece sì che molti artisti adottassero tecniche e stili stranieri, e molti artigiani a produrre opere esplicitamente destinate agli acquirenti forestieri. Tra le forme d’arte inedite per il Giappone di quei tempi, la fotografia d’autore occupava senz’altro un posto d’elezione. Gli stranieri che visitavano l’arcipelago molto spesso acquistavano fotografie per serbare e condividere un ricordo di quel paese misterioso e bellissimo. Bellissime foto dell’Ottocento che rappresentano la gente comune, le donne, la pacatezza del loro viso e la maestosità dei loro sguardi fieri sono la parte finale della mostra e fra tutte mi viene in mente una donna in primo piano con dei vestiti colorati nella fotografia secondo le tecniche che ricordano le stesse tecniche delle stampe dove i colori si aggiungono dopo il disegno, uno ad uno».
Siccome vi ho abituato a raccontare anche un po’ del mio vissuto nelle mie periegesi nell’arte, neanche questa volta non demorderò. Quando vedo una mostra d’arte giapponese non posso fare a meno di pensare a un mio carissimo amico che ho conosciuto nel mio tempo trascorso a Bucarest quando lavoravo all’Istituto «George Oprescu» dell’Accademia Romena e studiavo alla Facoltà di Storia dell’Università bucarestina. Si chiamava Gheorghe Kazar e tutti noi amici l’ho chiamavamo Ghiury, alla magiara, visto che era figlio di una signora ebrea di origini ungheresi che aveva sposato in seconde nozze il grande grafico nonché professore dell’Accademia di Belle Arti Vasile Kazar. Ghiury Kazar era uno dei massimi esperti di arte orientale, in special modo giapponese, e lavorava al Museo d’Arte Nazionale di Bucarest. Fu lui che mi familiarizzò con La grande onda di Hokusai, fu lui che mi spiegò la genialità della Pioggia sul ponte Ohashi Atake a Yudachi, fu sempre lui che mi insegnò il legame tra la stampa e la letteratura giapponese, la famosa Haiku. Quando leggo Giuseppe Ungaretti, soprattutto nel Porto sepolto l’haiku giapponese sboccia davanti attraverso le stampe e le mode degli impressionisti a Parigi dove Ungaretti si formò come dichiara lui stesso nella poesia I fiumi:

Cotici, il 16 agosto 1916
Mi tengo a quest’albero mutilato
Abbandonato in questa dolina
Che ha il languore
Di un circo
Prima o dopo lo spettacolo
E guardo
Il passaggio quieto
Delle nuvole sulla luna

Stamani mi sono disteso
In un’urna d’acqua
E come una reliquia
Ho riposato

L’Isonzo scorrendo
Mi levigava
Come un suo sasso
Ho tirato su
Le mie quattro ossa
E me ne sono andato
Come un acrobata
Sull’acqua

Mi sono accoccolato
Vicino ai miei panni
Sudici di guerra
E come un beduino
Mi sono chinato a ricevere
Il sole

Questo è l’Isonzo
E qui meglio
Mi sono riconosciuto
Una docile fibra
Dell’universo

Il mio supplizio
È quando
Non mi credo
In armonia

Ma quelle occulte
Mani
Che m’intridono
Mi regalano
La rara
Felicità

Ho ripassato
Le epoche
Della mia vita

Questi sono
I miei fiumi

Questo è il Serchio
Al quale hanno attinto
Duemil’anni forse
Di gente mia campagnola
E mio padre e mia madre.

Questo è il Nilo
Che mi ha visto
Nascere e crescere
E ardere d’inconsapevolezza
Nelle distese pianure

Questa è la Senna
E in quel suo torbido
Mi sono rimescolato
E mi sono conosciuto

Questi sono i miei fiumi
Contati nell’Isonzo

Questa è la mia nostalgia
Che in ognuno
Mi traspare
Ora ch’è notte
Che la mia vita mi pare
Una corolla
Di tenebre


Con questi bei versi pieni di amore per la geografia dell’anima, per l’Egitto natio, per la Francia che la formò, per la terra intorno a Lucca in Toscana dei suoi avi e per l’Isonzo dove Ungaretti combatté e dove scrisse questa bellissima poesia, lascio la mostra sul Giappone e sulla sua arte di Villa Contarini attraversando i saloni fastosi nell’ala destra del pianterreno e sbocco nel giardino all’italiana davanti al palazzo, attraverso la porta in ferro battuto capolavoro dell’arte con il bello stemma della famiglia in alto, percorro il ponticello sopra il canale dove si tenevano una volta le nauromachie, battaglie navali inscenate nell’età barocca, e attraverso la grandissima piazza davanti, abbracciata nel lato sinistro da un’ala dell’ex granaio che imita il colonnato di Lorenzo Bernini della piazza davanti alla Cattedrale di San Pietro in Vaticano, oggi sede di graziosi bar e botteghe e salgo in macchina. Sotto il vialetto di alberi di magnolie secolari esco per tornare a Padova con il profumo dei ciliegi in fiore nel cuore e una nostalgia per il Giappone che non ho mai visto in realtà, ma che tantissime volte ho esplorato nell’anima con la collezione delle stampe del Museo dell’Arte a Bucarest ben indirizzata dal mio amico Ghiury Kazar o dalla collezione del Museo d’Arte Orientali di Trieste, che si trova anch’esso vicino a una piazza famosa, Piazza dell’Unità d’Italia, il salotto buono di Trieste.

La mostra è stata prodotta da ARTIKA, in collaborazione con Veneto Edifici Monumentali s.r.l., socio unico Regione del Veneto presso il Complesso Monumentale di Villa Contarini Fondazione G.E. Ghirardi a Piazzola sul Brenta.

Informazioni più approfondite si trovano al link: https://www.artikaeventi.com/giappone.html 



Liana Corina Țucu
(n. 5, maggio 2025 anno XV)