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A Treviso, la mostra Hokusai. L’acqua e il segreto della Grande Onda
Dal 29 marzo al 28 settembre 2025, a Treviso, al Museo Luigi Bailo è aperta la mostra Hokusai. L'acqua e il segreto della Grande Onda.
Katsushika Hokusai è forse il nome più importante e meglio conosciuto dell’arte giapponese nel mondo. Maestro indiscusso del periodo Edo e dell’Ukiyo-e (il mondo fluttuante), nella mostra ospitata dal Museo civico Luigi Bailo di Treviso è «svelato» nel suo più intimo e profondo processo della realizzazione della stampa con il procedimento dell’incisione su legno – la xilografia e la sua minuziosissima sovrapposizione dei colori.
La mostra offre uno sguardo inedito e innovativo sul processo creativo di Katsushika Hokusai, l’autore della Grande onda. Il curatore della mostra è Paolo Linetti, storico dell'arte giapponese, oggi direttore del Museo dell'Arte Orientale Mazzocchi di Coccaglio (Brescia), che ha ricevuto nell'agosto del 2024 il riconoscimento del Ministero degli Affari Esteri del Giappone per il suo contributo alla promozione della cultura giapponese in Italia. Si aggiunge alla sua chiara fama la collaborazione con l’Associazione Mnemosyne.
Katsushika Hokusai ha come tema fondamentale la forza dell’acqua che si mostra in tutta la sua potenza per l’appunto nella Grande onda, ma dove il punto della prospettiva è il centro del vuoto che l’onda stessa crea nella sua crespatura. Lì, al centro, c’è lui, il monte Fuji, la dimora terrestre della dea Amaterasu («La grande dea che splende nei cieli»), la madre della dinastia nipponica e dea della Patria. Il cono della grande montagna sacra ai giapponesi fa da contrasto con l’elemento all’acqua – la grande onda – e l’immagine è proprio quella ormai conosciuta fino alla banalizzazione dello ying e yang, dell’armonia raggiunta dall’unione tra il maschile e il femminile. Le stampe del Maestro circolarono subito in Europa e a Parigi gli impressionisti s’impadronirono del tema declinandolo in molteplici varianti. Le onde del Campo di grano con i corvi di Van Gogh è solo l’esempio più famoso. Il Giappone era nell’epoca storica del massimo isolamento dall'Europa e dal mondo. Il Kamikaze, «il vento divino», era un tifone che aveva protetto il Giappone dall’invasione dell’imperatore mongolo della Cina, Kublai Khan, sia nel primo tentativo del 1274, che nel secondo, del 1281, Da allora, il Paese del Sol Levante visse in un lembo di solitudine, «un tempo di risa e di coltelli» che aveva portato allo shogunato e alla stabilità politica, dove il Giappone alleggiava nel dolce sogno del paese impenetrabile e lontano.
In questa atmosfera nasce il genio di Hokusai, Le sue opere sono un intreccio di rigore scientifico e d’immaginazione senza limiti, di reale e onirico, di luce e ombre, dell’analisi meticolosa della natura, dell’universo reale ma con un punto fermo religioso e mistico che è il monte Fuji. La sua sagoma troneggia al centro dell’onda, come l’imperatore in mezzo al suo popolo, come la madre della Patria Amaterasu veglia dall’alto della sua dimora, il monte Fuji, sui suoi nipoti – gli imperatori nipponici e i suoi figli, i giapponesi. Hokusai – l'acqua e il segreto della Grande Onda è una mostra che si propone di spiegarci nel suo percorso espositivo il procedimento della realizzazione della più famosa opera del Maestro. Le 150 opere descrivono il contesto della nascita della Grande Onda e il modo in cui Hokusai realizzò i suoi lavori più celebri. Il suo metodo di lavoro è molto simile ai modelli classici di alcuni maestri rinascimentali, anche se era impossibile la comunicazione con il Giappone a quel tempo.
Come si spiega allora questa assomiglianza?
L’unica via da percorrere è quella della forma archetipale che ogni grande artista raggiunge per vie sconosciute e misteriose di un sapere umano comune e sparpagliato nel mondo, ma che appartiene a una forma mentis che unisce e spiega la mente umana come un bagaglio di conoscenze e strumenti della conoscenza stessa che non ha limiti geografici o temporali, ma che definisce l’umanità. Hokusai è messo in dialogo con i suoi contemporanei Kunisada, Utamaro, Kuniyoshi per fare un’introspezione nella modalità grafica, nella tecnica che lui ha raffinato, maestria che poi si è diffusa nel mondo e ha fatto di Hokusai un maestro di stile e che ha formato le generazioni successive.
La mostra è aperta dal capolavoro di Chikanobu Yōshū della scuola di Utagawa, Comparazione di fiori primaverili, una xilografia policroma su carta di gelso di 369 x 751 mm del 1877 della Collezione Mnemosyne. Belle geishe ammirano i ciliegi in fiore accanto a un ruscello nella natura, attraversano un ponte, stendono dei panni bianchi e leggono dei papiri mentre sullo sfondo e in secondo piano la vita scorre nelle sue forme più tipiche; l’attraversamento in barca di un lago fatato, una cascata che scende ripida con le sue acque benedette e rinfrescanti, in una parola il mondo dell’Ukiyo-e che incanta i personaggi della stampa e allo stesso tempo noi visitatori.
Segue un’altra stampa di Yoshitora Utagawa, La casa di piacere Inamatoro a Shin-Yashiwara con le geishe: Somonosuke, Nowaki, Izutsu, Koine, Ariwara, Kacho e altre, una xilografia policroma su carta di gelso di 372 x 745 mm del 1870 che appartiene alla Collezione Mnemosyne. Nel tripudio dei colori sgargianti dei kimono con la prevalenza del rosso, belle fanciulle del mondo fluttuante suonano strumenti, declamano poesie, in uno spazio chiuso – la casa dei piaceri. In secondo piano si vede un cortile, dei personaggi che camminano sotto le lampade enormi che delineano lo spazio in modo asimmetrico come un taglio di uno sguardo di un voyeur che sbircia nel posto proibito.
Il rosso fa da collante alle stampe. Segue Hiroshige Utagawa II Il quartiere di Yashiwara della serie Le vedute di Edo, una xilografia policroma su carta di gelso di 337 x 226 mm del 1862 sempre della Collezione Mnemosyne. Al centro del reticolato c’è sempre lei, la Natura, rappresentata da un albero dalla chioma rossiccia come gli aceri canadesi nelle giornate fredde di novembre. Una processione di gente variegata vestita all’occidentale con pantaloni e camicie, con cinture bianche ma con i sandali infradito, massa che procede in un cammino circolare intorno all’albero imponente. Un personaggio maschile con un tamburo e inseguito dalle belle geishe dal kimono rosso e bianco con foulard blu e azzurri che cingono il giro vita e finiscono con un fiocco a forma di manicotto. Dietro, sfocati nel disegno e nei colori simili a quelli dei maestri della prospettiva rinascimentale, avanzano altri maschi con un capello di paglia conico come quelli indossati dai colonialisti occidentali, con tanto di pantaloni neri, ventaglio e una specie di kimono corto chiuso a portafoglio e stretto dal cinturino giallo-ocra. Dall’altro sovrasta una pergamena e la sua misteriosa descrizione che spiega presumibilmente la scena, il momento, la processione.
Quello che incanta dell’arte giapponese è la sua universalità d’espressione. Non esiste solo la xilografia, ma anche i kimono, i ventagli e i paraventi, oggetti e indumenti che non hanno limiti per la scelta dell’espressione artistica. L’arte è ugualmente maestosa, tanto in una stampa come in un kimono.
Kunimasa Utagawa in Sfilata di moda (kimono) sotto i ciliegi in fiore di sera, xilografia policroma su carta di gelso di 375 x 750 mm del 1887-1896 della stessa Collezione Mnemosyne ci fa vedere il mondo modaiolo e frivolo che sfoggia i più bei kimono dei dragoni rampanti, alla carpa che nuota nella seta, alle geometrie incantevoli dei rombi rossi e grigi, kimono che passano sotto i ciliegi in fiore come in un verso memorabile “Sì, il tempo passa/ Anche sotto ai sofà” della canzone Fuga all’inglese di Paolo Conte. Lanterne che svelano l’ora serale illuminano una coppia vestita all’occidentale, con lui dal baffo arcuato sotto la bombetta e lei con il capello di Mary Poppins, decorato dal mazzetto di ciliegie questa volta mature.
Non manca in queste stampe il teatro Kabuki con i suoi gesti esagerati, invenzione del 1603 della danzatrice Izumo no Okuni che si esibì per la prima volta nel ruolo della cortigiana (oiran).
Il Kabuki farà da tramite per la xilografia e grazie a questa forma di teatro popolare anche la grafica sul legno diventerà parte di un’estetica diffusa e popolarissima e dell’Ukiyo-e.
Prosegue Yashitora Utagawa con una rappresentazione molto vicina all’occidente – Shogunato di Ieyasu Tokugawa e il suo albero genealogico – xilografia policroma su carta da gelso di 373 x 756 mm, 1850-1899 della Collezione Mnemosyne, dove lo shōgun è come una specie di Re Artù grande e imponente al centro di una tavola rotonda dove stanno in basso e rimpiccioliti i suoi cavalieri con le katanain bella mostra. Sopra le loro teste c’è il lenzuolo dell’albero genealogico che fa da intestazione alla pagina. Sullo sfondo scarno e che funge da pannello decorativo risalta il ciuffo dello shōgun stesso. Un quadro del potere che non ha nulla da invidiare all’arte europea.
Sono rimasta colpita da una piccola xilografia di 370 x 265 mm della prima metà del XIX secolo della Collezione Lichene di Hokusai Katsushika Senju, provincia di Musashi della serie Le 36 vedute del Monte Fuji. In lontananza un po’ a destra, tra i quattro pilastri composti da due colonne unite a formare una T, s’intravede il cono imbiancato del Sacro Fuji isolato da una distesa azzurra dalle onde increspate. Un personaggio con la testa coperta da un cappello di paglia e ritratto di spalle sta trascinando un cavallo marrone imbizzarrito come le onde, sotto il peso delle sacche caricate in groppa. Alla sinistra in basso altri due personaggi: uno con un cappello simile e l’altro con la nuca rasata; sono rivolti verso l’orizzonte e in modo implicito verso il Sacro Monte Fuji. Una geometria di colonne e sguardi puntati verso il Mistero, oltre l’orizzonte, dove l’unica forma di rivolta è un cavallo che scalpita sotto la mano ferma dell’uomo, di colui che trascina e domina.
Infine, Utamaro Kitagawa – Ragazza rapita dai kappa, xilografia policroma su carta di gelso, 360 x 508 mm, ristampata nel 1960, commemorativa speciale, sempre della Collezione Mnemosyne. La stampa risente dell’influsso occidentale dove una bella fanciulla è colta in una posa che ricorda le stampe erotiche con i due demoni dalla schiena branchiata per poter respirare come i pesci, le dita dei piedi palmati e facce da scimmiette dispettose. L’altra ragazza, quella che si è salvata, guarda intimorita e impotente dalle rive di un’isola, il seno scoperto come una Venere pudica e coperta solo in basso da un drappo di seta rossa. Vicino a sé ha una cesta in vimini legata a un tronco di legno sotto un pino dalla verde chioma che sembra proteggere la fanciulla miracolata.
Giorgio Nicodemi, biografo italiano di Hokusai, scriveva nel lontano 1945: «Per comporre egli disegnava le varie figure, poi le provava e riprovava dentro i paesaggi finché non erano armonizzate con l’insieme». Il maestro giapponese componeva la scena partendo dai personaggi, ma sempre nell’armonia con il paesaggio e la Natura, casa delle divinità più svariate e sconosciute a noi occidentali, ma tempio dello shintoismo.
La vicinanza con il pensiero occidentale di Hokusai sta anche nelle parole che seguono: «Ogni figura può essere realizzata considerando la relazione tra cerchio e quadrato, utilizzando un compasso e una riga». Leggendo queste due righe l’uomo vitruviano di Leonardo da Vinci appare davanti ai nostri occhi come un filo rosso che lega la storia dell’arte, indipendentemente dalla latitudine o dalla longitudine in cui ci si trova.
Ritorno alla mia spiegazione dell’inizio sulla strana coincidenza tra il maestro del periodo Edo Hokusai e il Rinascimento italiano e che parte dal fatto che nella mente umana sopravvivono, secondo anche la scuola platonica, degli archetipi che si ripetono aldilà dello spazio e del tempo e ci sorprendono nella loro incredibile e inspiegabile similitudine.
La mostra a Treviso su Hokusai e il contesto nipponico del suo tempo è una tappa necessaria dopo aver visto la mostra Corpi moderni delle Gallerie dell’Accademia di Venezia che ho raccontato nell’articolo precedente, proprio perché l’uomo vitruviano di Leonardo si completa in un dialogo oltre il tempo con la mostra trevigiana dedicata a Hokusai. La grande onda viene descritta in modo didascalico nella mostra, dal disegno alla sovrapposizione dei colori, uno a uno, come in un vero manuale della xilografia e della stessa Grande onda e del suo «occhio» centrale, il Sacro Monte Fuji.
Vediamo come l’arte giapponese non è solo una dimostrazione dell’Ukyo-e, ma è anche scuola di pensiero mistico e filosofico, espressione dello shintoismo nella sua massima espressione artistica, rispetto per la Natura come dimora delle divinità e dell’identità del Giappone stesso.
Per informazioni più approfondite si consiglia di consultare il seguente link:
https://visitmuseumtreviso.com/shop/bailo-biglietto-con-mostra-temporanea/
Liana Corina Țucu
(n. 9, settembre 2025 anno XV)
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