«Il nuovo mondo», nella visione di Alessandro Bertante

È di forte impatto leggere Alessandro Bertante. È il suono intenso di una sirena che inizia a fischiare nelle orecchie. Lui racconta una realtà distopica, ancora da venire (o forse, in nuce, già qui?), ma fin troppo riconoscibile nel presente.
Intitola la trilogia Il nuovo mondo e i primi due capitoli sono, rispettivamente, Nina dei lupi e Pietra nera (Nottetempo Edizioni). Sono l’inizio – quando la Sciagura si abbatte sul mondo costringendolo a dimenticare tutto quello che si sapeva per reinventarsi – e l’avventura – quando, in una forma o in un’altra, si è imparato a vivere di nuovo.
Nina è ancora piccola quando la Sciagura inizia a tingere il cielo di viola, di nero, di terrore. Diventerà donna presto, anatomicamente e spiritualmente. I lupi di cui racconta il titolo non sono solo gli animali selvaggi che abitano le alture. I lupi sono anche loro, gli umani.
Con Pietra nera la narrazione si sposta nel seno di una nuova generazione seguendo un nuovo ritmo. Il sapore, questa volta, è quello dell’avventura. Alessio si sposta a dorso nudo tra le macerie del mondo, oltre Piedimulo, il luogo dove si svolge Nina dei lupi. Con Alessio, si tracciano i primi segni di una nuova genesi.
Docente di Narratologia presso lo IULM, finalista del Premio Strega, vincitore del Campiello, Sezione Giuria dei Letterati, Alessandro Bertante è uno scrittore che fa dell’italiano l’humus per le sue storie. Solo leggendolo si può cogliere appieno cosa possono restituire le parole quando diventano humus per una storia.
Come nasce la trilogia, quali simboli rappresentano Nina e Alessio, quali sono le radici della Sciagura di cui racconta, di questo e di altro ancora abbiamo parlato con Alessandro Bertante.


Difficile non chiederti una riflessione in merito al Premio Strega. Nina dei lupi, nella prima edizione uscita per Marsilio, nel 2011, è stata una delle opere finaliste dello Strega. Il motivo per cui è difficile non chiederti nulla in merito a uno degli appuntamenti più importanti, a livello letterario in Italia, è perché quest’ultima edizione, a causa dell’emergenza sanitaria che abbiamo vissuto – e stiamo vivendo –, è stata un’edizione sicuramente diversa dalle altre. Come hai vissuto l’edizione di quest'anno?

L’ho vissuta da lontano perché non potendo partecipare agli eventi mondani, che sono un po’ il lato più pittoresco dello Strega, mi sono ritrovato a viverlo da lontano. L’anno scorso è stato vinto da un mio carissimo amico, Antonio Scurati, che quest’anno faceva il maestro di cerimonia. In qualche modo, devo dire che l’anno scorso l’ho vissuto di più. Sono contento che lo abbia vinto Sandro Veronesi che è un bravo scrittore, nonostante faccia cose molto diverse dalle mie. È, comunque, un autore che stimo.
È stata – e questo va detto, con onestà – un’edizione minore, perché se allo Strega gli togli le cerimonie, anche un certo tipo di cerimonie tipicamente romane, non è la stessa cosa. Per la sestina, che aveva sollevato qualche commento, in verità erano anni che provavano a farla. Quest’anno è entrato Jonathan Bazzi, che secondo me è un autore di valore. Come sai, nella sestina si entra solo se c’è un piccolo editore che prende un numero sufficiente di voti per accedervi, ed è questo il caso di Bazzi, il cui esordio, secondo me, è un buon esordio. Sono contento per lui.

Nina dei lupi e Pietra nera sono i due capitoli della trilogia Il nuovo mondo: com’è nata l’idea dei due romanzi?

Nina dei lupi è uscita nel 2011, nella prima edizione per Marsilio, e nacque come libro. Non avevo in mente una trilogia. Ed è nato come mia esigenza di raccontare una storia che fosse in qualche modo evocativa di un immaginario magico ma anche riconoscibile in un futuro prossimo. Che avesse delle valenze molto legate alle tematiche ambientali.
Nel corso degli anni Nina ebbe successo, andò allo Strega. Io la pensavo una storia chiusa e infatti mi sono dedicato a scrivere tutt’altro, finché un giorno non mi è venuto in mente di dare un seguito a Nina perché mi piaceva ci fosse un suo retaggio, un suo lascito. E il lascito era il figlio.
Se Nina dei lupi è un romanzo di attese, perché c’è un nemico che sta arrivando, ed è un romanzo di sospensioni temporali, Pietra nera, invece, ha un ritmo tumultuoso. Sono quindi due storie complementari.  Nina dei lupi è un romanzo immobile, mentre Pietra nera è un romanzo di viaggio, avventuroso.

Sia Nina sia Alessio incarnano dei simboli, la loro stessa narrazione, la loro storia, in qualche modo trasuda riflessioni e implicazioni meno palesi, ma pronte a lasciarsi cogliere dal lettore. Cosa simboleggia Nina? E Alessio?

Nina è la speranza, è il mondo nuovo. È la speranza di un rapporto diverso con il mondo, è l’uomo che ridiventa parte organica di un contesto naturale e non il predatore che è adesso. Il capitalismo predatorio di cui noi siamo tutti, in qualche modo, complici – e non lo dico con cattiveria – non è sostenibile all’infinito. Un sistema produttivo che si basa continuamente sulla produzione è insostenibile, e lo abbiamo visto con il Covid adesso, è bastato fermarsi per due mesi perché a Milano tornasse l’aria respirabile e il cielo sereno come non lo vedevo dagli anni ’70. Un sistema sociale che si basa su questo non è compatibile con il pianeta. Nina rappresenta un futuro diverso in cui l’uomo finalmente ritorna dentro in un contesto naturale in modo non predatorio. Infatti, tutti i miti che ci sono in Nina dei lupi sono miti naturali e riguardano il rapporto dell’uomo che con il linguaggio magico riesce di nuovo ad avere un dialogo con la natura che sia mutualistico.
Alessio invece è il classico esponente della violenza primigenia del mondo vecchio. Nonostante sia un personaggio positivo del romanzo, un eroe, addirittura, è più simile ai predoni di quanto sia simile a Nina. Perché il linguaggio che parla è quello della forza e della violenza. Perché si riparte sempre da lì.

Quali sono le mancanze o gli errori della nostra società, o meglio, di quella società pregressa che ha portato alla Sciagura?

La Sciagura nasce come un collasso economico — un collasso economico che vedremo anche tra poco, probabilmente già in autunno, perché ci sono tutti i dati che lo descrivono. È un collasso economico che mina la civiltà così profondamente, fino a distruggere le sue fondamenta. Quando cadono le civilizzazioni, cadono molto in fretta. E questo è storicamente accertato dai cicli di civiltà che crollano, come i Maya, per esempio. Non solo, la Sciagura è anche il venir meno della fiducia nel futuro. Tutto si basa sulla paura. E, siccome noi siamo una società molto spesso fondata sulla paura, questo eccesso di paura crea il collasso della civiltà, che, in ultima istanza, si manifesta con un’epidemia. E quindi questo ci riporta al presente. Ma le radici sono altre e sono più lontane e più profonde. È come se vivessi in un posto così precario e delicato che bastasse una forza esterna, virulenta – quindi una crisi economica o un’epidemia, come abbiamo visto adesso – per mandare tutto all’aria.









A cura di Irina Turcanu Francesconi
(n. 9, settembre 2020, anno X)