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Il caso del dissidente anticomunista Gheorghe Ursu. In dialogo con il figlio, Andrei Ursu
Gheorghe Ursu (1926-1985), ingegnere specializzato in consolidamenti antisismici, poeta nonché scrittore. Dal 1950 al 1985 ha lavorato presso l'Istituto di Ricerca e Progettazione per la Sistemazione delle Abitazioni e dei Servizi Comunali di Bucarest. È finito sotto l’attenzione della Securitate il 22 dicembre del 1984, a seguito della denuncia di alcuni suoi subalterni, che gli avevano sottratto dall’ufficio, in sua assenza, un manoscritto in cui l’intellettuale annotava quasi quotidianamente i pensieri, tra cui anche varie critiche rivolte al regime comunista. Durante le perquisizioni effettuate sul posto di lavoro e al domicilio dell’intellettuale, la Securitate ha sequestrato oltre 60 quaderni del diario che Ursu teneva dal lontano 1944, che conteneva aspetti della sua vita personale e professionale, commenti su politica, cultura, arte e letteratura. Il diario rivelava anche i suoi atti di dissidenza, manifestati dopo il terremoto del '77. Gheorghe Ursu fu inizialmente interrogato dalla Securitate in stato di libertà, poi arrestato il 21 settembre del 1985. È deceduto quasi due mesi dopo l’arresto, il 17 novembre, presso l’ospedale del carcere di Jilava. Le indagini svolte dopo il 1989 dalla sua famiglia e dal procuratore Dan Voinea hanno rivelato che il dissidente è morto sotto tortura dalla Securitate. I principali responsabili della morte dell’ingegnere, gli agenti della Securitate Marian Pârvulescu e Vasile Hodiș, non sono stati finora condannati. La memoria del dissidente è oggigiorno mantenuta viva da suo figlio, Andrei Ursu.
Andrei Ursu è attualmente dottorando in Scienze Politiche presso l'Università dell'Ovest di Timișoara. In precedenza, è stato direttore scientifico dell'Istituto della Rivoluzione Romena del Dicembre 1989. È co-autore di Cecchini e mistificatori. La controrivoluzione della Securitate del dicembre 1989 (Polirom, 2019) e La caduta di un dittatore. Guerra ibrida e disinformazione nel Dossier della Rivoluzione del 1989 (Polirom, 2022). Ha pubblicato studi su The New Romanian Journal of Human Rights; La rivoluzione del 1989. Vincitori e vinti (Polirom, 2020); Anuar IICCMER 2020, ecc. Ha partecipato al Convegno Nazionale Il comunismo romeno (2022, 2023 come ospite d’onore, 2024); al Congresso Nazionale degli Storici Romeni organizzato dall’Accademia Romena, 2022; alle conferenze ASEEES; al simposio Annus Mirabilis, Università dell’Indiana, 2023; e alla Conferenza Internazionale 1989, anno della rivoluzione nella memoria collettiva, Timișoara, 2024. In passato ha lavorato come ingegnere del software. È membro fondatore della Fondazione «Gheorghe Ursu». Ha ricevuto il Premio «The New Journal of Human Rights» (2017) e il «Premio del Gruppo per il Dialogo Sociale» (2000).
O.J. A breve ricorreranno 36 anni dalla Rivoluzione Romena del dicembre 1989 e 40 anni dalla scomparsa dell’ingegnere Gheorghe Ursu, suo padre, ucciso dalla Securitate il 17 novembre del 1985. Entrambi sono eventi su cui ha riflettuto a lungo, tanto più che il secondo le ha segnato profondamente la vita. In ben più di tre decenni di libertà, i romeni hanno assistito all’occultamento da parte della giustizia dei veri responsabili sia per quanto riguarda le vittime della Rivoluzione, che per la scomparsa di suo padre. Nell’intervista che ha gentilmente accettato di concedermi, vorrei presentare ai lettori della rivista il caso dell’ingegnere Ursu, parlando apertamente delle ragioni dell’arresto, della detenzione e della morte, ma soprattutto del processo intentato dalla famiglia del dissidente ai suoi carnefici, Vasile Hodiș e Marin Pîrvulescu, affinché alla vittima sia resa almeno post mortem giustizia. Sebbene una buona parte dei connazionali sappia chi è stato Gheorghe Ursu, le chiedo di precisare brevemente quali sono stati i suoi atti di dissidenza e quando suo padre è entrato nel mirino della Securitate. Perché la polizia politica ha manifestato tutto questo interesse nei confronti di Gheorghe Ursu?
A.U.: Una parte degli atti di opposizione di Gheorghe Ursu, come sono stati considerati dalla Securitate all’inizio dell’indagine svolta nel1985, risulta sia dal suo fascicolo di sorveglianza informativa (con il nome in codice «Udrea») che dal fascicolo penale. In quest’ultimo, gli investigatori hanno accusato Gheorghe Ursu di «propaganda contro l’ordinamento socialista». Si tratta soprattutto delle lettere che egli ha inviato nel 1978 e 1981 a Radio Europa Libera, le quali sono state poi messe in onda. Secondo la Securitate, nella prima lettera (consegnata personalmente da mio padre a Virgil Ierunca durante la visita a Parigi), Gheorghe Ursu «ha commentato in modo ostile le misure adottate dal partito nel settore delle costruzioni». In realtà, egli ha accusato direttamente Nicolae Ceaușescu di aver ordinato, in una seduta del Comitato Centrale del Partito Comunista Rumeno del 4 luglio 1977, la sospensione in modo criminale della messa in sicurezza degli edifici danneggiati dal terremoto, lasciandoli vulnerabili a un nuovo sisma, con il rischio di migliaia di vite umane. Nella seconda lettera, Gheorghe Ursu presentava le pressioni esercitate da Ceaușescu, attraverso il culto della personalità e la censura di Partito, contro l’Unione degli Scrittori e la libertà di creazione. Una terza lettera, di cui all’epoca non eravamo a conoscenza, è stata inviata a Radio Europa Libera nel 1984, probabilmente tramite un amico che ha viaggiato in Occidente. In quest’ultima lettera, mio padre sollevava la questione dei fondi raccolti dal regime come aiuti provenienti dall’estero e attraverso collette tra i cittadini, destinati al consolidamento degli edifici e al sostegno dei sinistrati. Egli denunciava che quei fondi, amministrati da Elena Ceaușescu, erano stati utilizzati per scopi del tutto diversi.
Un’altra accusa di propaganda anticomunista riguardava i manifesti antitotalitari che mio padre aveva esposto per un certo periodo al lavoro, presso l’Istituto di Ricerca e Progettazione per la Sistemazione delle Abitazioni e dei Servizi Comunali di Bucarest. Secondo la Securitate, le citazioni esposte da lui su un muro dell’ufficio, vicino al suo banco da lavoro, attiravano l’attenzione sul fatto che «la situazione critica durante i regimi fascisti sarebbe stata compatibile con la realtà attuale della Romania» e facevano inoltre «riferimenti alla necessità della lotta contro lo Stato». Dai documenti dell’Archivio CNSAS, sappiamo inoltre che Gheorghe Ursu era entrato nel mirino della Securitate già nel 1977, quando informatori nonché ufficiali della polizia politica, presenti nell’istituto in cui lavorava, avevano riportato che si era opposto all’interruzione dei lavori di consolidamento, dichiarando che avrebbe comunque continuato i lavori anche a spese proprie qualora fosse stato necessario. Maggiori dettagli sull’attività di opposizione di Gheorghe Ursu e sui motivi per cui è stato interrogato dalla Securitate si possono trovare sul sito della Fondazione «Gheorghe Ursu».
O.J.: Sebbene indubbiamente arrestato per motivi politici, Gheorghe Ursu è stato ufficialmente incarcerato, nell’autunno del 1985, per reati comuni, secondo uno degli stratagemmi con i quali gli organi repressivi mascheravano gli atti di dissidenza e neutralizzavano gli oppositori di Ceaușescu. Ritiene che lo statuto di detenuto per reati comuni abbia influenzato in qualche modo lo svolgimento degli eventi accaduti durante i quasi due mesi di detenzione (dal 21 settembre 1985 al 17 novembre 1985) passati nel carcere di Jilava?
A.U.: Lo status di detenuto per reati comuni aveva lo scopo di distogliere l’attenzione pubblica dall’indagine di natura politica. Tale fatto ha avuto un effetto sul corso degli eventi di quei due mesi. Per evitare la pressione diplomatica e mediatica da parte dell’Occidente, che era venuto a conoscenza del caso, le autorità rumene hanno comunicato agli americani, inclusa una delegazione dell’ambasciata degli Stati Uniti, che Gheorghe Ursu era «un noto trafficante» e che era stato arrestato per possesso di valuta estera.
O.J.: Sebbene le autorità comuniste abbiano agito per cancellare le prove incriminanti, è riuscito nel tempo a raccogliere prove chiare che attestano il crimine commesso dalla Securitate. In che modo ha cercato la polizia politica di coprire il crimine? Quali prove incriminano i membri della Securitate coinvolti in questo caso?
A.U.: I testimoni hanno dichiarato che le urla di mio padre, quando tornava picchiato dagli interrogatori o quando veniva maltrattato anche in cella, si sentivano in tutto l’edificio. Eppure non è stata avviata alcuna inchiesta interna sul suo caso, nonostante anche secondo i regolamenti di allora per decesso in detenzione era obbligatoria un’indagine. La Securitate ha vietato ai medici del carcere di Jilava di rilasciare dichiarazioni sulle condizioni in cui avevano trovato mio padre. Sebbene l’autopsia riportasse ecchimosi dovute alle percosse e i medici non avessero riscontrato alcuna causa patologica per la rottura intestinale (il fatto che determinò il suo decesso), il procuratore ha annotato che la morte sarebbe stata «non violenta». La Securitate ha rilasciato più versioni di documenti con cui ha falsificato la causa della morte («occlusione intestinale», «problemi cardiaci preesistenti»), in contraddizione con i documenti medici (la scheda clinica dell’ospedale penitenziario di Jilava, il referto medico post-operatorio e il rapporto medico-legale) dai quali risulta chiaramente che la morte è stata causata dalle violenze subite dalla vittima. Tali disinformazioni sono state trasmesse anche alle autorità americane. Il corpo della vittima è stato imbalsamato su ordine, senza alcun certificato di constatazione della morte, in violazione delle normative in vigore. Alla famiglia sono state comunicate in modo non ufficiale diverse versioni relative alla causa del decesso, legate a malattie inventate. Presso il posto di lavoro di mio padre, è stato dato l’ordine che nessuno avrebbe dovuto partecipare alla cremazione. In quel periodo, a noi fu tagliata la linea telefonica. Successivamente, il fascicolo «Udrea» è stato tenuto nascosto dai servizi segreti (SRI) fino nel 2000, mentre il dossier penale l’ho potuto consultare per la prima volta soltanto nel 2014, nonostante le continue richieste rivolte al SRI. Ex ufficiali della Securitate passati al SRI, come Nicu Crișan, Gheorghe Cotoman e Ion Dumitraciuc, hanno stilato all’inizio degli anni ’90 diversi rapporti falsi, smentiti da testimonianze e persino da documenti dei dossier della Securitate, nei quali negavano che durante la detenzione Gheorghe Ursu era stato interrogato dagli ufficiali di Securitate Marin Pîrvulescu e Vasile Hodiș. Le prove che incriminano gli agenti della Securitate si dividono in tre categorie: testimonianze oculari, documenti della polizia politica e atti medici, e queste prove li corroborano. Dalle dichiarazioni di alcune guardie carcerarie e compagni di cella, risulta che Gheorghe Ursu veniva picchiato durante gli interrogatori della Securitate, e che al ritorno in cella era spesso sorretto dalle guardie perché non riusciva più a camminare. Almeno in uno di questi casi, il testimone ha dichiarato che il modulo di uscita per l’interrogatorio era stato firmato da Marin Pîrvulescu. Un altro testimone afferma che mio padre è stato riportato dall’interrogatorio trasportato su una coperta, perché non era più in grado di camminare, e che era stato interrogato dal «suo inquirente, Pîrvulescu». Altri testimoni riferiscono che «ogni volta che l’ing. Ursu tornava dall’interrogatorio, tornava picchiato» e che gli agenti della Securitate che lo aggredivano erano i «suoi inquirenti», ovvero maggiore e rispettivamente tenente della Securitate «gli stessi che lo avevano interrogato anche quando era in libertà». Dai dossier dell’inchiesta risulta chiaramente che si trattava proprio di Pîrvulescu e Hodiș. Altri testimoni affermano che «molte volte, Gheorghe Ursu veniva portato fuori dalla cella senza alcun modulo di uscita, semplicemente veniva l’agente della Securitate e lo prelevava dalla cella». Dai dossier della Securitate risulta fatto che Vasile Hodiș ha partecipato a tutti gli interrogatori di Gheorghe Ursu e che nessun altro ufficiale vi ha preso parte, fatti riconosciuti da Pîrvulescu stesso. Documenti della Securitate firmati da Pîrvulescu e Hodiș dimostrano che i due interrogavano Gheorghe Ursu mentre era detenuto dalla Miliția, utilizzando anche informatori all’interno della cella per ottenere informazioni dalla vittima. I documenti medici mostrano che le lesioni che hanno causato la morte risalgono al 15 novembre 1985, nello stesso intervallo di tempo in cui i testimoni hanno dichiarato che Gheorghe Ursu è stato interrogato da Pîrvulescu, dal quale è stato riportato in cella avvolto in una coperta, urlando di dolore e vomitando sangue. Ulteriori testimonianze e documenti medici rilevanti si trovano sul sito della Fondazione «Gheorghe Ursu».
Inoltre, una ricostruzione storica del caso degli ufficiali della Securitate può essere consultata sul sito.
O.J.: Dopo il 1989, la famiglia del dissidente ha avviato un lungo, difficile e doloroso percorso per scoprire le circostanze in cui è avvenuta la morte. Quali sono stati i passi più importanti, le tappe fondamentali di questo percorso, ma anche i principali ostacoli posti dalle autorità giudiziarie nel periodo postcomunista, considerando che ancora oggi le autorità romene non hanno reso giustizia all’ingegnere Ursu?
A.U.: Il primo passo importante è stata l’inchiesta condotta dal procuratore Dan Voinea, avviata nel 1990, che ha stabilito che si trattava di una morte violenta, causata dalle percosse subite, e che i responsabili erano gli ufficiali che hanno effettuato l’interrogatorio e i loro superiori. L’inchiesta è stata bloccata quando a Dan Voinea è stato tolto il caso e il fascicolo è stato affidato a un altro procuratore, Samoilă Joarză. Fu allora che venne costruito un capro espiatorio, Marian Clită, che si assunse la responsabilità dell’omicidio. La sua condanna (in un momento in cui stava comunque scontando dieci anni di carcere per altre condanne, e quindi per questo presunto omicidio non avrebbe ricevuto una pena molto più grave) ha stabilito una «autorità del giudicato» per l’omicidio. Questo fatto ha protetto i veri colpevoli, cioè Pîrvulescu e Hodiș. Un altro momento difficile è stato nell’autunno del 2000, quando a Dan Voiculescu, sebbene tale procuratore avesse ripreso l’inchiesta contro gli ufficiali della Securitate e stesse per chiudere il fascicolo contro i colonnelli della Miliția, Stanică e Creangă, il caso è stato nuovamente sottratto, senza alcun motivo legale. È stato necessario un mio gesto di protesta estrema (lo sciopero della fame) affinché il fascicolo gli venisse restituito. Poco dopo, i due miliziani sono stati rinviati a giudizio e, nel 2003, sono stati condannati per istigazione all’omicidio. Creangă ha scontato 5 anni di carcere, mentre Tudor Stanică solo 11 mesi, dopodiché ha iniziato a ottenere, ogni anno e per più di 15 anni, certificati medici di esonero. Ho contestato quei certificati, evidentemente falsi, ma i miei ricorsi sono stati rigettati dai procuratori e dai tribunali. Sono seguiti altri anni difficili, durante i quali Dan Voinea ha continuato l’inchiesta contro gli agenti della Securitate, ma con grande lentezza. Dopo il suo pensionamento, avvenuto nel 2009, il nuovo capo della Sezione delle Procure Militari (SPM), Ion Vasilache, ha fatto di tutto per insabbiare quell’inchiesta, respingendo tutte le nostre denunce penali per crimini contro l’umanità. Ho fatto ricorso contro quelle risoluzioni di Vasilache. Nel 2013-2014, il giudice Gunescu del Tribunale Militare Territoriale di Bucarest ha rigettato anche quei ricorsi, lasciando impunito Pîrvulescu. Nell’autunno del 2014, sono stato costretto ancora una volta a ricorrere a una forma estrema di protesta (uno sciopero della fame, il secondo) per attirare l’attenzione delle autorità sulle illegalità commesse dai procuratori. La stampa ha preso atto delle prove esistenti e ha compreso i trucchi usati dai procuratori per evitare di indagare gli agenti della Securitate. Anche l’opinione pubblica ha capito che si trattava di reati contro l’umanità, che erano - e sono tuttora - imprescrittibili. Credo che, in seguito a questa ondata di solidarietà, il procuratore generale Nițu abbia riconosciuto i fatti e l’esatta qualificazione giuridica. A quel punto, la Procura Generale e la SPM hanno deciso che, non solo nel caso Ursu, ma anche in altri casi di vittime del comunismo, la tortura e altri trattamenti inumani devono essere indagati come crimini contro l’umanità.
O.J.: Il 27 giugno 2023, l’Alta Corte di Cassazione e Giustizia ha emesso una sentenza definitiva nel caso del fascicolo n. 2500/2017, che aveva come principali imputati gli ex ufficiali della Securitate Vasile Hodiș e Marin Pîrvulescu. I giudici hanno assolto i torturatori di suo padre, respingendo sia la situazione preesistente di repressione sistematica dei dissidenti da parte delle autorità comuniste negli anni ’80, sia la stessa qualifica di dissidente attribuita a Gheorghe Ursu. La sentenza dell’Alta Corte di Cassazione e Giustizia ha sconvolto un intero Paese.Giornalisti e rappresentanti della società civile hanno denunciato pubblicamente, attraverso i media, questo verdetto infame e si sono dichiarati solidali con la causa dell’ingegnere Ursu. Anche la Procura Generale, il 1° novembre 2023, ha richiesto la revisione del caso. Come spiega questa assurda sentenza del 27 giugno?Perché la giustizia romena ha rifiutato di condannare i due principali colpevoli?
A.U.: Ho osservato con attenzione l’atteggiamento e le reazioni dei giudici di quel collegio, ovvero Valerica Voica, Alin Sorin Nicolescu e Constantin Epure. Si sono comportati in modo ostile nei confronti dei nostri testimoni, comprese altre vittime del regime negli anni ’80, come Mariana Gherghina Beșciu, Nicoleta Giurcanu Matei, Radu Filipescu e Petre Mihai Băcanu. A tratti li hanno intimiditi o hanno evitato di trascrivere integralmente alcune delle testimonianze. Nella motivazione della sentenza di assoluzione, hanno invece citato i testimoni della difesa, ovvero alcuni ex ufficiali della Securitate diventati poi generali del SRI, tra cui Vasile Mălureanu. Sebbene quest’ultimo abbia ricevuto da CNSAS una decisione di polizia politica per gravi violazioni dei diritti umani - fatto ben noto ai giudici - essi hanno ripreso ad litteramla «testimonianza» di Mălureanu, secondo la quale, ovviamente, la Securitate durante il periodo Ceaușescu fu completamente scagionata e Gheorghe Ursu veniva presentato come un caso irrilevante per il regime. Il collegio della Corte Suprema (ICCJ) ha copiatoparola per parola la deposizione di Mălureanu nella propria sentenza. Prendendo in considerazione l’evidente mancanza di imparzialità e l’assurdità della motivazione stessa, credo che i giudici siano stati o intimiditi dai testimoni della difesa o abbiano avuto certe connivenze con l’ex Securitate. Non credo affatto che siano mancati gli elementi di prova, né che non li abbiano compresi.
O.J.: La Corte d’Appello di Bucarest ha riaperto il 31 marzo di quest’anno il processo in cui la famiglia del dissidente richiede la revisione della sentenza di assoluzione di Vasile Hodiș e Marin Pîrvulescu. Crede che questa volta le autorità romene renderanno giustizia a Gheorghe Ursu?
A.U.: Abbiamo delle speranze. Tuttavia, l’esperienza di questi processi mi ha portato alla conclusione che la decisione dipende in larga misura dall’integrità e dalla coscienza dei giudici. A maggio dello scorso anno, il giudice Pavel Mircea Cătălin della Corte d’Appello di Bucarest ha respinto in linea di principio la nostra richiesta di revisione, invocando motivazioni del tutto aberranti. A seguito del nostro ricorso e di quello presentato dalla Procura Generale, l’Alta Corte di Cassazione e Giustizia (tramite il collegio composto da Oana Burnel – presidente, Simona Elena Cârnaru e Rodica Aida Popa) ha constatato le numerose «irregolarità» commesse dal giudice Pavel, ha accolto in linea di principio la richiesta di revisione, e l’ha rinviata alla Corte d’Appello per l’esame nel merito. Se la richiesta verrà accolta, il nuovo giudice designato presso la Corte d’Appello, Ramona Feurdean, dovrà riesaminare il caso dei due imputati. La motivazione della Corte Suprema ha aperto comunque la strada a una valutazione corretta sia delle prove, sia della qualificazione giuridica dei fatti. In pratica, l’Alta Corte ha riconosciuto che la repressione del regime di Ceaușescu rappresenta una «verità storica». Ha inoltre stabilito che questa condizione preesistente è dimostrata dalle nuove prove allegate alla richiesta di revisione. Lo stesso vale per lo statuto di Gheorghe Ursu come «persona caduta sotto il potere del nemico». A questo punto, una nuova assoluzione sarebbe un’ingiustizia clamorosa.
O.J.: Dalle sue dichiarazioni pubbliche ho scoperto i sentimenti profondi che la legano al padre scomparso. Potrebbe dire quali iniziative ha intrapreso per mantenere viva la sua memoria e dove i lettori interessati possono trovare informazioni dettagliate su questo caso?
A.U.: Sì, ero molto legato a mio padre. Fin dagli anni ’90, insieme al Gruppo per il Dialogo Sociale – al quale sono profondamente grato – abbiamo organizzato commemorazioni in suo onore. Da qualche anno, l’organizzazione Re:RISE, che si occupa della riduzione del rischio sismico e che è guidata dall’instancabile Matei Sumbasacu, ha promosso commemorazioni e altri eventi. Grazie alla regista Carmen Lidia Vidu e a un gruppo di giovani attori altrettanto appassionati, è stato messo in scena L’Ordine Criminale, cioè il resoconto della seduta del 4 luglio 1977 in cui Ceaușescu ha ordinato la cessazione dei lavori di consolidamento degli edifici, atto di cui Gheorghe Ursu aveva avvisato il pubblico attraverso Radio Europa Libera.
Re:RISE ha anche creato un memoriale online. Sono disponibili video in cui diversi attori, tra cui Maia Morgenstern, Marius Manole e Claudiu Istodor, recitano poesie di Gheorghe Ursu, ma anche manifesti realizzati da artisti visivi – compreso Dan Perjovschi – ispirati alle azioni di mio padre. Alcuni di questi manifesti sono tuttora esposti nelle finestre della sede del Gruppo per il Dialogo Sociale, in Calea Victoriei, n. 120. Un momento fondamentale per la memoria di mio padre è rappresentato dalla produzione del film Il caso dell’ingegnere Ursu, diretto da Șerban Georgescu e Liviu Tofan. Il film è stato proiettato in diversi cinema romeni e trasmesso da due canali televisivi, tra cui TVR. Negli anni ’90, Victor Bârsan ha pubblicato il libro Il grande viaggio. La vita e la morte dell’ingegnere Ursu, un’opera ancora attuale, sebbene la storia del caso sia molto cambiata nel frattempo. Sempre negli anni ’90, mia madre e la nostra cara amica Gina Vieru (moglie del compianto professor Sorin Vieru, che per anni è stato presidente della Fondazione «Gheorghe Ursu») hanno curato la pubblicazione della raccolta di poesie di mio padre intitolata Presentimenti Postsentimenti. In quegli stessi anni, tramite la Fondazione «Gheorghe Ursu» – nella cui direzione, oltre a mia sorella Olga Ursu Ștefan, vi sono pure Gabriel Andreescu, Radu Filipescu e Doina Lazăr – abbiamo organizzato il concorso «Saggio per il liceo», la cui giuria era presieduta da Mihai Șora. L’iniziativa mirava a sviluppare il pensiero critico e la coscienza civica degli studenti di liceo, invitandoli a scrivere saggi su temi legati alla società romena in transizione verso la democrazia. Il poeta Vasile Igna e il compianto scrittore Iordan Chimet – buon amico di mio padre sin dalla loro giovinezza a Galați – hanno curato la pubblicazione del volume La mia Europa, una raccolta di impressioni di viaggio nonché commenti artistici e culturali di mio padre, censurata con l’inizio dell’indagine contro di lui, nel 1984. Su iniziativa dello storico Ștefan Bosomitu, dell’ICCMER, la Casa Editrice Polirom ha ristampato questo libro nel 2020, con una postfazione di Ștefan e un’introduzione mia, in cui ho ricordato alcune immagini di mio padre rimaste nella mia infanzia.
Infine, in parte sempre sotto l’egida della Fondazione, insieme al mio coautore, il ricercatore americano Roland O. Thomason, e ad altri collaboratori più giovani, abbiamo pubblicato due libri sulla Rivoluzione Rumena del dicembre 1989: Cecchini e mistificatori. La controrivoluzione della Securitate nel dicembre 1989 (Polirom 2019) e La caduta di un dittatore. Guerra ibrida e disinformazione nel Dossier della Rivoluzione del 1989 (Polirom 2022, sotto l’egida dell’IRRD). Poiché le violenze e gli spari di allora – soprattutto quelli avvenuti dopo il 22 dicembre – così come le responsabilità delle forze della Securitate, sono stati insabbiati in modo simile a quanto accaduto ai torturatori di mio padre, abbiamo ritenuto nostro dovere, sempre in memoria di Gheorghe Ursu, far emergere la verità sulle oltre mille vittime che si sono sacrificate durante la Rivoluzione per la nostra libertà. Continuiamo questa ricerca e continueremo a diffonderne i risultati. Desidero ringraziare di cuore tutti coloro che ho menzionato e molti altri che si sono impegnati in questa vicenda. Senza di loro, e senza l’interesse di giornalisti animati dalla stessa passione per la verità e la giustizia, credo che questo caso sarebbe rimasto sepolto. Ulteriori dettagli sul caso sono disponibili sul sito della Fondazione «Gheorghe Ursu» (gh-ursu.ong.ro) e sulla mia pagina Facebook.
A cura di Octaviana Jianu
(n. 10, ottobre 2025, anno XV)
* La versione in lingua romena di questa intervista è stata pubblicata nell’ultimo numero della Rivista della Biblioteca dell’Accademia Romena, n. 19/2025.
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