«Musa e getta», un caleidoscopio al femminile. In dialogo con Arianna Ninchi e Silvia Siravo

Musa e getta (Ponte alle Grazie, 2021), a cura di Arianna Ninchi e Silvia Siravo. In questa sorprendente raccolta, molte fra le più amate e apprezzate scrittrici italiane raccontano altrettante «muse»: donne sfrontate e bellissime o, al contrario, miti e riservate che, per lo spazio di una notte o per l’esistenza intera, hanno stretto relazioni complesse (e pericolose) con uomini di successo. Muse non sempre «gettate» ma per lo più misconosciute – dando così corpo all’odioso detto secondo cui «dietro ogni grande uomo c’è una grande donna» – che tornano dunque, finalmente, al centro del palcoscenico letterario: Lou Andreas-Salomé, Luisa Baccara, Maria Callas, Pamela Des Barres, Zelda Fitzgerald, Rosalind Franklin, Jeanne Hébuterne, Kiki de Montparnasse, Nadia Krupskaja, Amanda Lear, Alene Lee, Dora Maar, Kate Moss, Regine Olsen, Sabina Spielrein.  
Sedici autrici di prim’ordine svelano altrettante donne meravigliose, offrendo a lettrici e lettori uno sguardo nuovo sul rapporto tra i sessi, l’identità femminile, la lotta per l’emancipazione. Sono: Ritanna Armeni, Angela Bubba, Maria Grazia Calandrone, Elisa Casseri, Claudia Durastanti, Ilaria Gaspari, Lisa Ginzburg, Chiara Lalli, Cristina Marconi, Lorenza Pieri, Laura Pugno, Veronica Raimo, Tea Ranno, Igiaba Scego, Anna Siccardi, Chiara Tagliaferri.
Qui l'intervista di Giusy Capone alle curatrici, Arianna Ninchi e Silvia Siravo.

Un caleidoscopio di muse/donne, universi femminili dissimili quanto ad età, condizione, ruolo sociale, esperienza esistenziale. Qual tratto le accomuna?

A.N.: L’essere state muse ispiratrici, quindi fonte di ispirazione per gli uomini celebri che, per lo spazio di una notte o per la vita intera, hanno avuto accanto. Un altro tratto le accomuna, come da sottotitolo: sono donne (davvero, aggiungerei) indimenticabili.

S.S.: Molte hanno avuto accanto uomini ingombranti, sono state imprigionate nel ruolo di meri ideali, hanno popolato più l’immaginario di compagni celebri che ottenuto un’attenzione personale della società. Sono state costrette nell’ombra anche quando erano sotto i riflettori, sono degli enigmi. Le nostre autrici hanno indagato con sensibilità nelle loro vite, dando voce a quello che la storia ha dimenticato.

I ritratti muliebri offerti mediante i racconti proposti dalle sedici scrittrici spaziano attraverso i decenni. Quale criterio di scelta è stato adottato per navigare attraverso il tempo?

S.S.: Il criterio è stata la massima libertà perché le autrici potessero parlare di storie vicine al loro sentire. Ci siamo poi accorte che per lo più sono state scelte ‘personagge’ (nuovo termine coniato dalla nostra Igiaba Scego per l’occasione) vissute nei primi decenni del Novecento. Si spazia comunque dall’Ottocento fino ai giorni nostri e tutti i testi risuonano nell’attualità.

A.N.: Musa e getta è un invito al viaggio nell’universo femminile che spazia fra epoche e latitudini diverse. Nello stilare una rosa da proporre alle autrici, balzava all’occhio un ‘assembramento’ di muse nella Parigi di fine Ottocento e primi Novecento. La relazione fra artista e musa ha forse conosciuto in quei decenni e in quella capitale europea il suo climax. E ci sembrava ovvio attenderci nella selezione finale molte modelle di famosi pittori o scultori. Così in parte è stato. Ma il nostro criterio-guida è stato dal primo momento la libertà e abbiamo così avuto molte sorprese. A posteriori possiamo delineare un percorso interessante, che ci porta dalla donna dell’Ottocento che fa le torte (ottime e con la base di pan di Spagna nel racconto di Veronica Raimo su Regine Olsen) e continua a fare torte negli anni Settanta del secolo scorso nel Sud degli States (al rabarbaro, quelle di zia Mildred nel racconto di Elisa Casseri su Pamela Des Barres), alla top model che, per restare in tema culinario, al mattino preparerà anche succhi di sedano per tutti nella sua casa di Londra, oggi, ma godendosi il prestigio di almeno trecento copertine! Insomma, molto resta da fare ma qualcosa è cambiato. 

Quelle descritte sono di certo donne emblematiche: le loro passioni ardimentose, le scelte intrepide, la debolezza e l’impeto del loro essere, ma anche l'inarrendevolezza, il genio e la forza di volontà che le hanno connotate. Quale messaggio ci offrono?

S.S.: Le nostre muse invitano le donne a pretendere un maggiore equilibrio tra figura e sfondo. Scendono dal piedistallo, dove sono state relegate, e parlano e invitano tutti a cercare un’alternanza armonica tra chi crea e chi ispira e a non dimenticare di difendere strenuamente lo spazio da protagonista della donna.

A.N.: Tanti sono i messaggi che ci offrono, direi… l’importanza di essere libere, di restare fedeli a se stesse, di lottare per realizzare i sogni. La parola con cui Lisa Ginzburg chiude il racconto su Lou Andreas-Salomé è per me la chiusa simbolica dell’antologia: autodeterminazione. Ora però mi scuserete se io non chiudo… e ritorno alla vostra prima domanda per soffermarmi su un altro dato che accomuna le nostre muse. Mi pare significativo: mentre mi occupavo delle loro biografie (per la sezione finale dell’antologia, Le muse), mi stupiva come tutte avessero avuto da subito le idee molto chiare. Mi spiego meglio: forse no, al contrario, avevano in testa un grande caos, ma la vita le aveva a volte costrette o comunque portate a uscire di casa prestissimo. In questo senso sono tutte precoci. Rosalind Franklin vuole fare la scienziata più o meno da quando ha quindici anni; Jeanne Hébuterne segue ragazzina il fratello André a Parigi e nell’ambiente dei pittori è da subito la famosa ‘Noix de coco’; Dora Maar è fotografa di successo prima di incontrare Picasso; Pamela Des Barres è adolescente quando inizia a spostarsi dalla sonnolenta Reseda per ‘bazzicare’ le rockstar a Los Angeles; Kate Moss odia la periferia e fugge appena può dal sobborgo londinese di Croydon; una casa, Kiki de Montparnasse non l’ha proprio mai avuta (e neanche una stanza tutta per sé, come sottolinea Lorenza Pieri); Nadia Krupskaja prima di incontrare Lenin era già super operativa sul fronte propaganda rivoluzionaria; Alene Lee è una delle tante ragazze che sbarca a New York negli anni Cinquanta «per non tornare più indietro», come scrive Claudia Durastanti nel suo racconto per noi; il matrimonio per Zelda Sayre è il modo per lasciare l’Alabama e giungere a New York ma, diventata «I Fitzgerald», è commovente nel suo sogno di trovarlo, prima o poi, un lavoro a lei congeniale. E ancor più commovente, restando con Zelda (che è stupenda nella nostra copertina di Sofia Bonati), ma lasciando Musa e getta per approdare alle lettere d’amore di Caro Scott, carissima Zelda, leggere di lei che vorrebbe spronare la figlia a fare dei lavoretti contemporaneamente all’università, mentre il padre non è d’accordo. Quanta modernità c’è in lei e nelle sue contraddizioni… Insomma, un dato caratteriale che accomuna tutte le nostre muse è l’essere più che deste, in anticipo sui tempi. Che ci siano allora da esempio nella necessità di restare vigili.

Le donne sono riuscite ad abbattere con fiera determinazione le gabbie concettuali in cui abbiamo abitato per lungo tempo. Ebbene in cosa si diversifica il punto di vista muliebre?

A.N.: Nell’empatia, che è contraria al narcisismo. Ovviamente sto generalizzando. I pericoli del narcisismo sono sempre all’agguato anche per noi donne. Quando poi succede che il narcisismo diventi patologico… ma lasciamo il quotidiano per tornare all’arte: se l’artista fa del proprio ombelico il centro del mondo, se lo specchio diventa la sua fonte d’ispirazione, la musa non serve più. Infatti, noi ci siamo anche chieste: ma una musa oggi può esistere? È più giusto che ci siano meno muse e più artiste! Però la musa ha in sé una magia, un modo di stare al mondo ispirato e ispirante, una femminilità e una capacità di ascolto che in futuro, unite a una nuova consapevolezza, potrebbero essere centrali. Quindi, se il nostro è anche un invito a diventare muse di se stesse, c’è pure un monito a non rinunciare alla femminilità. Un giorno, spero non lontano, quando avremo accesso alle posizioni di prestigio che meritiamo, dovremo gestire il potere con strumenti diversi da quelli maschili. C’è già chi lo fa, per fortuna!

S.S:. Il punto di vista muliebre è accogliente, comprensivo delle differenze, attento alla complessità, sensibile al pericolo e al dolore, direi indifferente alla gerarchia e alla competizione, è un modo di pensare orientato alla cura e alla difesa della vita. La visione femminile è necessaria alla nostra sopravvivenza oggi più che mai.

Le pagine tessute da quanto si discostano dal femminismo nelle sue plurime e molteplici declinazioni?

S.S.: Sono pagine in cui non c’è rivendicazione, ma dove troviamo la versione di lei. Le battaglie delle donne di Musa e getta sono individuali e, in un certo senso, emblematiche ma non riconducibili ad un movimento strutturato di lotta femminista.

A.N.: Nella prefazione citiamo tre testi teatrali che sono stati per noi fonte di ispirazione: Cassandra di Christa Wolf, Se tu avessi parlato Desdemona di Christine Brückner e Les fées on soif di Denise Boucher che, nel 1978, a Montréal, fece scandalo. Sono dei capisaldi del femminismo e in quella sede avrei voluto anche citare altre letture femministe. Ma mi interessava e mi interessa di più parlare del rapporto tra i sessi, della relazione, dello starsi accanto. E della fatica che si fa. Forse l’avverbio «accanto» (che abbiamo usato ben due volte in quarta di copertina: «Donne che hanno vissuto accanto a grandi uomini che hanno vissuto accanto a grandi donne») parla di nuovi femminismi o, comunque, di un punto di vista più quotidiano. È lì che le donne lottano, non come icone (da ammirare ma irraggiungibili) bensì come femmine. La mia amica Silvia Zanella ha pubblicato un libro l’anno scorso interessantissimo, Il futuro del lavoro è femmina, e ha aderito al nostro progetto social (su Instagram) con una riflessione per una leadership ‘alla musa’. Invito tutte e tutti a recuperarla. Tante lettrici ci stanno scrivendo, dicendo che spesso nella vita di coppia la coperta sembra essere troppo corta, ma concludendo che vale la pena diventare equilibriste e equilibristi dell’amore. Per usare un termine legato alle nostre muse, vale la pena ispirarsi, e farlo da ambo le parti.

«Dobbiamo insegnare alle donne a farsi valere, ad apprezzare se stesse, a divertirsi e a ingannarci». Il messaggio di Montaigne è rimasto inascoltato?

S.S.: Mi viene in mente che oggi più che mai occorrerebbe che le donne non avessero bisogno delle esortazioni di un maschio come Montaigne per farsi ‘insegnare’ qualcosa.
Noi donne non siamo abituate a esistere in funzione di noi stesse, non ne siamo capaci. Siamo a volte angosciate da quel territorio in cui possiamo essere, la sfida è cercare quel ‘chi siamo’ che abbiamo dimenticato.

A.N.: Nei paesi cosiddetti civilizzati, le donne hanno imparato o stanno imparando a non farsi mettere i piedi in testa. E forse hanno imparato anche benissimo a divertirsi e a ingannare. E qui ci sono dei limiti che hanno a che fare, credo, con il buonsenso. Altrimenti si va al massacro. Forse ora siamo al massacro… Di certo l’uomo non era pronto al cambiamento. E non solo il casalingo di Voghera (perché ci saranno dei casalinghi a Voghera) ma anche l’intellettuale, che magari ha letto Montaigne ed è d’accordo in linea di principio con questa sua affermazione, ma poi nel quotidiano ha un istinto atavico al controllo e all’uso distorto del potere e fatica ad accettare la libertà che una donna reclama. I cambiamenti culturali sono lenti ad avverarsi e richiedono un impegno incrociato da parte di famiglia, scuola, media. E volontà politica a sostegno di tutto questo. Insomma, richiedono tanta roba. Ma chi si estrae dalla lotta…

L’antologia mescola sapientemente personal essay, psicoanalisi, filosofia e sociologia, cinema e cultura pop: qual è l’attuale senso dell’equazione «il personale è politico»?

S.S.: Difficile rispondere anche se con il mondo dei social media è ormai difficile separare il ‘personale’ dal pubblico che, in alcuni casi, è certamente ‘politico’.  Questa contiguità dovrebbe essere sfruttata per promuovere una nuova consapevolezza delle donne rispetto alle loro possibilità.

A.N.: Penso alla nostra raccolta, al nostro lavoro corale. Musa e getta rappresenta per me la sorellanza realizzata. Tante scrittrici scrivono bellissime biografie su donne. Io amo leggerle. Ma un’antologia che riunisce e aggrega forse ha valenza politica. Mancherà l’approfondimento ma non mancano gli stimoli ad approfondire. La varietà di stili e toni fa inoltre sentire l’autorialità. Provo allora a elaborare una risposta a questa complessa domanda: lo faccio ponendo l’accento sulla parola raccolta e andando poi al concetto di fare rete. Perché è quello che noi abbiamo fatto. Si può fare! Una rete in cui ognuno possa sentirsi libero di essere diverso, di pensare diverso, e in cui possa sentire valorizzata la propria identità. Quindi direi che l’equazione oggi possa essere ritoccata così: «il personale nella rete reale è politico». La rete del web ovviamente è stata rivoluzionaria ma il virtuale, e oggi ce ne rendiamo conto come non mai, non diffonderà mai profumi. Noi siamo tornate ai profumi diversissimi della nostra antologia (all’etimo greco: raccolta di fiori) e non vediamo l’ora di renderla ancora più sensuale e vitale, dandole corpo e voce a teatro.

Musa e getta è un format al femminile: come evolverà?

S.S.: Il format è pensato per il teatro e l’obiettivo è quello di portare in scena tutti i testi contenuti nell’antologia. Vorremmo coinvolgere 16 attrici per dare voce alle 16 muse, quando si potrà tornare a fare spettacolo dal vivo, speriamo al più presto.

A.N.: Un’evoluzione teatrale è prevista dal primo momento e ora più che mai ci sembra necessaria. In quella casa, quando riaprirà, torneremo. E a quel punto io vorrò (non vorrei!), coinvolgere quattordici altre colleghe, adulte e giovanissime. I testi stessi dell’antologia lo chiedono. Le autrici e le muse lo chiedono. Ad ogni modo, queste ‘personagge’ staranno a lungo con noi, anzi… accanto a noi! Stateci accanto anche voi!






A cura di Giusy Capone
(n. 3, marzo 2021, anno XI)