Camil Mihăescu: Bianco-nero-dorato, la cromatica del nostro mondo, bene-male-luce spirituale

«Mi piace restare in una gamma cromatica limitata, forse per alcuni austera. Questa scelta proviene sempre dalla filosofia e codifica in un certo modo il mondo in cui viviamo: bianco-nero-dorato/bene-male-luce spirituale».
L’invitato di Orizzonti d’Arte, Camil Mihăescu, preside della Facoltà di Arte e Design dell’Università dell’Ovest di Timiṣoara, ci parla della sua creazione e attività didattica, delle sfide dell’artista visuale della Romania dei nostri giorni e della realtà artistica di Timiṣoara, in un’intervista densa, dinamica e accattivante, accompagnata da una ricca galleria di opere.
Membro dell’Unione degli Artisti Plastici della Romania, filiale di Timiṣoara, sezione Grafica, possiede un portfolio pari a 15 mostre personali, in Romania, Polonia, Spagna, Cile e oltre 40 mostre collettive, in Romania, Ungheria, Australia e Germania.
Dal 14 maggio al 18 giugno 2021, Camil Mihăescu è presente con la mostra personale Revelatio, la comprensione della spirale, presso la galleria Park dell’Unione degli Artisti Plastici Filiale di Timișoara.


Iniziamo il nostro dialogo partendo dal simbolo più famoso della tua vocazione artistica, la spirale. Come è entrata a far parte della tua creazione e quale visione porta con sé?

Non so con precisione come la spirale sia entrata nella mia zona di interesse personale, forse sono stato io a entrare nella traiettoria della spirale. Con certezza posso dire che l’interesse per la spirale non proviene dal modello estetico o geometrico, bensì dai libri di filosofia e di spiritualità che ho letto. Intorno al 2009 quest’idea si è cristallizzata e sono passato a trasporla in modo visivo. All’inizio tramite la fotografia, poi in combinazione con il disegno e la grafica.

Che tappa segna la mostra Revelatio, la comprensione della spirale, aperta fino al 18 giugno 2021 all’UAP di Timișoara?

Si tratta di una mostra che ha portato avanti, rifinendo sia il concetto sia la forma della versione del 2019 – Revelatio, i flussi della spirale – della Casa delle Arti, galleria Pigmalion. È possibile che sia un’ultima espressione visiva di questo morfema, anche se la spirale continuerà ad accompagnarmi, sicuramente, nella mente e nel cuore.


Quali sono i tratti specifici della tua ispirazione artistica?

Forse a questa domanda dovrebbe rispondere un critico d’arte, una persona esterna, ma proverò a offrire anch’io alcuni elementi chiave. Per prima cosa, durante gli anni del liceo e dell’università sono stato affascinato da ambiti più speciali. Mi riferisco innanzitutto alla fotografia, poi alle tecniche digitali, che all’inizio degli anni ’90 muovevano i primi passi. Ho sperimentato molto il terreno del collage digitale. È stato una sorta di esercizio, di allenamento. Poi sono tornato gradualmente alla bellezza dell’arte ‘hand made’. Tuttavia, nella maggior parte delle opere è presente la fotografia e l’elaborazione digitale, ma coperta parzialmente o addirittura totalmente da carbone, pastello, grafite ecc. Mi piace restare in una gamma cromatica limitata, forse per alcuni austera. Questa scelta proviene sempre dalla filosofia e codifica in qualche modo il mondo in cui viviamo: bianco-nero-dorato/bene-male-luce spirituale.

Qual è il tuo rapporto con l’atelier e come ti relazioni a esso?

Credo che sia la domanda che sta a cuore a ogni artista, le cui descrizioni sono sempre incomplete. Sono i materiali di cui si fa uso che piano piano costruiscono l’ambiente in cui uno si sente a proprio agio. La polvere di carbone che viene fuori dal disegno, la carta di diverso spessore e consistenza, le boccette dei pigmenti, i collanti, i diluenti ecc. si ‘sistemano’ in maniera casuale intorno alla zona di lavoro e diventano una sorta di «natura morta» mobile. L’odore è un altro elemento specifico e a volte stimolante. Quando senti il diluente, già vedi i segni di bronzo lasciati dal pennello sul lavoro. Oppure lo spray fissante che ti avvicina al momento finale di un disegno.
Tuttavia, nel mio caso due sono gli altri elementi decisivi per creare una dimensione di lavoro fertile. La musica è assolutamente necessaria. Mi aiuta tantissimo a sentire e a immergermi nell’opera. Le due dimensioni del foglio da disegno si dissolvono in molte altre.
Il secondo elemento è un bicchiere di vino rosso. Per puro caso ho letto in alcuni testi di alchimia che spiegano molto chiaramente il ruolo che può avere il vino sull’organismo e sullo spirito. La musica e il vino ti aiutano molto come artista a ‘separarti’ per un po’ tempo dal quotidiano e a immergerti nel lavoro e in te stesso. Tuttavia, se non puoi controllare questi due elementi, essi diventano facilmente l’opposto e possono rovinare l’opera in qualsiasi momento.


Quali sono gli artisti che hanno segnato il tuo percorso creativo?

Durante l’università ho provato certe affinità per alcuni, ma poi non ci sono stati artisti che hanno segnato il mio percorso creativo. All’inizio mi piacevano molto M.C. Escher, Vasarely, Hyeronimus Bosch. Stavo per dimenticarlo, all’asilo avevo un album da disegno con Picasso. Conoscevo tutte le sue opere e mi affascinava Guernica. Ovviamente, le ho ritoccate io qua e là con i pennarelli colorati. Non erano proprio perfette.
Non mi sentirei di dire che un determinato artista o una corrente abbiano segnato in maniera definitiva la mia visione artistica. Ma, d’altro canto, è evidente che sui miei interessi visuali hanno esercitato la loro influenza tutta una serie di letture.

Artista visuale in Romania: quali sono le parti positive e quelle meno?

Non credo che l’artista visuale in Romania sia molto diverso dall’artista visuale di un altro paese. C’è una grande differenza tra l’artista visuale della Romania comunista e quello della Romania contemporanea, questo è un altro discorso. Ci sarebbero molte cose che potrebbero migliorare la vita e l’attività dell’artista in Romania. Mi riferisco in modo particolare agli aspetti amministrativi. Sopravvivere esclusivamente con l’arte è difficile in gran parte dei casi. Soprattutto nell’ultimo periodo il paradigma dell’inserimento dell’arte nella società è cambiato molto e riguardo a tutte le forme artistiche, non solo quella visuale. Per portare avanti cose di una certa importanza devi scrivere progetti e trovare risorse finanziarie. Pochi artisti possiedono anche questa abilità. Mi riferisco a quelli della generazione matura, consacrata. Inoltre, il mercato, il marketing seguono determinate leggi che interferiscono non sempre in maniera armoniosa con l’ambito e con il valore dell’arte.
La parte bella è che esiste ancora una parte bohémien negli atelier degli artisti. Ci sono molte cose belle che non tengono conto dell’immediatezza della realtà secca e stressante di ogni giorno. Sono assodate. Ma hanno il loro prezzo. In primo luogo materiale. Insomma, potrei dire che essere solo un artista è bello, ma difficile.

Quali sono gli artisti visuali contemporanei sulla scena internazionale che preferisci e perché?

Parlerei più volentieri di progetti, di orientamenti, di gruppi che di artisti visuali. Un punto di riferimento degli ultimi anni è Ashes and Snow di Gregory Colbert. Un film sublime sia dal punto di vista estetico, sia spirituale. Allo stesso tempo, mi piace molto Human di Yann Arthus Bertrand, un meraviglioso affresco dell’umanità contemporanea e non solo. Sento molto vicini gli spettacoli coreografici come Blush di Wim Vandekeybus, Dialoge 09 di Sasha Waltz. Mi attirano tantissimo anche gli esperimenti con i nuovi paradigmi digitali. Il gruppo Obvious di Parigi è un esempio eloquente di come si può andare oltre con l’arte usando l’Intelligenza Artificiale.
Sono molti i progetti interessanti che difficilmente si possono continuare a incasellare in una categoria specifica. Ma ci sono molti altri progetti e lavori che non capisco e di cui non colgo il senso.


Cambiando punto di vista, come è stato il periodo del nuovo inizio, degli anni ’90, della Facoltà di Arte e Design di Timișoara, che hai vissuto da studente? Quali sono i ricordi più intensi di quegli anni?

È stato bello e allo stesso tempo faticoso, a volte difficilissimo per via delle condizioni di lavoro. I professori forse ci mettevano più cuore di oggi, e questo magari si spiega con il fatto che i gruppi erano piccoli, di 6-10 studenti. Adesso è diverso. Da quando è stato introdotto il sistema delle tasse, tutto è cambiato. Seguivamo le lezioni dalla mattina alla sera ogni giorno, con una pausa pranzo. Trovare la documentazione era difficile. Tuttavia c’era un’effervescenza e una competizione seria tra gli studenti. Si tenevano discussioni, serate interminabili, qualche film alla cineteca di tanto in tanto, che coagulavano molto bene i gruppi sociali. Forse è per questo motivo che StudentFest ha avuto un così grande successo all’epoca.
Ho seguito le lezioni nelle campate dell’Università a destra dell’ingresso e nella sede di Calea Bogdăneștilor. Nella campata del piano terra a volte c’erano solo 8-10 gradi, ma stavamo 5-6 ore a disegnare con i guanti. Lì ho scoperto la tecnica dell’aerografia, che mi ha affascinato. Ho lavorato molto con l’aerografia, ma poi questo ambito è stato sostituito da quello digitale. Siamo stati una generazione privilegiata sotto alcuni aspetti, che ha vissuto il passaggio dalle forme tradizionali di trasposizione ai primi tentativi rudimentali di elaborazione al computer.

Nella stessa facoltà in seguito hai fatto la carriera universitaria. Come si coniuga la creazione con l’attività didattica, si influenzano a vicenda in qualche modo?

Non avevo intenzione di rimanere alla facoltà, ma sembra che questo sia stato alla fine il mio destino. Non avevo affatto idea di intraprendere la carriera universitaria e neanche adesso ci penso in maniera seria. Certo, la creazione si intreccia con l’attività didattica e l’interazione principale è come l’una e l’altra trovino il tempo limitato che hanno a disposizione. La forma creativa a cui lavoro adesso non ha molto a che fare con la parte didattica, ma prima del 2009 si conciliavano. Facevo una specie di arte digitale che addirittura insegnavo. Adesso sono percorsi diversi. Credo che tutte e due le varianti funzionino bene allo stesso modo. Evidentemente, non troverai un artista che anteponga qualcos’altro alla creazione, ma a volte puoi ricevere soddisfazioni simili anche da altre attività.


Quali sono le sfide con le quali ti confronti nell’attività di preside della Facoltà di Arte e Design?

Le sfide legate al tempo limitato. Ci sono montagne di problemi specifici oppure generici da risolvere e comunicare. Una specie di nastro di Möbius che non finisce mai. È più semplice di quanto immaginassi, ma allo stesso tempo molto più complesso. Cioè i problemi sono tutti di un grado medio di difficoltà, ma sono tantissimi. Qui sono molto agevolato dal personale che gestisce la facoltà.
D’altro canto, cerco di rendere dinamici i vettori di sviluppo dell’istituzione ponendo l’accento sul networking e sull’internazionalizzazione. Come possiamo vedere, le cose cambiano alla velocità della luce e di conseguenza non è sufficiente fare qualcosa molto bene nel presente, devi avere una visione ed esplorare le possibilità a breve e medio termine. Poi devi essere in grado di implementare le conclusioni. Se pensiamo che tutto ciò è parte di un sistema complesso, amministrativo, sociale, economico, vi garantisco che è la ricetta perfetta generatrice in alcuni momenti di molto stress. Ma alla fine ogni tanto arriva anche qualche soddisfazione.

Qual è, quindi, la più grande soddisfazione avuta finora in quanto preside?

Di essermi già tolto di dosso un anno del mandato. Scherzo, ovviamente. È stato un periodo diverso dal solito, mai vissuto finora da nessuno. Ho iniziato il mandato proprio nel mezzo della pandemia e sono felice di essere riuscito a gestire tutte le sfide. Non è andato tutto in maniera perfetta, ma credo che siamo riusciti ad affrontare bene questo anno così difficile. E questo soprattutto perché nell’ambito della vocazione artistica l’insegnamento online è limitato solo ad alcune discipline. Se dovessi pensare, tuttavia, in maniera precisa, ad alcune cose che mi hanno soddisfatto, per prima cosa mi viene in mente la comunità dei colleghi con i quali lavoro molto bene. Ovvio che ci sono anche opinioni diverse espresse con fermezza, ma è normale, e a maggior ragione tra noi artisti. Spero però che saremo più “coesi” rispetto al passato.
In secondo luogo c’è l’album Al treilea început... (Il terzo inizio…), un volume di grande valore. Ma qui devo dire che il livello qualitativo è direttamente proporzionale al livello di stress generato da questo progetto.


Come funziona la «figura del maestro» per le nuove generazioni e quali sono le prospettive di chi si laurea in Arte? Cosa hai trasmesso agli artisti all’inizio del loro cammino e alla ricerca di una direzione?

La «figura del maestro» credo stia venendo meno sempre di più. In alcune specializzazioni è scomparsa del tutto, ma non è un caso allarmante dal mio punto di vista. La gente cambia e con essa anche alcune consuetudini. Preferisco una moltitudine di opinioni rispetto a una guida unica e a volte rigida. Ma un mentore è assolutamente necessario, almeno nella fase iniziale.
È molto importante che i nostri laureandi conoscano il meglio possibile il mondo in cui viviamo, con tutti i suoi meccanismi. Non è sufficiente avere talento o brillare in maniera effimera. A maggior ragione quando il campo dell’arte interferisce con sistemi che hanno le loro regole. Uno di questi è il marketing. Probabilmente i laureandi delle sezioni delle arti applicate riescono ad integrarsi più facilmente in diversi ambiti proprio per il fatto che possiedono un certo orientamento pragmatico.

Come è vista oggi la realtà artistica di Timișoara nella dinamica delle sue forme istituzionali, pubbliche e private?

Non è una natura morta, ma un quadro astratto gestuale. Una realtà variegata nei concetti, negli spazi, nelle strutture organizzative, ma c’è ancora molto da fare. È molto positivo che si consolidino alcuni fenomeni artistici, e l’iniziativa privata apporta un importante contributo. Le gallerie d’arte contemporanea più belle e più attive sono private. Spero che in futuro il Museo d’Arte torni ad avere un’attività più consistente e desideriamo anche noi come facoltà essere più vicini alla comunità tramite la cultura. Forse le iniziative di ripartenza degli organi amministrativi culturali che vediamo nell’ambito delle autorità locali porteranno un nuovo slancio espressivo.

Per concludere, ti chiedo di scegliere un’opera che in questo momento ritieni ti rappresenti meglio e di «parlarcene»!

Sarebbe bello poter fare questo genere di precisazioni in ambito artistico con tanta chiarezza. È difficile identificare esattamente un lavoro che potrei considerare come il migliore. Forse mi risulterebbe più facile fare l’opposto, trovare cioè un’opera che si sia allontanata da ciò che avevo in mente. Inoltre, con il tempo le opzioni e le preferenze possono cambiare. Credo che vada molto bene così. Se potessimo scegliere con precisione un lavoro in base a una serie di «indicatori standard di qualità» non esisterebbe più l’arte. D’altronde, anche una totale soggettività potrebbe relegarci in una sfera impenetrabile. Dopo quasi 10 anni di studio sono arrivato a una certa forma espressiva che non mi permette di scegliere in maniera univoca un’opera che mi rappresenti. Forse è per questo che potrei emigrare verso altri soggetti o altri campi espressivi.



















Intervista a cura di Afrodita Cionchin
Traduzione di Serafina Pastore
(n. 6, giugno 2021, anno XI)