E lo spirito italiano risuona all’Opera di Timişoara. Parla Corneliu Murgu

Da dodici anni Corneliu Murgu dirige l'Opera Romena di Timişoara. Strettamente legato all'Italia per il suo articolato percorso umano e professionale, il maestro Murgu delinea l'attività di questa prestigiosa istituzione, presentandone i successi e illustrando anche la nuova stagione, ricca di manifestazioni speciali per festeggiare i sessantacinque anni di attività artistica dell'Opera. Di un fatto il maestro Murgu è convinto, con aperta soddisfazione: «Abbiamo portato qualcosa dello spirito e della mentalità italiana nel nostro teatro».


Maestro Corneliu Murgu, quando è stato per la prima volta all’Opera di Timişoara?

Ricordo ancora che quando avevo tre anni e mezzo mia nonna mi portò per la prima volta all’opera, dove andava in scena la Butterfly. Da lì è cominciata la mia passione. Ovviamente i miei genitori non volevano che mi avvicinassi troppo alla musica, ma alla fine sono riuscito a ʻvincereʼ, ho concluso gli studi presso la Facoltà di Musica di Timişoara e successivamente ho sostenuto i test per il Conservatorio di Bucarest, ma a quanto pare non avevo abbastanza ʻqualitàʼ. Così sono andato in Italia, dove sono stato ammesso al Conservatorio Cherubini di Firenze e, dopo aver concluso gli studi, sono approdato alla scuola del Maestro Marcello del Monaco, fratello dello straordinario tenore Mario del Monaco.

Come è arrivato a Firenze?

Nel 1971 sono andato in vacanza a Firenze, ed essendo luglio c’erano le ammissioni al Conservatorio, così ho provato anch’io e sono stato ammesso, dopo essere stato respinto a giugno in Romania, come ho già detto. Ho poi ottenuto il diploma di Maestro di Canto, e nel frattempo un’insegnante di letteratura poetica e drammatica mi ha indirizzato dal Maestro Del Monaco, che a quell’epoca aveva formato tantissimi tenori, sia della generazione precedente sia di quella successiva alla mia, e io sono stato, come lui soleva chiamarmi, l’ultimo ʻcavallo biancoʼ.

Perché ʻcavallo biancoʼ?

Perché a quel tempo c’era la pubblicità di un dentifricio con tanti cavalli neri che correvano e solo uno bianco. Tu sei il mio cavallo bianco, mi diceva Marcello. Nel 1977 sono arrivato secondo a un concorso a Vercelli e poi, nel febbraio del 1978, ho fatto un provino all’Opera di Vienna. Sono stato richiamato a giugno, quando mi hanno proposto un ingaggio per due anni come tenore solista dell’Opera di Vienna. E così è iniziata la mia carriera. Nel frattempo avevo vinto anche il concorso Toti dal Monte di Treviso. Quindi, ho vissuto in Italia per otto anni, dal ’71 al ’78, ovvero durante gli studi e fino all’avvio della mia carriera. Poi sono tornato per tre anni, dal ’90 al ’93, periodo che ho trascorso a Verona, dove ho incontrato Aldo Danielli, direttore del coro dell’Arena di Verona e maestro corripetitore eccezionale, con il quale per vent’anni ho studiato gli spartiti. Cantavo in tutto il mondo, ma quando dovevo preparare uno spartito andavo da lui. Abitavo sia a Verona, che a Vienna e a Monte Carlo. Quando sei un artista, la tua carriera ti porta a viaggiare 300 giorni all’anno.

Che cosa rappresenta l’Italia nel suo percorso umano e professionale?

Per me l’Italia non è il Paese di origine, ma il Paese che mi ha adottato e mi ha formato professionalmente, dato che mi sono creato un repertorio solo italiano. In questo modo, dovunque andassi, anche i colleghi non italiani mi parlavano in italiano. Questa, in effetti, era la mia nuova lingua. Proprio per questo, quando nel 2000 sono tornato in Romania, ho avuto qualche problema con il romeno. Ovviamente, qui non si tratta dello snobismo ingiustificato di chi dopo due anni afferma di non sapere più il romeno. Nel mio caso, il fatto di parlare tutti i giorni in italiano e di vivere in un ambiente dove si parlava solo italiano – da trent’anni a questa parte faccio tutti i giorni le parole crociate – ha fatto sì che anche i miei pensieri prendessero forma in italiano.

Si tratta, dunque, di un paradigma mentale che ha acquisito una volta arrivato in Italia.

È così. Quando nel ’71 sono arrivato in Italia, ho ricominciato a pensare. Lasciavo un mondo nel quale gli orizzonti erano limitati, per entrare in uno in cui avevo accesso a qualsiasi informazione. È stato uno shock enorme. Molto è dipeso anche da me, perché ho voluto imparare il più possibile. A maggior ragione perché vivevo a Firenze, città che trasuda arte. Nell’ottobre dello scorso anno, in occasione del quarantesimo anniversario del Conservatorio, sono andato con mia moglie a Firenze, città che lei non aveva mai visitato prima; e io, che conoscevo la città, l’ho fatta passeggiare per vicoli molto stretti che sboccavano davanti a monumenti immensi, così che l’impatto fosse maggiore. Quando siamo arrivati al Conservatorio, ho visto quanto è cambiato in tutti questi anni.

Come ha vissuto il 1989 all’estero?

Nel dicembre del 1989 eravamo in Francia, a Nizza, con Cavalleria Rusticana e Pagliacci e abbiamo visto in televisione cosa stava succedendo a Timişoara. Avevo sentito che i disordini erano iniziati già dal 16-17 dicembre ma non sapevo di cosa si trattasse. Poi noi romeni ci siamo messi in contatto telefonico e il 26 dicembre abbiamo organizzato all’Opéra Comique di Parigi un grande concerto dedicato proprio a quanto stava accadendo; hanno partecipato Ileana Cortubaş, Gheorghe Zamfir e molti altri, romeni e non. L’evento è durato quattro o cinque ore e c’erano persone radunate anche fuori dall’Opéra. Ma l’evento più importante è stato lo straordinario concerto organizzato a Vienna il 30 gennaio 1990, al quale hanno preso parte Placido Domingo, José Carreras, Claudio Abbado, Agnes Baltsa, Ileana Cotrubaş, Mariana Nicolesco ed Eugenia Moldovan. Abbiamo dedicato questo concerto alla Romania, dove poi abbiamo inviato i fondi raccolti. Era nostro dovere farlo. 

Nei suoi 25 straordinari anni di carriera, quanti ruoli ha interpretato?

Di solito rispondo così: per poter dire di aver interpretato un ruolo davvero bene, devi farlo almeno quaranta volte. Le prime dieci volte servono per capire di cosa si tratta, le dieci successive per capire il ruolo dal punto di vista vocale, dalla ventesima alla trentesima si impara a interpretarlo e soltanto dalla quarantesima volta il ruolo diventa familiare. È importante creare un ruolo che uno possa far suo. Solo così le persone possono dire: «Vado a vedere Murgu in Pagliacci e non Pagliacci con Murgu». Sarebbe questo, in realtà, l’ideale. Per ciascuna voce ci sono solo dai sei agli otto ruoli ideali. Io ho cantato ventotto ruoli nella mia carriera ma quelli perfetti sono solo otto o dieci del repertorio drammatico, un repertorio che sentivo mio, dove non avevo problemi, dove non dovevo pensare a compromessi.
Oggi, sfortunatamente, il problema più grande è dato dal fatto che molti direttori di teatro non sanno nulla di voci. Pochi sanno inquadrare e valorizzare una voce. Molti agenti non si occupano più delle voci come succedeva una volta, quando dovevano curare 8, 10 o al massimo 15 cantanti che conoscevano bene e sapevano che ruoli potevano interpretare. Oggi tutti cantano quello che vogliono, tutti cantano come possono. Poi succede che alcuni cantanti dopo 4 o 5 anni spariscono. Nascono come delle stelle, delle stelle cadenti. 

Quando è tornato in Romania e come è diventato Direttore dell’Opera di Timişoara?

La prima volta che sono tornato a Timişoara è stato nel giugno del ’90. Poi ancora nel ’92 e nel ’94. Nel ’97, in occasione del quindicesimo anniversario dell’Opera di Timişoara, abbiamo messo in scena una rappresentazione gratuita del suo primo spettacolo, l’Aida. Sono stato invitato anche in altre città, come ad esempio alla prima edizione del Festival Enescu a Bucarest. Volevo rimanere in Romania. Avevo saputo che il posto di direttore dell’Opera di Timişoara era vacante ed era la prima volta che veniva assegnato con un concorso e non per nomina. Così ora sono il primo direttore in Romania ad avere ottenuto il posto con un concorso, per la precisione il 20 settembre 2000.  Poi nel 2003, dopo tre anni di management, ho rinunciato al canto, perché ho visto che non potevo fare bene entrambe le cose. Mi sono detto «Sono arrivato in alto e voglio rimanerci, quindi mi fermo». È stato molto difficile. Ma è successo da un giorno all’altro. Ho preso la mia decisione: l’ultimo spettacolo, fertig (stop, N.d.R.). Quello che faccio ora mi dà enormi soddisfazioni, in fin dei conti si tratta dello stesso lavoro.

Quali sono stati i cambiamenti che ha cercato di introdurre all’Opera di Timişoara?

Prima di tutto disciplina e qualità del lavoro. Sono riuscito ad apportare numerosi cambiamenti soprattutto per quello che riguarda la mentalità del teatro, e a ciò si sono aggiunte le produzioni che ho introdotto. Ogni anno produciamo tra i 60 e gli 80 spettacoli. Dopo 12 anni posso dire che siamo probabilmente l’Opera migliore della regione, apprezzata e rinomata in tutto il Paese. Nel maggio di quest’anno abbiamo partecipato per la prima volta a un festival a Cluj insieme alle altre quattro opere nazionali che hanno presentato ciascuna uno spettacolo. I critici hanno detto che Timişoara ha partecipato al festival per lasciare tutti senza parole, ed effettivamente lo abbiamo fatto. Abbiamo forse una mentalità più occidentale, una certa dedizione al lavoro che sono riuscito a coltivare in tutti questi anni. Sono importanti anche i nostri tour in Italia, Paesi Bassi, Francia e anche nel Qatar e questo proprio per ampliare i nostri orizzonti. Da sei anni partecipiamo al «Operettensommer» di Kufstein (Austria) dove il nostro coro e la nostra orchestra sono la base di questa manifestazione. È positivo e lodevole il fatto che noi, provenienti dal Banat, rappresentiamo l’operetta austriaca nel Tirolo. Otto anni fa, sulla base dei miei ricordi degli anni ’60, ho reintrodotto il Festival di opera e operetta del Parcul  Rozelor (Parco delle Rose, N.d.R.) che è stato ristrutturato. Non vi è in tutto il Paese un luogo migliore, anche dal punto di vista tecnico, per le rappresentazioni all’aperto. Visto il successo riscosso, abbiamo prolungato la durata del festival a due settimane.

Quale è l'apporto italiano all’Opera di Timişoara?

Dal 2003 abbiamo un direttore marchigiano, David Crescenzi, che ci ha molto «italianizzati». Poi, dal 2007 collaboro con Mario de Carlo, un registra eccezionale, insieme al quale ho realizzato la prima del Faust di Charles Gounoud, andata in scena il 10 ottobre. Uno dei bassi migliori dei nostri tempi, Roberto Scandiuzzi, ha cantato da noi Mefisto. Il Faust è lo spettacolo che abbiamo presentato per il sessantacinquesimo anniversario dal primo spettacolo all’Opera di Timişoara, in occasione dell’apertura della stagione artistica 2012-2013. È così abbiamo portato qualcosa dello spirito e della mentalità italiana nel nostro teatro.


Intervista realizzata da Afrodita Carmen Cionchin
Traduzione dal romeno di Elena Levarda
(n. 11, novembre 2012, anno II)