Ana Blandiana, un classico della poesia romena al Festival letterario «Incroci di civiltà»

Giunto alla IX edizione, il Festival letterario «Incroci di civiltà», ideato e organizzato dall’Università di Ca’ Foscari, in collaborazione con il Comune di Venezia e la Fondazione di Venezia, nel corso di cinque densissime giornate (30 marzo – 2 aprile 2016) ha trasformato la magica città lagunare in un crogiolo di lingue e culture rappresentative di letterature da ogni angolo del mondo. Quest’anno, tra scrittori e poeti, gli autori invitati sono stati 26 provenienti da 28 paesi: dall’Australia alla Siria, dagli Stati Uniti all’Azerbaigian, un ventaglio geo-letterario di straordinaria varietà e ampiezza. A salire sul palcoscenico del teatro Goldoni, in cui è tradizione che si celebri la serata inaugurale del festival, è stato lo scrittore franco-libanese Amin Maalouf accompagnato dalle musiche del trombettista statunitense di origini irakene Amir ElSaffar, che nelle sue composizioni combina la musica jazz con suggestive sonorità arabo-mediorientali. 

Per la Romania, in collaborazione con l’IRCCU di Venezia (Istituto Romeno di Cultura e Ricerca Umanistica), è stata invitata a partecipare Ana Blandiana, nell’ambito di «Incroci di poesia contemporanea», approdata alla sua XI edizione, una rassegna parallela al festival, che proseguirà fino a maggio di quest’anno con altri poeti, sempre organizzata dalla Ca’ Foscari con il Dipartimento di Studi Linguistici e Culturali Comparati.

Per questo evento, tenutosi il 2 aprile all’Auditorium di S. Margherita, Ana Blandiana è stata preceduta dai recital di poesie di Jüri Talvet, poeta estone, e di Antanas A. Jonynas, poeta lituano, e ha interloquito, con momenti inframmezzati dalla lettura di poesie tratte dalla sua ultima raccolta La mia patria A4 (Aracne 2015), con il professor Dan Octavian Cepraga, autore della prefazione del volume e docente di lingua e letteratura romena presso l’Università di Padova, e Mauro Barindi, che ne ha curato la traduzione e la nota biobibliografica. Il professor Cepraga ha tracciato nel corso dell’incontro un ritratto a tutto tondo dell’attività letteraria e civica di Ana Blandiana, grazie al quale il pubblico presente ha avuto modo di conoscere in maniera approfondita l’esemplare percorso umano e poetico di un vero e proprio «classico vivente» della letteratura romena, come ha sottolineato il professore stesso durante il suo intervento.      
Ana Blandiana è stata invitata anche a un precedente evento, al di fuori del festival, che si è tenuto il 31 marzo nella Sala Tommaseo dell’Ateneo Veneto su invito dell’associazione e scuola di poesia «La settima stanza». Ana Blandiana, presentata da Rudolf Dinu, direttore dell’IRCCU di Venezia (Istituto Romeno di Cultura e Ricerca Umanistica) e accompagnata anche per questa occasione da Mauro Barindi, al termine di un ampio e suggestivo recital di sue poesie a cura di Maria Grazia Sterlocchi e Laura Guadagnin tratte da La mia patria A4, ha dialogato con il pubblico rispondendo anche alle domande sorte sulle suggestioni originate dall’ascolto delle sue poesie. 
Dell’opera poetica di Ana Blandiana il lettore italiano ha disposizione, oltre a questo ultimo volume di poesie, l’antologia di liriche Un tempo gli alberi avevano occhi, a cura di Biancamaria Frabotta e Bruno Mazzoni (Donzelli, 2001), mentre per ciò che riguarda la prosa ci sono i racconti di Progetti per il passato, a cura di Marco Cugno (Anfora, 2008) e i ricordi di viaggio Il mondo sillaba per sillaba, a cura di Mauro Barindi (Edizioni Saecula, 2012).  

Non potevamo lasciarci sfuggire la preziosa occasione favorita da questo doppio appuntamento e ne abbiamo approfittato per porre alcune domande al professor Dan Octavian Cepraga.


Professor Cepraga, la presenza di Ana Blandiana a questo prestigioso evento è stata una preziosa occasione per (ri)scoprire la dirompente voce lirica di una delle poetesse da Lei giustamente definita un «classico vivente» della letteratura romena del Novecento. Potrebbe riassumere il senso di queste parole?

Direi che la dimensione ‘classica’ dell’opera di Ana Blandiana può essere letta in una duplice prospettiva. In primo luogo, la ‘classicità’ è dentro la sua scrittura, è la caratteristica principale del suo stile e della sua poetica. Penso all’armonia e alla sovrana autosufficienza della sua poesia, che sembra proferire sempre fino in fondo, e a tutti i costi, tutto quello che ha da dire, che rifugge il non-detto, risolvendo e assumendo in se stessa ogni altra dimensione esterna. O ancora, alla tensione etica che attraversa segretamente ogni sua pagina e parola, dalla lirica più introspettiva e personale, al saggio militante, alla narrativa fantastica. C’è un principio di responsabilità verso la propria scrittura e di fedeltà a se stessi, che guida tutta l’opera della Blandiana e che, in un certo senso, ne fonda il valore e lo statuto di ‘classico contemporaneo’.
In secondo luogo, la classicità di Ana Blandiana dipende, in pari misura, dalla autorità della sua figura pubblica e della sua biografia: dai modi in cui, negli anni bui del regime, ha saputo difendere la propria dignità di scrittrice e di intellettuale, dalla forza con la quale si è impegnata, dopo la caduta del comunismo, per la ricostruzione di una società civile in Romania, sostenendo la necessità di fare i conti fino in fondo con il recente passato totalitario (ricordo, a questo proposito, la fondazione del «Memoriale delle vittime del comunismo e della resistenza» di Sighet in Maramureş). Nel corso degli anni, si è costruita, insomma, attorno alla figura di Ana Blandiana una sorta di aura, di cui si sono accorti non solo quelli che si interessano di poesia e di letteratura, ma anche la gente comune. Lorenzo Renzi, grande conoscitore di cose romene, ne ha parlato in alcune sue pagine di diario, scritte a pochi mesi dalla caduta del regime, dove la descrive come «la Giovanna d'Arco della Nuova Romania», testimoniando di come la gente, che la incontrava per strada, la riconosceva, le stringeva la mano, la baciava e l’abbracciava. Come si conviene, insomma, ad un vero «classico vivente».

Ana Blandiana è nel solco di una tradizione che, rinnovandosi negli anni, ha plasmato un nuovo volto alla poesia romena moderna: qual è stato il contributo della Blandiana in questo processo e perché è giunta a occupare una delle vette della lirica romena contemporanea?

Bisogna ricordare che Ana Blandiana pubblica il suo primo volume di versi nel 1964, in un momento cruciale per la storia della cultura romena, un momento di disgelo, che giungeva dopo un lungo periodo dominato dallo stalinismo più duro, in cui il mondo letterario era stato quasi completamente asservito alle esigenze della propaganda di partito. Il temporaneo cambiamento di clima politico degli anni Sessanta ha permesso a una nuova, giovane generazione di poeti di trovare, o meglio di prendersi nuovi spazi per la propria creazione, impensabili pochi anni prima. Ha ragione, i libri della Blandiana e quelli degli altri giovani poeti di questo periodo, hanno ridisegnato, nel giro di pochi anni, il volto della poesia romena moderna: ricordo, ad esempio, Una visione dei sentimenti (1964) e 11 elegie (1966) di Nichita Stănescu, Il tallone vulnerabile (1966) e Il terzo sacramento (1969) di Ana Blandiana, i primi volumi di Marin Sorescu e Ileana Mălăncioiu, e altri ancora. Sono libri che hanno segnato un distacco netto, irreversibile, dalla dottrina del realismo socialista e hanno riaffermano, in modi diversi ma con identica forza, l’assoluta autonomia del discorso poetico. Sono la voce di una poesia nuova, libera, fieramente soggettiva, impermeabile alla retorica della propaganda.
Il contributo di Ana Blandiana in questo processo è stato, ovviamente, fondamentale. Se vogliamo fare un confronto con gli altri grandi autori della sua generazione, potremmo dire che la poesia di Ana Blandiana è quella che ha saputo continuare in maniera più fedele e più compiuta una certa linea del modernismo romeno interbellico, riannodando legami che erano stati spezzati dall’avvento del comunismo. Penso, ad esempio, alla grande lezione di Lucian Blaga e al suo lirismo assoluto, di cui Ana Blandiana ha offerto una versione rinnovata, ma fedele nello spirito, che ha fatto risuonare di nuovo sulla scena poetica romena qualcosa della voce oracolare e giubilatoria del grande autore transilvano.

Ana Blandiana ha un vasto seguito di pubblico che la segue e la ama, identificandosi in lei proprio per ciò che riesce a trasmettergli. È un’autrice che meriterebbe di trovare accoglienza presso un importante editore per il valore e la qualità della sua opera, ma in Italia i grandi autori romeni faticano a trovare il giusto spazio e l’adeguata attenzione, ignorati dalle grandi case editrici. Perché?

«That’s a good question», direbbero gli inglesi. E dire che con Ana Blandiana possiamo ritenerci fortunati: in italiano c’è l’antologia poetica pubblicata da Donzelli, tradotta magnificamente da Bruno Mazzoni e Biancamaria Frabotta (Un tempo gli alberi avevano occhi), ci sono i bellissimi racconti fantastici di Progetti per il passato (Anfora, Milano, 2008) curati e tradotti dal compianto Marco Cugno, e ancora le sue bellissime traduzioni delle prose di viaggio (Il mondo sillaba per sillaba) e di Patria mea A4, il volume di poesie che abbiamo appena presentato a Venezia, al festival «Incroci di civiltà». Certo, Ana Blandiana meriterebbe di essere più conosciuta in Italia e, soprattutto, le sue opere dovrebbero circolare presso un pubblico più largo. Del resto, io ho sempre sostenuto che recuperare la grande poesia dell’Europa dell’Est di questi ultimi cinquant’anni, integrarla a pieno titolo nel nostro orizzonte intellettuale e spirituale è un compito sempre meno rimandabile, che riguarda, per certi versi, le ragioni stesse dell’integrazione europea e l’idea che ci siamo fatti finora, da Occidente, della nostra comune tradizione letteraria.
Per quanto riguarda la miopia e il ritardo dell’editoria italiana: non so spiegarne tutte le ragioni, posso solo constatarlo come un fatto.  Di fronte alle novità, i grandi editori si muovono di solito con lentezza e con miope circospezione. Le piccole case editrici, che spesso fanno scelte più coraggiose e lungimiranti, pagano il prezzo della scarsa visibilità, dovuta alle enormi difficoltà ad accedere alla promozione e alla distribuzione libraria, alle scarse segnalazioni sulla stampa periodica che conta, alla presenza estremamente precaria ed effimera sugli scaffali delle librerie. Per non parlare, poi, dell’enorme instabilità del mercato e delle imprese editoriali in questi tempi di profonda crisi del settore. Sono fattori, intendiamoci, che riguardano tutti e non solo le traduzioni della letteratura romena in italiano. Speriamo in tempi migliori.




Intervista realizzata da Mauro Barindi
(n. 5, maggio 2016, anno VI)