In dialogo con Davide Zaffi. Noica e il suo «Anti-Goethe» non conformista

Proponiamo ai nostri lettori un incontro con Davide Zaffi, studioso dello spazio culturale e politico dell’Europa centro-orientale, che ha conseguito la laurea in Lingue straniere a Venezia e in Scienze politiche a Urbino, usufruendo in seguito di borse studio presso la Central European University e Európa Intézet di Budapest.
La Romania sembra aver occupato poco a poco un posto privilegiato nei suoi interessi che travalicano quelli strettamente attinenti alla politica, toccando da vicino anche quelli letterari e filosofici. In questo senso, dopo aver curato in italiano il romanzo autobiografico di Paul Goma, uno dei dissidenti romeni «storici», Nel sonno non siamo profughi (Keller editore, 2010), Davide Zaffi si misura ora con il saggio filosofico Congedo da Goethe (Rubbettino, 2019) del noto pensatore romeno Constantin Noica (1909-1987), una delle figure di riferimento per l’intellettualità romena durante il lungo sonno delle libertà in Romania fino alla caduta del regime comunista – di cui è stato una delle tante vittime designate negli anni ’50 – nel 1989.
Nel nostro dialogo, Davide Zaffi spiega le ragioni che lo hanno portato a tradurre questo peculiare saggio incentrato sul Faust, e non solo, di Goethe (scelta che trova un senso più ampio anche nella sua formazione come germanista), rendendoci partecipi del modo in cui ha affrontato la traduzione, delle peculiarità poste dal testo nel momento della resa in italiano, considerazioni  accompagnate da spunti di riflessione puntuali e attenti che trasmettono al lettore l’idea di fondo che la traduzione non è la semplice trasposizione di segni da una lingua all’altra ma l’assunzione di un processo culturale che fa da sfondo all’atto traduttivo.       

Congedo da Goethe di Constantin Noica, edito dall’editore Rubbettino (Soveria Mannelli (CZ), 2019, p. 312) e presentato all’ultimo Salone del libro di Torino, è una monografia su Goethe ma anche e soprattutto una personale incursione nel Faust dello scrittore tedesco. Perché ha scelto di tradurre un testo esegetico di tale spessore scritto da un autore di altrettanto spessore come Constantin Noica: l’hanno attratta l’argomento, affinità ideali e culturali, il suo contesto storico-letterario?

Se Kant parla delle ‘avventure dello spirito’, si potrà forse parlare anche delle ‘passioni dell’intelligenza’. Il libro di Noica mi ha colpito prima di tutto per la passione dell’intelligenza che lo anima da cima a fondo. Per quattro lunghi capitoli (il quinto e ultimo ha un tono diverso) l’autore suona, se mi permette un’immagine, con le dita dell’intelligenza sulle corde della sterminata produzione goethiana. Ne ricava suoni che se non son canonici, quelli cioè prescritti dalle leggi dell’armonia (filologica), sono però quasi sempre inventivi, sorprendenti. E lo sono non per caso o per capriccio, come qualche volta in certi libri avviene, ma perché si muovono nel senso di un approfondimento del canone, alla moda della particella rumena ‘întru’. Si tratta di un’impresa non facile ma Noica se la assume e per molte e molte e pagine la svolge con successo.
Polemizza amabilmente con Gundolf, il massimo esegeta goethiano del primo novecento tedesco, corregge spavaldamente Chamberlain, completa Madame de Staël, la quale per prima aveva visto che il vero protagonista del Faust non è Faust, bensì Mefistofele e però non riusciva a darne conto se non per semplici motivi esteriori – perché è più spesso in scena; perché in molte occasioni decide lui quel che Faust farà. Noica invece si interroga, ben più acutamente, sul perché Mefistofele sia più spesso in scena, sul perché decida lui per Faust e, quando dà la risposta, trovando tramite essa una solida coerenza a tutta la tragedia, affina in modo straordinario e inaspettato l’interpretazione. Che potrà non essere condivisa in toto, ma è seria e sfida a un confronto. C’è forse da rammaricarsi che alcuni recenti esegeti di Goethe non abbiano conosciuto il testo di Noica.
Il rapporto di Noica con i sommi gothisti della sua epoca (da Dilthey a Simmel, da Gadamer a Kurt Hildebrandt) rappresenta comunque un fronte alla fin fine laterale del libro: il fronte principale è quello che l’oppone a Goethe stesso. E chi poteva concepire un Anti-Goethe (come suonava il titolo originario del libro) o anche solo un Congedo da Goethe (come suona quello finale) se non qualcuno che riteneva di avere cose nuove, anzi, anticonformiste da dire?

Il filosofo romeno attese a questo lavoro durante il domicilio forzato a Câmpulung-Muscel impostogli dal regime comunista negli anni ’50 del secolo scorso. Quanto ha influito ciò sull’opera?

Noica direbbe che non ha influito per nulla. O, meglio, che quanto ha influito è irrilevante. Su questo punto Noica è in linea con molti letterati rumeni suoi contemporanei: quel che conta non sono i dati biografici, ma le idee che si riesce a mettere in circolo. Un autore vale o meno per le sue idee, su quelle esclusivamente va giudicato. Dal suo punto di vista, in quanto autore, può aver ragione, ma dal nostro punto di vista di lettori non si può trascurare la biografia. Credo dunque che il domicilio coatto abbia favorito il lavoro su Goethe, perché ha permesso a Noica di dedicarsi esclusivamente a esso. Certo, questa chance, per dir così, può essere sfruttata soltanto se, come fu il caso di Noica, si è assistiti da una straordinaria forza di volontà, perché è vero che a Câmpulung Noica fu esentato da molte futili incombenze sociali ma è altrettanto vero che lo costrinse a vivere in condizioni di povertà estrema, anzi, di gravi privazioni. Lui che fino ad allora era vissuto nell’agiatezza.    

Qual è stato il suo approccio nel lavoro di traduzione? Quali problemi o ostacoli legati alla resa del testo in italiano ha incontrato, e quali soluzioni ha trovato per superare, magari con qualche compromesso, le «sfide» del testo originale?

Intanto va detto che c’è tanto non Noica nel libro. Vale a dire che le citazioni goethiane sono strabocchevoli. Per il Faust Noica usa la bella traduzione di Blaga, e sono centinaia di versi; per le altre opere goethiane traduce lui stesso. Non potevo lasciare le citazioni in originale e tanto meno tradurre Goethe… dal rumeno (in un unico caso l’ho fatto: Mefistofele-Goethe a un certo punto, ai versi 2038-9, contrappone all’albero d’oro della vita che «verdeggia» la teoria, da lui definita «grau», grigia. Blaga traduce «grau» con «seacă» e anch’io, seguendo Blaga, ho messo «secca» (pag. 217), sia perché meglio si staglia contro l’albero verdeggiante e sia perché è foneticamente più efficace). Avrei potuto prendere una delle traduzioni italiane pubblicate, ma nessun autore, per quanto ne so, ha tradotto da solo tutto, dico tutto, Goethe, e questo sarebbe servito perché Noica ha letto e usa per davvero tutto Goethe (poesie, romanzi, aforismi, teatro, lettere, studi scientifici…, Eckermann). Così ci ho pensato io, il che non è stato, credo, un guaio perché mi ha dato modo di intonare Goethe al lavoro di Noica, cioè di renderlo un po’ più impertinente e insofferente di quanto normalmente non venga reso in traduzione.
Quanto alla traduzione del rumeno di Noica, devo confessare che basta farsi prendere per mano da lui. Il tono, i pensieri e i sottointesi sono spesso paradossali, ironici, imprevedibili, ma la lingua materiale, ovvero il lessico, la topica, l’ordine nelle e delle proposizioni sono ineccepibili, di un’eleganza straordinaria. Qui il traduttore (italiano) non ha aggiustamenti da fare e la sua regola d’oro non può che essere quella di seguire passo a passo l’autore. Mi piacerebbe vantare qualche merito in più, ma confesso che non ho dovuto superare alcuna sfida particolare. Per l’unico libro rumeno che avevo tradotto prima di questo, di un autore diverso, avevo dovuto fare modifiche in molti punti, non certo per migliorare l’originale ma proprio per poterlo trasporre in modo adeguato in italiano. Qui questo non è stato necessario.
I miei interventi sul testo di Noica, poi, sono stati pochissimi e di nessun peso. Per fare un esempio, quando l’autore, per il viaggio in Italia di Goethe, cita la torre di Cento ho tacitamente aggiunto la specificazione «presso Bologna», perché in italiano l’accenno poteva risultare non chiaro. Sempre tacitamente ho corretto alcuni piccoli refusi, non saprei a chi imputabili, che ho trovato nel rumeno. Così, sempre per dare un esempio, dopo una verifica sull’epistolario, ho spostato all’ottobre 1831 una lettera che Goethe secondo il testo originale aveva scritto… nell’ottobre 1832!          

Perché è stato utile proporre questo saggio di Noica in traduzione, che cosa le premeva far arrivare al lettore curioso o edotto?

Francamente mi è difficile rispondere a questa domanda perché Congedo da Goethe è una porta sul mondo. Al lettore arriva di tutto. Noica, per fare una citazione dal libro, parla di Goethe osservandolo «da ogni parte: dalla scienza, dall’arte e dalla poesia, dalla comunità e dalla solitudine, dagli antichi e dai moderni, classicismo e romanticismo, sapienza e follia» (pag. 3). Noica parafrasa il famoso detto terenziano e sostiene con buon fondamento: nihil goethianum a me alienum puto. (pag. 4).
Se al lettore arriva il riflesso del piacere e degli stimoli che dà un incontro con Goethe, già non arriva poco.  
Tuttavia è chiaro che Noica non è un Eckermann o un Müller e neppure un Gundolf, ai quali ogni esegeta goethiano dovrà sempre riconoscenza eterna ma che troppo hanno subito il fascino, forse più ancora che il genio, del gigante di Weimar.    
È chiaro che Noica, con tutta l’ammirazione che anch’egli ha per Goethe, alla fin fine vede in lui l’occasione migliore per arrivare a esporre un suo personale e originale pensiero, il che avviene espressamente in quel quinto capitolo di cui dicevo in cui troviamo, per la prima volta efficacemente presentati, i sintagmi caratteristici della posteriore opera filosofica noiciana: il divenire nell’essere, le due temporalità, l’umano che supera (o, almeno, che è chiamato a superare) la ripetitività della natura.

Consultando il database di «Orizzonti culturali», si scopre che il suo volume si affianca ad altri testi significativi di Noica tradotti in italiano (L’amico lontano, il carteggio Cioran-Noica, Sei malattie dello spirito contemporaneo, entrambi usciti nel 1993; Pregate per il fratello Alessandro, 1994) – da segnalare anche la tesi di dottorato di Solange Daini, Il divenire entro l’essere di Constantin Noicaun’ontologia dopo il pensiero debole, Università di Torino, 2005), la quale ha poi curato anche il Trattato di ontologia e il Saggio sulla filosofia tradizionale, editi entrambi dalle Edizioni ETS nel 2007. Molto ha pubblicato Noica in vita, lasciando anche una discreta mole di scritti postumi. Ecco, ci sono altre opere di Noica le piacerebbe proporre in italiano, e perché?    

Credo che un libro pubblicato (sia pure solo in traduzione) sia come un bimbo messo al mondo. Non penso che tenendo in braccio il neonato la mamma già pensi a come sarà la prossima gravidanza. Io comunque non ho al momento in animo di tradurre altro, ma col medesimo respiro con cui dico questo aggiungo: Noica va letto tutto! Di Noica si può sostenere quel che si sostiene, con perfetta ragione, di Goethe: non è mai banale e quindi merita di essere letto. Si può ovviamente dissentire da lui, si può anche trovare esasperante la convivenza fra la sua rotonda scrittura e i suoi spigolosi pensieri, ma non si può sostenere che Noica si adagi mai anche solo per un attimo nel luogo comune, in quel che ci si aspetta, in una parola: nella pigrizia dell’intelligenza. E si può capire che per un autore così sarebbe sconfortante vedere quanto caso oggi si faccia del parlare e del pensare politically correct. Gli spazi della libertà di espressione e di pensiero si assottigliano sempre più, l’intolleranza degli autonominatisi ‘corretti’ che prescrivono con la forza dei media ciò che è lecito pensare, aumenta.
Noica, il quale con notevole preveggenza, ha avuto modo di evocare, fra le altre cose, l’avvento del mondo virtuale e l’abbandono delle pratiche tradizionali per la riproduzione umana, ha presentito anche che l’Occidente (e in particolare l’Europa) può ripudiare lo spirito insoddisfatto, intraprendente e filosofico, in una parola: umanistico, che dai greci in qua gli ha dato il carattere.
Con quello spirito l’Europa però si identifica e non è esagerato dire che senza di esso il nostro continente diverrebbe un’altra cosa – non necessariamente più interessante o più utile al mondo, secondo Noica.  




Intervista realizzata da Mauro Barindi
(n. 7-8 luglio-agosto 2019, anno IX)