Emil Petru Raţiu: «Aiutiamo gli istroromeni!»

Emil Petru Raţiu, medico-scrittore stabilitosi in Italia dal 1969, intellettuale militante, ha fondato nel 1994 a Trieste l’Associazione per la cultura istroromena «Andrei Glavina» e la rivista Scrisore catre frat rumeri (Lettera ai fratelli romeni) per salvare questo dialetto dalla scomparsa e offrirgli uno spazio dove continuare la propria esistenza. Il suo impegno per la causa istroromena si è espresso in numerosi articoli sulla stampa italiana, svizzera e romena, nella partecipazione a congressi internazionali e in interventi al Consiglio d’Europa. Il colloquio con il dottor Raţiu è una toccante testimonianza di un impegno generoso per una pagina significativa e relativamente poco conosciuta di una delle tante espressioni della cultura romena.

Dottor Raţiu, da dove nasce il suo interesse per gli istroromeni e il loro dialetto?

Dal fatto che sono i più minacciati della scomparsa della lingua, e di conseguenza dell’identità in breve tempo, e dal fatto che non esiste alcuna iniziativa in loro difesa da parte dello Stato romeno. Come altri popoli – portoghesi, spagnoli ecc. – sono orgogliosi delle scoperte geografiche fatte dai loro antenati, così anche noi abbiamo un’epoca nella storia, una Lusiade viva, non scritta, quasi sconosciuta al grande pubblico, nella quale i nostri antenati erano naieri – navigatori della terraferma, come li chiama Constantin Noica – in pacifica espansione per via delle grande forza demografica del popolo romeno di allora, dal regno Serbo di Stefan Dusan, dalla Tessalia e dalla Macedonia a Sud fino alla Moravia a Nord, e dalle steppe dell’Ucraina a Est fino all’Istria a Ovest. Testimonianza viva di quell’epoca sono a tutt’oggi gli istroromeni, in una regione situata sui meridiani geografici a Ovest di Vienna, in una zona importante dell’Europa, dove si incontrano le nazioni latine con quelle slave e germaniche.
Circa la creazione dell’Associazione culturale istroromena «Andrei Glavina», non sarei certo riuscito a fondarla da solo, senza l’appoggio di alcuni triestini dai quali andavo spesso – per poi passare la frontiera dagli istroromeni –, in particolar modo senza il sostegno di Ervino Curtis, allora direttore dell’Ufficio Relazioni Esterne del Porto di Trieste, che ha messo a disposizione la sala festiva del porto marittimo per le riunioni della nostra associazione istroromena. Di qui un’attenzione verso la nostra azione molto più ampia di quanto mi aspettassi, anche ad opera della stampa di Trieste e della vicina Croazia (mi permetta di citare Rosi Gasperini, giornalista della Voce del popolo, ed Ezio Mestrovich, che molto e bene hanno scritto sugli istroromeni).

Lei parla l’istroromeno: come l’ha imparato?

Così come si impara una qualsiasi lingua o dialetto che non si conosce: dai libri – senza però avere libri didattici e, specialmente, un vero dizionario – leggendo quindi i testi istroromeni dall’Itinerario in Istria del grande patriota Ioan Maiorescu, del 1957 (tradotto poi anche in italiano dalla signora Elena Pantazescu, moglie di Ervino Curtis), fino ai più recenti testi istroromeni del Professor Richard Sarbu di Timisoara, la grammatica del Professor August Kovacec di Zagabria e arricchendo le mie conoscenze sul territorio, nelle conversazioni con le persone dei villaggi istroromeni, dove giunsi la prima volta nel 1990, assieme al Professor Carol Lavacek di Praga.


Come è arrivato a fondare una rivista in istroromeno e un’associazione per questa gente?

Dal fatto, come ho già detto, che sono i più minacciati della scomparsa della lingua e dell’identità etnica: erano i primi a dover essere aiutati. Diedi vita alla rivista dopo aver fondato l’Associazione istroromena e l’uscita di ogni numero fu un lavoro estenuante, non esistendo, come ho accennato, un vero dizionario del dialetto istroromeno, né un’ortografia – visto che gli istroromeni studiano l’ortografia croata, nella quale alcuni segni grafici si leggono diversamente – e aggiungendosi, per l’espressione dei termini della vita dei nostri giorni, anche il problema dei neologismi che, non essendo presenti in istroromeno, sono stati presi dalla lingua croata, la quale ha una maniera totalmente diversa di formazione dei neologismi rispetto alle lingue latine, per nulla corrispondenti ai neologismi delle lingue romanze. Talvolta mi soffermavo ore intere su una sola parola, per riflettere, ad esempio, al caso grammaticale in cui mettere il sostantivo, oppure se bisognava scriverlo articolato o non articolato, perché non sempre corrispondente con la lingua che noi parliamo in Romania, cioè con il dialetto letterario dacoromeno.
Poiché ero io a scrivere la rivista, cominciava poi il calvario – credo di poter usare questo termine – della trascrizione al computer, perché non sapevo ancora usare questo strumento e dovevo mettermi d’accordo con la signora della tipografia «Silgraf» di Roma, Daniela D’Agostino, per le ore – le molte ore – nelle quali rimanesse a mia disposizione, dovendo io dettarle quasi lettera per lettera, e lei fare dei veri tour de force per trovare – o meglio inventare, – sulla tastiera italiana del computer i segni diacritici romeni… Per non dire poi che il mio tempo libero era estremamente ridotto, avendo un programma di lavoro molto carico per la mia professione di medico, nei policlinici sparpagliati anche fuori Roma. Alla tipografia dove stampavo le riviste istroromene si sparse la notizia che erano scritte in ucraino, per quanto cercassi di spiegare loro che era un dialetto della lingua romena, quindi neolatino. Poi dovevo spedire decine, centinaia di grandi plichi contenenti la rivista, pubblicata in condizioni grafiche particolari, senza mettere in conto le spese che ho sempre sostenuto da solo, perché non c’era nessun altro, per editare la rivista, distribuita gratuitamente. Migliaia e migliaia di euro, dati da solo con entusiasmo, come d’altronde quelli aggiunti per gli spostamenti ai congressi convocati dal Consiglio d’Europa sul tema delle lingue regionali o minoritarie, o per i viaggi a Trieste, in Istria o a Zagabria, o per i premi che ho assegnato, con i miei soldi, ad alcuni giovani istroromeni, in diverse festività, per le poesie da loro scritte. Dico queste cose perché oggi leggo con stupore, qua e la, di “entusiasti” dell’Associazione «Andrei Glavina» a Trieste, che hanno fatto uscire la rivista Scrisore catre frat rumer, e vedo citare nomi di persone che non hanno alcun legame con la rivista, anche se alcuni sono d’origine istroromena ma purtroppo non conoscono né l’istroromeno né il romeno, mentre il nome di colui che ha fondato e fatto la rivista non è nemmeno menzionato.


Che ricordi ha degli istroromeni da Lei conosciuti?

Ricordare il mio percorso di vita dedicato agli istroromeni sarebbe un’impresa troppo ampia per poterla racchiudere qui, perciò mi limiterò ad alcuni casi, ad iniziare quello del mio amico Boris Doricich lu Ovciarich, originario del villaggio istroromeno Jeian. Quest’uomo scriveva poesie e racconti nel suo dialetto natio e soffriva profondamente per la prospettiva della scomparsa del suo dialetto materno, trovandoci a riguardo entrambi, molto di più degli altri, sulla stessa lunghezza d’onda. Per suo conto, ho mandato alla rivista belga MicRomania tre racconti, Roisebarietita (Cappuccetto rosso), Jajeticiu (Pollicino) e Trei porcici (I tre porcellini), pubblicati tra il 2005 e il 2006. Nell’autunno del 2005 andai con lui per gli insediamenti istroromeni e, animati dallo stesso sentimento, distribuimmo insieme pubblicazioni in dialetto, audiocassette e cd con canti istroromeni, registrati proprio da Boris Doricich, il quale era anche suonatore, suonava il contrabbasso ed era animatore del gruppo folcloristico di Jeian. Nella primavera del 2006, incontrai questo uomo meraviglioso per l’ultima volta su un letto di ospedale a Fiume, appena operato di tumore, senza pensare che da lì a due giorni si sarebbe spento. Porterò sempre nel mio cuore il suo ricordo.
C’è poi Iosip Stroligo, di Susnievita, il quale parlava perfettamente la lingua romena letteraria – l’unico istroromeno che ho incontrato a parlare la nostra lingua letteraria, dacoromena – poiché fu marinaio e arrivò anche in Romania, dove non volevano credere che non era romeno della Romania. Una persona molto intelligente e di grande prestanza che, se avesse seguito altre strade nella vita, sarebbe potuto ben diventare un docente universitario. Così ricordo anche Emilio Pezzulich, di Berdo, molto intelligente anche lui, il quale riuscì – benché avesse visto per la prima volta la nostra lingua letteraria – a comprendere e a tradurre da una rivista romena. Era un uomo pieno di prestanza, visse molti anni negli Stati Uniti, in Svizzera. Insieme a sua sorella Iolanda, erano gli ultimi abitanti di Berdo, villaggio che prima della guerra ebbe alcune centinaia di abitanti. Adesso è rimasta là solo sua sorella.
Tra gli italiani, devo nominare l’entusiasta sostenitrice della nostra causa, la Professoressa Nerina Feresini, istriana di Pisino, stabilitasi dopo la guerra a Trieste. Essa era una memoria vivente dell’ex comune di Valdarsa (Susnievita), possedendo, oltre ai suoi ricordi personali, molto materiale d’archivio pubblicato nel corso degli anni nelle riviste di Istria e specialmente nel pregevole volume Il comune istroromeno di Valdarsa, uscito a Trieste nel 1996; venne anche a Roma per presentare questo libro eccezionale all’Accademia di Romania, però la presentazione avvenne sfortunatamente in sua assenza, poiché scivolò sulla scalinata dell’Accademia e, trasportata d’urgenza in ospedale, ci esortò tuttavia a non interrompere la serata e presentare in libro in sua assenza. Quella sera le costò la frattura del femore all’età di 84 anni, da cui si è ripresa solo parzialmente. Un carattere eroico: le dobbiamo molta riconoscenza. Ci ha lasciati all’età di 96 anni, nell’inverno del 2008.
Non posso non ricordare infine un altro straordinario triestino di adozione, istriano della località di Momiano che portava nel sangue e nell’anima, l’insegnante e storico Enea Martin, il quale ci è stato così vicino, scomparso anche lui.


Quali sono le personalità istroromene più importanti e che legami ebbero con la cultura romena?

Il più vicino alla cultura romena fu Andrei Glavina (1881-1925), a ragione considerato l’apostolo degli istroromeni, il quale studiò nelle scuole della Romania, dove fu portato nell’ultimo decennio del XIX secolo dal grande patriota, il Professor Theodor Burada, dell’Università di Iasi. Andrei Glavina aprì nel 1922 la prima scuola di insegnamento in lingua romena e italiana a Valdarsa (Susnievita), denominata simbolicamente «Imperatore Traiano» («Imparatul Traian»), che però, a motivo della morte prematura di Glavina, nel febbraio 1925, cessò di funzionare. Lo stato romeno non si preoccupò affatto di questa scuola e della sua continuità, cosa che invece fece il prefetto d’Istria dell’epoca, Ubaldo Scampicchio. Il comune bilingue di Valdarsa (Susnievita), il cui primo sindaco fu sempre Andrei Glavina, continuò comunque a esistere fino al 1943, quando entrarono in Istria gli eserciti di Tito, che lo soppressero.
Seguì, dopo la seconda guerra mondiale, l’esodo interno degli istroromeni verso le città istriane e la migrazione esterna, per la maggior parte verso l’America e l’Italia, migrazione che dette il colpo più pesante alla comunità istroromena, sparpagliandola nel mondo e riducendone molto il numero. Questo esodo verso altri Paesi è descritto in maniera magistrale, con penna di grande romanziere, da Ezio Mestrovich (1941-2003) nel romanzo A Fiume un’estate, nonché in certi racconti di Ezio Bortul. Sono contento che la TV romena, sede di Timişoara, venne nel 2003 in Istria su mio invito, e riuscì a intervistare Ezio Mestrovich, il quale di lì a poco si spense.
Un’altra personalità istroromena è il vescovo Severino Dianich, originario di Valdarsa (Susnievita), già presidente dell’Associazione Teologica Italiana nel periodo 1989-1995. Ricorderei inoltre il tenore Giorgio Surian, apprezzato sul palcoscenico della Scala di Milano, originario anche lui di Valdarsa (Susnievita).
Ci sarebbe tuttavia un’altra grande personalità, probabilmente di origine istroromena, che visse molto prima di Andrei Glavina. Si tratta del grande teologo protestante Mattia Francovich Flacius (1520-1575), amico di Martin Lutero e di Melantone, autore protestante di numerose opere teologiche. Flacius-Vlacich, come lo chiamavano i croati (Flacius è una forma latinizzata dell’etnonimo «Vlah»), nacque in Istria, a Ladin (Albona), località nella quale oggi gli istroromeni non esistono più (vivono a 18 km da Labin, a Susnievita) benché la toponomastica mostri numerose località dai nomi romeni nell’immediata vicinanza di Labin, mentre nel XIX secolo esistevano istroromeni, dai quali si recò Ioan Maiorescu nel 1857, a Schitazza, a circa 10 km da Albona (Labin). La famiglia di Flacius, dalla parte paterna, proveniva da una località del territorio agricolo di Albona, chiamata Campia Valahului (Flacciera Gniva), proprietà della famiglia di Flacius, dove egli nacque. Compì gli studi nella città natale, dopodiché partì per Venezia, dove superiore dell’Ordine dei francescani era suo zio materno, Baldo Lupetina, che si convertì poi al protestantesimo e guidò verso la nuova fede anche il giovane Mattia Flacius, esortandolo ad andare alle fonti della nuova religione, in Germania. Così, dopo essere stato un anno a Basilea, in Svizzera, per ultimare gli studi, Flacius giunse a Wittenberg, alla fine del 1541, dove nel 1543 divenne professore della nuova cattedra di lingua ebraica, essendo, ancora molto giovane, uno dei più grandi conoscitori a livello europeo della lingua ebraica, mentre nel 1544 si convertì ufficialmente al protestantesimo. «Nostris notisimus homo et magnae fidei», lo chiamava Lutero, dichiarando che, dopo la sua morte, tutta la sua speranza era riposta in Flacius. Infatti, Flacius dedicò la sua vita alla fortificazione e alla diffusione della nuova religione ed ebbe a questo scopo contatti epistolari, nel 1550, anche con il governatore del comitato di Timişoara, Petru Petrovici – Petro Petrowijth – al quale spedì da Magdeburg un libro con dedica autografa. Flacius pubblicò oltre un centinaio di opere teologiche e morì a Francoforte sul Meno, nel 1575. Nella sua autobiografia, Apologia Matthiae Flacii Illyrici ad scholam Vitebergensem in Adiaphororum causa, pubblicata nel 1549 in lingua latina e comprendente vere e proprie pagine letterarie che lo avvicinano molto alla nostra sensibilità moderna, Flacius non spende neanche una parola sulla sua nazionalità – probabilmente nemmeno ne esisteva la consapevolezza in quell’epoca – e dichiara solo il luogo di nascita, il nome dei genitori e l’itinerario frammentato della sua vita. La sua origine «valaha», quindi romena, fu messa in evidenza nel XIX-XX secolo da più eruditi italiani e stranieri, ma, da quello che ho constatato, nessuno storico o scienziato romeno ha scritto finora su Flacius, che non è menzionato nemmeno nelle enciclopedie romene. Per molti anni ho raccolto notizie su di lui da più fonti, alcune vicine alla sua epoca o addirittura a lui contemporanee, in latino e tedesco, che ho trovato soprattutto nella Biblioteca Vaticana e nella Biblioteca civica A. Hortis di Trieste, e non solo là. Ho scritto uno studio, di cui ho pubblicato solo una piccola parte nel supplemento culturale di un quotidiano nazionale, nel 2004. Dall’analisi del testamento di una sua sorella, ho constatato che nella famiglia di Flacius esistevano anche persone con cognomi romeni.


Nel 2000 si tenne all’Università di Pola un importante congresso internazionale organizzato con il sostegno e contributo dell’Associazione «Andrei Glavina» e dedicato agli istroromeni: Istroromeno ieri, oggi e domani. Quale eco ed effetto conseguì per la promozione della causa istroromena?

A questo congresso presero parte un segretario di stato del Dipartimento per le Relazioni con i Romeni d’Oltreconfine, professori universitari della Romania, dell’Italia e della Repubblica Moldova, un deputato e un senatore della Romania, alti funzionari del Ministero degli Affari Esteri, osservatori per i problemi delle minoranze in Italia e in Belgio, il direttore della Radio diffusione romena, l’ambasciatore in Croazia, C. Ghirda, una delegazione di Arad, la TV locale della città di Pola ecc.. Fu letto un messaggio indirizzato al Congresso da parte del Presidente della Romania di allora, Emil Costantinescu, e io tenni il discorso inaugurale in istroromeno nell’aula della Facoltà di Pola, avendo la soddisfazione del compimento di un atto di giustizia per queste persone e la loro lingua, per troppo tempo oppressi. Si fecero bei discorsi, vennero fatte promesse... Ma il congresso non ebbe assolutamente alcun seguito concreto. Venne firmato un accordo di collaborazione tra lo Stato romeno, rappresentato dal segretario di stato del Dipartimento per le Relazioni con i Romeni d’Oltreconfine, e l’Associazione «Andrei Glavina» da me rappresentata, mediante il quale si stabiliva una collaborazione nel cui ambito chiesi, come primo passo, di tenere nell’estate di quell’anno, come volontario da parte mia, alcuni corsi di lingua e civiltà romena nelle due principali località istroromene. Una volta tornata a casa la delegazione, non ricevetti più alcuna risposta alle mie ripetute richieste indirizzate a Bucarest, al Dipartimento per le Relazioni con i Romeni d’Oltreconfine, per l’adempimento delle formalità ufficiali necessarie per poter tenere quei corsi in Croazia. Così che, praticamente, rimase un accordo di collaborazione a vuoto, non rispettato dalle autorità che dovevano sostenere gli istroromeni.
L’unico aiuto, decisivo, che ebbi per il congresso venne dal Preside della Facoltà di Pola, Goran Filipi, e dal direttore culturale della regione Istria, Professor Mladen Dusman, che finanziarono generosamente l’azione e mi furono sempre vicini. Oltre a costoro, sentì così vicina spiritualmente l’entusiasta Professoressa di lingua romena dell’Università di Udine, Teresa Ferro, troppo prematuramente scomparsa: venne al congresso e mi sostenne, come d’altronde tante altre volte in altri ambiti dove ci incontrammo. Ne porterò vivo il ricordo. Un’altra personalità presente al congresso, che mi pace ricordare, è la Professoressa di lingua francese dell’Università di Cosenza, grande ammiratrice della letteratura romena, la belga Gisèle Vanhese, che pubblicò in lingua francese uno studio riguardante la prima traduzione di una poesia di Eminescu in istroromeno, fatta dal sottoscritto – La Steaua (Fino alla stella), che lessi nel 1999 anche presso la filiale di Arad dell’Unione degli scrittori, in occasione dei  festeggiamenti per gli 80 anni dell’incorporazione di Arad nella Romania.
Come frutto del congresso istroromeno, a Susnievita, rimase solo il libro di Rosa del Conte, con le poesie di Eminescu tradotte in italiano e con il testo in romeno, libro che donai a Frane Belulovich, ex capitano nell’esercito jugoslavo, stato festeggiato al Congresso per il suo attaccamento alla lingua degli antenati.


Guardando in prospettiva, come si presenta oggi la situazione degli istroromeni e come se ne può portare avanti la causa e la lingua, per salvarle dalla scomparsa?

La situazione appare tragica, perché i bambini e i giovani quasi non parlano più la lingua, mentre circa la metà di quanti la parlavano 15 anni fa sono scomparsi. La strada da seguire – che da 15 anni sostengo e invoco – è che lo Stato romeno chieda alla Croazia la messa in pratica del trattato romeno-croato del 1994 anche per i romeni dell’Istria, così come è applicato per i croati Carosoveni che vivono in Romania, permettendo a quei pochi bambini istroromeni rimasti di beneficiare di corsi, sia pur facoltativi, di dialetto e lingua romena, e predisponendo la fondazione di un centro culturale a Susnievita e a Jeian. Cose estremamente semplici per le persone che ragionano in maniera normale, ma i nostri responsabili governativi hanno un modo completamente diverso di affrontare i problemi delle minoranze romene, con la stessa ideologia dell’ex regime comunista verso le nostre minoranze, oggi mascherata in un linguaggio demagogico che si vuole “democratico”, mentre il nucleo, la sostanza, è rimasta invariata. Risultato ben visibile di tutto ciò è il dramma delle minoranze romene, lasciate scomparire senza alcun rimorso, sebbene oggi esistano tante possibilità di intervenire, sul piano legale. Ricordo soltanto il Trattato di base romeno-croato, art. 18, sancito molto tempo fa sia a Bucarest che a Zagabria, «Agreement on cooperation in the fields of education, culture and science between the Government of Romania and the Government of the Republic of Croatia» – art. 2d, art. 4 e art. 5 – come anche, non certo da ultimo, la «Carta europea delle lingue regionali o minoritarie», firmata a Strasburgo il 5 novembre 1992 e da molto tempo sancita anche da Croazia e Romania, nonché la «Convenzione-quadro per la protezione delle minoranze nazionali» del 1995, ecc. I documenti normativi non mancano, manca invece la volontà politica. Soltanto noi, l’Associazione «Andrei Glavina», tramite il sottoscritto, presentammo un progetto di risoluzione invocando questi documenti normativi a favore degli istroromeni, al Congresso dell’Unione Federalista delle Comunità Etniche Europee (UFCEE) di Portschach am Worthersee, in Austria – risoluzione approvata da quel congresso nel 1997 –, quindi continuammo le discussioni con i rappresentanti ufficiali della Croazia al Congresso della stessa UFCEE nel 1998, a Praga, andammo poi al Consiglio d’Europa, mi recai quindi personalmente all’Ufficio per le minoranze della Repubblica Croata, a Zagabria, unico ad aver partecipato a tutti questi congressi per gli istroromeni, e feci le stesse richieste anche a Pola, al Congresso istroromeno del 2000.
Il 17 aprile 2008, all’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa fu presentato un progetto di risoluzione a sostegno degli istroromeni da parte di un deputato della Repubblica Moldova, Sig. Vlad Cubreacov. Questo dimostra che nulla si perde nella vita, nulla è inutile, e i semi che per primi, dopo la seconda guerra mondiale, abbiamo gettato a Trieste, creando l’Associazione che porta il nome del grande patriota Andrei Glavina, potranno generare frutti che tutti aspettiamo, anche nella ventiquattresima ora. Finché c’è vita c’è speranza!






Intervista realizzata e tradotta dal romeno
da Afrodita Carmen Cionchin

(n. 2, febbraio 2012, anno II)