Monaca e poetessa: i versi di Xenia Iordachi Hagiu. Intervista alla curatrice Eugenia Dima

La recente pubblicazione dei versi d’ispirazione religiosa composti nel monastero moldavo di Agapia dalla monaca, o più precisamente dalla «schimonahie» Xenia Iordachi Hagiu, raccolti nel manoscritto autografo datato 30 luglio 1826 e conservato nella Biblioteca dell’Accademia Romena di Bucarest, porta a conoscenza degli specialisti e del pubblico l’opera finora inedita di una voce femminile che coniuga fede e poesia. Lo fa tramite un linguaggio lirico che sorprende per la sua schietta semplicità un po’ naif (spiccatissima si rivela la patina linguistica moldava che la monaca Xenia ha dispiegato sulle sue «stihuri»), linguaggio che, pur tra incertezze e dislivelli sintattico-stilistici, desta interesse e meraviglia se si considera che la monaca Xenia rappresenta un’assoluta novità. Infatti dal 1600, ossia dall’epoca dei primi versificatori in ambito religioso, Varlaam e Dosoftei, fino al 1800, secolo in cui è vissuta la monaca poetessa, non ci sono pervenuti altri nomi di autrici che si siano prodigate nella poesia religiosa. In tal senso si può affermare che la monaca Xenia, giustamente definita nella copertina del volume come «La prima poetessa nella storia della letteratura romena», da ora può trovare a buon diritto una sua collocazione nell’ambito della storia letteraria romena e affiancarsi così ad altre grandi figure femminili del cristianesimo europeo affidatesi all’ispirazione divina per dare compiutezza alla loro arte poetica.
Il volume Shimonahia Xenia Iordachi Hagiu Stihuri («Versi», edizione a cura di Eugenia Dima, studio introduttivo di N.A. Ursu, disegni di Teodor Buzu, Edizioni Gunivas, 2012 Chișinău, Repubblica Moldova) ha ricevuto il Premio «Rivelazione dell’anno» al Salone Internazionale del Libro, XXI edizione, organizzato dalla Biblioteca Nazionale della Repubblica Moldova. In questa intervista, Eugenia Dima, lessicologa, ricercatrice e filologa all’Istituto di Filologia Romena «A. Philippide» e ora attiva presso l’Universita «Alexandru Ioan Cuza» di Iași, ci parla della sua attività e dell’edizione da lei curata del manoscritto di Xenia.



La pubblicazione dei versi di Xenia Iordachi Hagiu rappresenta una scoperta di grandissimo valore per la storia letteraria romena. Quali circostanze l'hanno spinta a curare l’edizione del manoscritto di questa monaca finora sconosciuta, «Prima poetessa nella storia della letteratura romena», come si legge sulla copertina del libro?

Neculai Alexandru Ursu, eminente linguista, filologo e storico letterario, ha rivolto i suoi interessi anche all’attività di alcuni chierici letterati vissuti fra il XVII e il XIX secolo (Dosoftei, Daniil Panoneanul, Nicolae Spătarul Milescu, Vartolomei Mazereanu, Gherasim Putneanul ecc.) e alle scuole di traduttori sorte presso alcuni monasteri. È stato in questo modo che egli è venuto a conoscenza dei versi di Xenia del Monastero di Agapia, che ha apprezzato e della quale ha cercato ulteriori informazioni. Alla veneranda età di 86 anni, il professor Ursu ha ancora sulla sua scrivania altri lavori importanti che attendono di essere portati a termine e per tale motivo, desideroso di vedere pubblicati l’opera di questa poetessa, mi ha pregato di approntarne l’edizione filologica. Mi sono attivata e sono stata lietamente colpita dalla disponibilità delle Edizioni Gunivas. All’edizione ho aggiunto lo Studio introduttivo di N.A. Ursu, che contiene una presentazione della vita e dell’attività di Xenia, così come risulta dai pochi dati esistenti sul suo conto. Aver precisato da parte nostra che si tratta della prima poetessa della storia della letteratura romena è stato doveroso, poiché riteniamo che ci saranno stati anche altri tentativi in ambito poetico, di cui noi però non siamo ancora giunti a conoscenza.
       

Lei è nota e apprezzata per la sua attività di ricercatrice in ambito filologico relativamente alla cultura letteraria romena del XVIII secolo. Come ha affrontato l’edizione di un manoscritto come questo, del XIX secolo? Quali differenze o particolarità ha riscontrato lavorando su questo manoscritto?

Rispetto ad altre lingue, il romeno conosce una grande omogeneità; le differenze dialettali non costituiscono un impedimento alla mutua comprensione fra le diverse parlate, e la sua costante evoluzione, lungo un processo ininterrotto, è stata condizionata da diverse culture a seconda degli orientamenti di ciascuna epoca. In effetti, io mi sono occupata soprattutto di testi del XVIII secolo, ma ho spinto le mie ricerche anche a molti manoscritti del XVII secolo e credo che lo studio di un testo, specie se risalente al periodo della lingua letteraria antica, si possa affrontare solo sulla base di una solida conoscenza dell’intera evoluzione della lingua romena. Il testo di Xenia, redatto nella fase transitoria di rinnovamento della lingua romena, contiene elementi lessicali specifici della lingua antica o della lingua ecclesiastica (cercare, grăire, pre, năzui, pruncsmeri, vecinic) o prestiti dal neogreco che sono andati perduti nella lingua letteraria moderna o che sono stati adattati alle norme della lingua antica (afierosi «conservare», heretisire «felicitazione», iglengisi «divertirsi»; garofă, poiticeşti, ritoricească), ma anche neologismi latino-romanzi (diamant, patrii, politică, politicos, ponturi). Innovazioni che fecero la loro comparsa già dal XVII secolo e che dal XVIII secolo tendevano a estendersi alla fonetica (adică, căci, cuprinzi, dregător, drept, folos, norod, poftă, răutate) e alla morfologia (il gen.-dat. femm. firii, lenevirii, vieţii, pl. greşeli, il futuro perifrastico voi răbda, la forma depalatalizzata di (mă) ascund), nel corso del XIX secolo si sono andate generalizzando, fissandosi nella lingua letteraria moderna.

Allargando l’orizzonte, conosce produzioni poetiche – edite o inedite – letterariamente rilevanti nate nei monasteri ortodossi romeni?

I primi versi della letteratura romena sono di carattere religioso e li troviamo in Varlaam, nei salteri calvino-romeni. Psaltirea în versuri [Il salterio in versi] di Dosoftei è rimasto un monumento e un modello in quanto a qualità artistica. Sono stati scritti altri salteri romeni in versi, come per esempio quello di Teodor Corbea all’inizio del XVII secolo o quello di Nicolae Liciu del 1846, di cui appronteremo l’edizione. Sono noti i versi creati da personalità di ambiente ecclesiastico, ispirati a temi religiosi, specie nel XX secolo, delle quali ricorderemo, tanto per rimanere in tema con l’argomento da cui è partita la nostra conversazione, Madre Teodosia (1917-1990).

Come si declina a suo parere il binomio poesia-spiritualità?

Il popolo romeno, in gran parte di fede ortodossa, è profondamente religioso. Cosicché a partire dai versi composti da Eminescu, da Goga, da Blaga fino a quelli di Ioan Alexandru e di Valeriu Anania si ritrova la luce della fede in Dio. La fede inoltre ha sorretto nei momenti più difficili coloro che, pur innocenti, venivano torturati in carcere ed è questo lo stimolo che ha dato corpo a versi di profonda spiritualità nell’universo dei gulag comunisti.

Lei lavora da parecchi anni come filologa. Come è nata questa sua passione per la filologia e cosa l’ha spinta a dedicarsi al vastissimo studio della produzione manoscritta romena del XVIII secolo?

Per più di quarant’anni, presso il Dipartimento di lessicografia [dell’Istituto Phillipide di Iași, ndt], ho lavorato alla redazione del Dizionario della lingua romena dell’Accademia Romena, e in seguito, al di fuori dei miei obblighi di lavoro, al Dizionario enciclopedico illustrato (Cartier, 1999) e al Dizionario esplicativo della lingua romena («DEXI»,Edizioni Gunivas-Arc 2007). La presenza nello stesso Istituto di N.A. Ursu, le sue ricerche, gli scambi di vedute che abbiamo avuto hanno destato in me un interesse per il campo della filologia. Ho compreso che il XVIII secolo costituiva una fonte inesauribile di ricerche inedite e di scoperte poiché, nel momento in cui si è sviluppato un orientamento ideologico verso l’illuminismo, è cresciuto il numero di laici che si sono profusi a tradurre dalla cultura occidentale, all’inizio con la mediazione di traduzioni greche, e in seguito direttamente da lingue come il francese, l’italiano, il tedesco. Sono penetrati così numerosi elementi linguistici popolari, ma anche neologismi latino-romanzi. Gran parte delle traduzioni è rimasta manoscritta e da qui sorgono le difficoltà per il loro studio, poiché spesso mancano informazioni sul traduttore, sulla datazione, sull’originale tradotto o sulla lingua-fonte dalla quale si è fatta la traduzione, per cui il compito del ricercatore è quello di scoprire tutti queste informazioni, che si conseguono dopo un’estenuante attività da ʻdetectiveʼ linguistico. Facendo lo spoglio di un gran numero di traduzioni, ho avuto la soddisfazione di stabilire la paternità di otto testi, di individuare l’originale utilizzato o la lingua dalla quale si è fatta la traduzione, di fissare le date approssimative di alcuni testi di varia provenienza. Faccio rilevare che nella cultura romena del XVIII secolo la produzione letteraria originale era in quantità ridotta, mentre quella delle traduzioni aveva un peso schiacciante, il che ha fatto sì che la cultura romena si avvicinasse alle culture occidentali moderne. È stata un’epoca di stratificazioni ideologiche e artistiche che hanno favorito e preparato la genesi della grande letteratura della seconda metà del XIX sec.              

L’edizione delle «stihuri» di Xenia è l’ultima sua fatica. Ci sono altri manoscritti di cui ha in precedenza curato l’edizione? E quali progetti ha in serbo?

Mi sono dedicata all’edizione di molteplici testi religiosi, come quelli, per esempio, nell’ambito del progetto internazionale Monumenta linguae Dacoromanorum. La Bibbia del 1688: ho trascritto frammenti dal manoscritto 45 conservato a Cluj e dal manoscritto 4388 conservato alla BAR [Biblioteca dell’Accademia Romena], le due fonti per l’edizione del 1688, confluiti poi in vari volumi pubblicati dalle Edizioni dell’Università «Alexandu Ioan Cuza» di Iași: Pars V, Deuteronomium 1997; Pars XI, Liber Psalmorum, 2003; Pars VI, Iosue, Iudicum, Ruth, 2004. Ho pubblicato inoltre l’edizione critica del testo di Ioan Cantacuzino, Patru apologii pentru religia creştină şi Patru oraţii. Traducere în limba română la mijlocul secolului al XVII-lea de Nicolae Spătarul (Milescu) [Quattro apologie in favore della religione cristiana e Quattro orazioni. Traduzione romena della metà del XVII sec. a opera di Nicolae Spătarul (Milescu)], corredata da uno studio introduttivo, da una nota sull’edizione, da note e commenti e da un glossario, Edizioni dell’Università «Alexandru Ioan Cuza», Iaşi, 2010.
Quanto al XVIII secolo, per il 2013 sto approntando un volume che conterrà lo studio e l’edizione di una traduzione, redatta in Valacchia, da noi attribuita ad Alecu Văcărescu. Si tratta dell’Erotocrito di Vincenzo Cornaro che ebbe due traduzioni nella cultura romena, una in Valacchia e l’altra in Moldavia. La versione valacca, in prosa, conservata nel manoscritto 1319 della BAR, contiene oltre 1500 versi, e questo dato è assai importante poiché di Alecu Văcărescu si sono conservate solo alcune poesie, poche se si considera il fatto che egli godeva della fama fra i suoi contemporanei di essere un poeta di talento. La pubblicazione di questi versi allargherà perciò il panorama di conoscenze legate all’opera di Alecu Văcărescu e contribuirà a risolvere anche altre questioni attinenti alla filologia romena, alla storia della lingua letteraria del XVIII secolo e anche alle influenze poetiche occidentali sulla nostra lirica ai suoi esordi. Al contempo sto studiando anche le traduzioni in romeno dell’opera di Antonio Catiforo, Vita di Pietro, che mi hanno dato enormi soddisfazioni filologiche.
Il fatto di lavorare ora all’Università «Alexandru Ioan Cuza» di Iași grazie a due progetti di ricerca finanziati dal CNCS [Consiglio Nazionale della Ricerca Scientifica] è una preziosa opportunità per continuare le mie ricerche e per pubblicare i risultati dei miei studi di filologia, di storia letteraria e di storia della lingua romena, aiutandomi così a superare più agevolmente le difficoltà per procurarmi i testi o per farne lo spoglio.  


Per la nascita di Cristo

1. Oggi Cristo è nato                           
In una grotta in terra,
E la Vergine lo posa nella greppia
Perché umil adorato sia.
O, magnifica visione
O, rabbrividente turbamento!
La grotta di Betlemme
Fu culla di Emanuele
Colui che i profeti avevano annunciato,
Ecco, il Fanciullo è giunto,
E i Magi da oriente
Annunciati dall’astro
Da due anni palesatosi,
Distrutti gli idoli
Presso la fonte seduti si son.
E la fonte raffigura
La Vergine mentre Lo nutre.
Giunti quindi i Magi son
Adoranti e offrendo doni
Oro, incenso e mirra,
Perché in eterno rimarrà.

2. I re Magi sono tre
Ed eccelsi i loro doni.
Preso in braccio il Fanciullo
Lo baciano con tenerezza,
Egli mostra di sé
Che è la Trinità glorificata,
Poiché a ognuno che Lo stringe
Mostra un volto diverso.
E baciato il Re
Per un’altra via tornati se ne son,
Giacché il crudele Erode
Turbato ha il popolo,
Decimando fanciulli in gran numero,
Per via della sua cattiveria.
Poiché stavasi avverando
Quanto era stato annunciato:
Ecco a Rama levarsi gran lamenti
Le madri piangono,
Rachele si dispera
E consolazione non trova.
I fanciulli son quindi incoronati
E nel sangue battezzati
Esercito del Cristo Agnello
Deh, vana non è stata la lor morte.

3. I pastori colà presenti
Hanno visto il celeste esercito
Quando nella grotta osanna intonavano
E il Signore lodavano,
Annunciandone la clemenza
Ché la salvezza han trovato.
Ma il Fanciullo senza peccato
Guardate come dalla morte fugge
Giammai si dica
Che mera fola è stata
Ma per nascondersi fugge
Altrove in Egitto
Finché Erode la morte colse
E la pace fra la gente tornò.
Poi in quel di Nazaret giunge
Che bambino era ancor.
La madre Sua a istruirsi lo mandò,
Ma Lui dice di saper tutto,
E perora con ardor:
Non invano se ne fa vanto:
Io sono l’alfa e l’omega,
Chi intende intenda,
Io dal ciel disceso son,
Come presto vedrete.
Che dal principio alla fine
Io ho creato tutto.
Io una seconda volta verrò,
A giudicare la creazione tutta.

4. Io dal cielo disceso e
Da una vergine concepito son,
E porterò la redenzion
A coloro che in Me credon.
Io però v’insegno ancor
Di seguire il comandamento Mio:
Amatevi gli uni gli altri
Come il Padre ama Me.
E siate come i fanciulli
Santi e senza macchia.
Ché colui  che di superbia si mostra
Nel regno dei cieli non l’accolgo,
E colui che nella carne pecca
Non vedrà il volto Mio,
Ché santo e puro son,
Per darvi il buon esempio.
E per i vostri peccati
La morte affronterò.

5. Nella grotta di Betlemme
Accorrete gente a vedere!
Ecco Giuseppe che un bambinello
adagiato nella greppia accude.
Colui senza Principio
Una vergine ha concepito
Si china, l’ammira,
E nelle fasce L’avvolge.
Quindi i pastori estasiati
Gli zufolano dolce un canto,
Mentre l’esercito celeste
Intona un osanna per la Sua
Santa apparizion:
“Osanna nell’alto dei cieli
Trinità nell’Unità,
E sulla terra agli uomini
Pace e letizia dona,
Ché eterno e senza peccato
È nato l’Imperator.”

6. Confidar un segreto voglio
A coloro che giusti considero
Ché santo è l’Imperator,
E il Suo esercito seguir si dee.
Orsù, colui che Lo vuol celebrar
Si purifichi
Dalla superbia, dalla perfidia
Dalla lussuria, dalla cupidigia,
Ché il celestial esercito s’appressa
A difesa del Suo cuor,
Poi lo schiude e vi penetra
L’investito del regno dei ciel.

7. Ferina è la grotta
Gli è un cuor umano  
Indi redenta s’è fatta
Per azion della Sua mano.
Eccolo adagiato nella greppia,
Gli spiriti purifica
Un nuovo comandamento dà,
Siano condotti fuori gli animali,
Acqua si spruzzi e pulizia si faccia,
Siano accese candele
Ché ecco giunge ed entra
Colui che del divin Impero dispone.

8. La grotta in terra
Non più è sicura.
Ecco quindi che parte, va,
In Egitto fugge,
Per nascondersi da Erode,
Presso un popolo pagano.
Indi con l’aiuto di Dio
Dal Regno li scaccia.
A Nazaret si va a involar
Il divin bambino,
Perché cresca forte,
Per poi crocefisso spirar.

9. Nazaret è diventata santa
Con la venuta del Santo.
Fallo crescere, il giovinetto,
Finché giungerà il suo tempo.
Non ci fu attesa,
Dopo il battesimo, venne la crocifissione.
Ché il miracolo era evidente
A coloro che puri dentro son.
Nell’ora della crocifissione
Del dubbio preda caduti non son.


Intervista e traduzione a cura di Mauro Barindi
(n. 12, dicembre 2012, anno II)