Fabio Francione su Pasolini e il linguaggio del corpo, a cinquant’anni dalla morte

Il 2 novembre ricorrono cinquant’anni dall’assassinio di Pier Paolo Pasolini, ucciso nel 1975 all'idroscalo di Ostia. Mezzo secolo senza uno degli intellettuali più importanti del Novecento, sulla cui morte – avvenuta a 53 anni – sono ancora tanti gli elementi di mistero. Numerose le iniziative commemorative in tutta Italia, dalla stessa Ostia a Casarsa della Delizia, in provincia di Pordenone, dove Pasolini riposa.
Per la rubrica «Incontri critici» abbiamo intervistato Fabio Francione, curatore del volume Pier Paolo Pasolini sconosciuto. Interviste, scritti, testimonianze (Edizioni Falsopiano, 2010, 234 pagine), che ci offre un’occasione unica per affrontare il cinema, il teatro, la poesia, la musica e altri aspetti ritenuti erroneamente secondari e ispirati alla varietà linguistica ed espressiva del poeta-regista nei suoi anni più creativi. Nel libro compaiono scritti e interventi di importanti esponenti della cultura, tra cui ricordiamo Gideon Bachman, Bernardo Bertolucci, Federico Fellini, Goffredo Fofi, Vittorio Gassman, Marco Tullio Giordana, Francesco Leonetti, Carlo Lizzani, Jonas Mekas, Cesare Musatti, Pier Paolo Pasolini, Roberto Perpignani, Enzo Siciliano, Piero Spila, Antonello Trombadori e molti altri. La nostra intervista volge attorno al tema del linguaggio del corpo.


Pasolini e l’erotismo, il sesso, il corpo. Reputa che si tratti di temi narrativi oppure che debbano intendersi come chiavi di lettura interpretativa del suo immaginario nonché della sua maniera di guardare al mondo?

A 50 anni dal tragico e barbaro assassinio, di cui allo stesso tempo si sa molto, per come è avvenuto, e poco, per chi sono i veri mandanti e non il «ragazzo di vita» Pino «la rana» Pelosi, e a soli tre anni dalle celebrazioni del centenario della nascita, per tacere delle altre ricorrenze, i 20, i 30, i 40 anni sempre della morte, Pasolini a mio avviso non resta più «sconosciuto», per cui pensavo già una ventina d’anni fa che sarebbe stato meglio fermarsi una stazione prima, all’altezza, che so, di Volgar’eloquio, di quel fatidico 2 novembre che avrebbe risucchiato tutto. Com’è stato, inevitabilmente. Ma, come intendevo dire in una più ampia ricognizione, abbandonata nemmeno sul più bello, è ormai «riconosciuto»: in ogni singolo aspetto, volitivo fin quanto si vuole, e vorrei vedere in ipotetiche classifiche quale posizione nel ‘900 occuperebbe come poeta, romanziere, regista, giornalista polemista e quant’altro. E più di tutto, per l’appunto, «riconosciuto» soprattutto nella sua totalità di intellettuale pienamente compreso nei piani alti della società italiana del tempo. Dunque, come egli stesso la chiamava «disperata vitalità».  Sulla ricezione internazionale del suo pensiero i discorsi sono altri e più di studi, saggi e traduzione, mi pare azzeccata la rilettura poetica che ne fa una rockstar come Patti Smith. Non sto eludendo la domanda. Anche mi accorgo che la risposta sembra svicolarne il principale interrogativo. Infatti, non si può negare che gli accadimenti che l’hanno portato alla morte siano dovuti anche a quel vitalismo bulimico – sessuale che ne contraddistingueva la parte notturna della sua esistenza. Anche se in fin dei conti non credo che oggi, con un’intensificazione massiva del sesso come mai avvenuto prima, Pasolini vivo, il che anagraficamente è impossibile, avrebbe più spazio di un qualsiasi altro intellettuale e scrittore italiano.    


Pasolini fa del corpo un luogo di autenticità e di scandalo. Questa dimensione «sacra» del corpo può combinarsi con l’animalità della raffigurazione erotica nei suoi film, in particolare?


Se pensiamo al corpo vissuto dello stesso poeta trasferito per interposta persona sullo schermo cinematografico vi è qualcosa di indicibilmente sacro e persino sacrificale se si vuole. La summa di tutto ciò mi pare intravederla sia nella fine di Accattone sia nel Vangelo secondo Matteo. Nondimeno, in piena mutazione antropologica, da Teorema in poi. Qui però centra anche il fallimento del suo teatro. E i discorsi si farebbero molto complessi.


La sessualità, raccontata esplicitamente, potrebbe considerarsi linguaggio schiettamente politico?


Tutto in Pasolini diventa politico, anche l’omosessualità che egli racconta senza filtri alcuni, non appena prende parola o meglio scrive. Quindi anche la sessualità tout court si fa politica. D’altronde le sue posizioni à rebours riguardo i movimenti protestatari degli anni settanta sono ampiamente conosciute. Tanto da essere tacciato di antimodernità. Non capendo che era la sua originale cifra retorica a compiere un balzo in avanti rispetto al tempo in cui viveva. La chiamerei dunque inattualità, pur insufflata di ideologia e passione.


L’opera di Pasolini è stata accompagnata da un costante atteggiamento censorio? Pensa si trattasse di una forma di scudo morale o una maniera di neutralizzare una voce reputata scomoda?


La bibliografia sui processi e le censure subiti da Pasolini è sterminata tanto quanto i libri sulla sua opera. Ma, anche quest’aspetto fa tutt’uno con il personaggio e non con la persona Pasolini.


Riguardando alcuni film: l’erotismo pare mutarsi da vigoria popolare a violenza e degradazione. È così?


Ciò mi pare avvenga soprattutto nell’ultimo tempo del cinema di Pasolini trovando l’acme in Salò, film disturbante fin quanto si vuole e ci vorrebbero accanto le descrizioni e le testimonianze di gente vicino a lui per capire cosa passasse per la testa del poeta e regista che sembra perdere del tutto quel mondo fortemente idealizzato che aveva letterariamente e letteralmente inventato e fatto suo. Non va dimenticato che il film che segna l’abiura alla trilogia della vita va di pari passo con la stesura di Petrolio e di altri progetti come la riscrittura della Commedia dantesca, il film su San Paolo per citare i più noti. E l’attività corsivista al Corriere della Sera.


Il sesso, leggendo Pasolini, sembra costituire una forma di conoscenza. In che senso il desiderio può, per Pasolini, rappresentare un modo per accostarsi all’altro?


Posso rispondere ripetendo quello detto poc’anzi, aveva inventato un mondo, che era quello delle borgate romane, per poi passare quando si era accorto che le persone che lui amava erano cambiate, oserei dire cresciute nei desideri e aspirazioni di pari passi con l’evoluzione e il progresso della società italiana, era passato all’esplorazione dell’Africa, dell’India, con i viaggi e i film per ritrovare quel mondo primitivo perduto.


Che legame, esplicito o velato, ravvede tra l’erotismo dei «ragazzi di vita» e la nostalgia pasoliniana per un mondo pre-borghese, ancora non contagiato dal consumo di merci e dall’omologazione?


L’erotismo dei ragazzi di vita ovviamente è parte dell’invenzione letteraria del poeta. Anche se si sa che il Grand Tour dei signori e nobili dal ‘700 in poi, press’a poco fino agli anni 50 e 60, in particolar nel Meridione, diveniva anche stanziale anche nella ricerca di un sesso occasionale e omosessuale. Rileggerlo così mi sembra avere ancor un senso, ovviamente retrospettivo e storico di costume.


Cinquant’anni dalla morte: quale lascito?


Tre anni fa pensavo che Pasolini avesse ancora da dirci molto leggendo e mettendo in scena il suo teatro, le sue tragedie, ma anche le prime prove drammaturgiche. Cosa peraltro avvenuta con l’intera messa in scena delle tragedie a Bologna, in un progetto ideato da Giovanni Agosti. Oggi, invece, penso che la postumità di Petrolio e Salò e la morte ci sia una luce data da Volgar’eloquio e dal trattatello pedagogico Gennariello.


A cura di Afrodita Cionchin e Giusy Capone
(n. 11, novembre 2025, anno XV)