«Antidoto a un mondo in deriva. Sette poeti italiani novecenteschi». Dialogo con George Popescu

Segnaliamo la recente uscita del volume Antidoto a un mondo in deriva. Sette poeti italiani novecenteschi (Fermenti Editore, Roma, 2021, in collaborazione con la Fondazione Marino Piazzolla), con testo a fronte, in lingua romena, traduzione a cura dell’italianista e poeta George Popescu, nota introduttiva di Marcello Carlino.
Interessato anche alla letteratura romena, Fermenti Editore ha finora pubblicato in italiano i poeti romeni Mihai Eminescu e George Bacovia, nella traduzione dell’italianista e poeta romeno Geo Vasile.
I sette poeti italiani novecenteschi presenti nel volume bilingue Antidoto a un mondo in deriva sono Dario Bellezza, Mario Lunetta, Francesco Muzzioli, Marino Piazzola, Antonia Pozzi, Vittorio Sereni e Andrea Zanzotto. Il dialogo tra Velio Carratoni, direttore editoriale di Fermenti, e il curatore George Popescu, ci introduce al libro.


In questo volume con testo a fronte, in lingua romena, dici di aver compiuto le scelte orientandoti da italianista su autori che dessero testimonianza di un fascio di tendenze rinvenibili nel secolo recentemente trascorso. In che senso?


Sì, caro amico, è vero e devo aggiungere che quasi tutti (Antonia Pozzi, Vittorio Sereni, Andrea Zanzotto, Dario Bellezza innanzitutto) li avevo prospettati da anni, in attesa di un editore del mio paese, certo, ma senza un sostegno materiale da parte di qualche istituto, fondazione, sponsor ecc. italiani non sarebbe possibile nell’attuale contesto di crisi, culturale e non solo; voglio dire preparati in forme di ricchissime edizioni, sempre bilingui, con apparati critici completi. Così ho proceduto di solito con le mie traduzioni di poesia italiana, per le riviste letterarie romene, per qualche progetto editoriale, di tipo antologico. Senza contare i miei seminari di letteratura italiana moderna, che nel mio decennale lavoro come docente all’Università della mia città, Craiova, nel sud della Romania, non lontano dal Danubio, ho tenuto con i miei studenti su testi di Pascoli, D’Annunzio, Ungaretti, Montale, Saba, Quasimodo, il mio interesse per i grandi post-montaliani era già da tempo attivato. E anche ho scritto e pubblicato molti saggi (alcuni già finiti in libri: una monografia su Mario Luzi, un’altra su Pasolini, anche per la sua poetica e la sua poesia), sicché l’antologia da te proposta e curata, e a te va la mia più profonda gratitudine e, spero, anche dei lettori italiani e romeni, si è costituita come una scelta proprio per sfidare il difficile clima della cultura in questo tempo pandemico.

La dissimilitudine tra gli autori da te ricordati, mette in risalto la gran varietà di intenti nella ricerca poetica del secolo trascorso. Ricco di aspetti, secondo te, conclusi o da recepire?

Nonostante le prime e possibili impressioni e, diciamo, anche (pre)giudizi, tutti e sette i poeti da me scelti definiscono un percorso, un itinerario, un quadro con valenze sintetiche e, direi, anche simbiotiche per il destino non solo della poesia italiana, ma oserei dire, anche di quella internazionale degli ultimi sei-sette decenni. Le vicinanze, le comuni scelte del loro fare poetico, non possono che consistere nello sforzo, mai semplice, di un distacco dalla tradizione (ermetica, neorealistica, novissima e via discorrendo), ma anche, allo stesso tempo, nella ricerca di quei nuovi mezzi per segnare e compiere un salto in avanti, verso nuovi gusti degli amanti della poesia. Pozzi, ad esempio, con la sua singolarità che possiamo (personalmente così l’ho scoperta per la prima volta) raffigurare come una specie di Orfeo, ovvero Euridice in veste di Orfeo-poeta, mi sembra più attuale di molte poetesse così dette e autodefinite… post-moderne; c’è altro da dire a proposito di Sereni, questo, per me, non lontano da un René Char italiano, o di Zanzotto, che avevo tradotto e pubblicato negli anni Ottanta sulla rivista «Ramuri» di Craiova, dove facevo il redattore. Con i testi di Zanzotto ho condotto una lunga e ‘durissima’ battaglia linguistico-poetica per motivi che si conoscono e con avanzi, ritorni, ricerche non facili da accostare, però il neo-latino, per così dire, delle nostre lingue può arrivare a qualcosa che non tradisce il significato, quest’ultimo essenziale, secondo la profonda esegesi di Stefano Agosti, su tracce lacaniane. Piazzolla, anche lui con la sua singolarità (affascinante il recente spettacolo video nella visione delle Lettere della sposa demente – su youtube e sul sito della Fondazione Piazzolla: www.fondazionemarinopiazzolla.it – nell’interpretazione di Marco Palladini, di cui avevo tradotto alcune liriche su riviste romene), Bellezza, con il suo spirito in rivolta col mondo, Lunetta e Muzzioli, inseriti da me, in quel movimento che ho coniato col termine di catapoeies, cioè quelle forme che fanno scendere il linguaggio a un livello di inter-scambio con il reale quotidiano, ma innalzato poeticamente a percezioni un po’ surreali.

Parli di autori che non hanno avuto ancora una vetrina in Romania. Chi in particolare?

Sfortunatamente, quasi tutti, compresi Sereni o Zanzotto, per non parlare di Piazzolla, di Bellezza o di Lunetta, anche se i primi si trovano in alcune antologie; di Antonia Pozzi ho sentito, ma non conosco il libro, che sarebbe uscita di recente un’antologia di sue liriche. Ma è pur vero che, nel settore degli italianisti, che sono molti e bravi, si trovano saggi, presentazioni, citazioni, riferimenti, valutazione, però non puntualizzati nella poetica che rappresenta il loro particolare contributo allo svolgimento della poesia italiana novecentesca.

Ci siamo conosciuti agli inizi del Duemila al Premio Internazionale Penne-Mosca, io in giuria, in rappresentanza della Fondazione Piazzolla, e tu, come esperto promotore di Convegni e altro. Che ricordi di quel periodo?

A Penne, piccola e mirabile località abruzzese di cui mi sono innamorato, sono stato alcune, per me molte e importanti volte, in occasione, come dici, del Premio Internazionale Penne-Mosca; ai convegni su Günther Grass, Vincenzo Consolo, Claudio Magris e altro, dove c’era un’atmosfera culturale e anche creativa di grande rilievo; ricordo Igino Creati, Marcotullio, lo sponsor, le iniziative della Fondazione Piazzolla, che tuttora presiedi. Sono tempi da rimpiangere. Igino Creati è venuto da me, a Craiova, per promuovere l’allargamento del Premio ad alcune città e altri paesi (Vienna, Atene, Parigi, etc.) e abbiamo fatto firmare alle autorità di Craiova il documento di adesione. Ma è rimasto un sogno, uno di quelli che più ci manca oggi in questi tempi di crisi culturale e non solo. Difficile dimenticare i prolungati incontri e dibattiti proficui. Il titolo dell'antologia fermentiana in questione, da me curata, già anticipava i segnali di un mondo alla deriva che già allora palesava.










A cura di Velio Carratoni
(n. 6, giugno 2021, anno XI)



Intervista pubblicata su www.literary.it