In Italia con Italo Calvino. Intervista doppia ad Alessandro Gianetti e Marino Magliani

Nel nostro Spazio Cavino pubblichiamo un’intervista doppia con Alessandro Gianetti e Marino Magliani, autori di In Italia con Italo Calvino (Giulio Perrone Editore, 2025). Il protagonista di questo libro è Ramón, un vagabondo che si ritrova a leggere, un giorno di settembre del 1986, un articolo su Italo Calvino. Lo scrittore era morto l’anno prima e lui non l’aveva saputo. Aveva conosciuto Calvino da bambino e i suoi libri erano divenuti un’ossessione. Il vagabondo allora pensò di prendere un treno per raggiungere il camposanto vicino a Castiglione della Pescaia, per salutare lo scrittore e parlargli da lontano. Immaginò l’incontro e i luoghi toscani dove Calvino scrisse Palomar, la Pineta di Roccamare, l’ospedale di Siena dove fu ricoverato. In questo viaggio tra i luoghi di Calvino, il vagabondo conosce le pensioni torinesi dove lo scrittore imparò i mestieri di Cesare Pavese e le sedi dell’Einaudi dove parlava con Natalia Ginzburg fino ad arrivare a Roma, nell’attico di piazza Campo Marzio, dove lo scrittore visse gli ultimi anni di vita.
Alessandro Gianetti è uno scrittore e traduttore che vive tra l’Italia e la Spagna. Ha pubblicato i romanzi La ragazza andalusa e L'imbattibile lentezza delle tartarughe, entrambi con Arkadia Editore. Tra le opere tradotte figurano testi di Ricardo Piglia, Pablo d’Ors, Julio Manuel de la Rosa, Txani Rodríguez e Montserrat Roig.       
Marino Magliani è nato nel Ponente ligure, vive in Olanda, scrive e traduce, ogni tanto torna nella sua vallata. I suoi romanzi sono tradotti in alcune lingue e quello al quale è più legato è Prima che te lo dicano altri (Chiarelettere). 


La struttura del vostro libro sembra oscillare tra due poli: da un lato il diario intimo, intriso di emozioni e risonanze personali; dall’altro un lavoro quasi cartografico, che cerca di fissare i luoghi attraversati da Calvino come punti di una mappa culturale. Tra «atlante sentimentale» dell’Italia e una «geografia della memoria», in quale delle due direzioni vi riconoscete di più?

Gianetti: Sono due definizioni suggestive e assai impegnative. Se è un atlante sentimentale è ben circoscritto, per niente esaustivo; se invece è una geografia della memoria, tale memoria appartiene a un personaggio che vive tra la realtà e la finzione. Abbiamo prestato il nostro sguardo a Ramón, che ricorda, legge i paesaggi con la mente intrisa della scrittura di Calvino.

Magliani: Forse, per quanto mi riguarda, è solo il viaggio di Ramón, un uomo che era stanco, fin da ragazzo, di spaccarsi la schiena nelle fasce davanti al mare, con un destino così diverso da quello del ragazzo Calvino, figlio del botanico e proprietario della terra di san Giovanni. Un giorno Ramón scopre quanto Italo Calvino, suo coetaneo, sia diventato famoso e si decide a ripercorrerne le piste della vita.


Ramón, la figura del ragazzo marginale, che diventa alter ego e controcanto di Calvino, porta con sé un’ambiguità feconda: un artificio narrativo, ma anche un risarcimento morale verso chi non ha avuto voce. Voi lo sentite di più come invenzione letteraria o necessità etica?

Gianetti: È un’invenzione letteraria con un proprio stile; e lo stile, diceva Calvino, è senso e morale.

Magliani: Ramón è una «necessaria invenzione letteraria». Calvino da ragazzino aveva un progetto letterario: far viaggiare un bambino lungo i binari per cercare la fine degli stessi. Ramón diserta la ferrovia ma un po', crede lui, si sente anch'egli inventato da Calvino. Certamente, come nota lei, Ramón è un perdedor per dirla nella lingua di suo padre, che era un anarchico spagnolo, e io, ma forse anche Alessandro, amiamo tradurre la letteratura dei perdedores ispanoamericani, e quindi, in quel senso, di inventarne anche di nostra.


La Liguria è spesso rappresentata in letteratura e nell’immaginario collettivo come luogo pittoresco o mitico. Nel vostro lavoro, invece, emerge una terra dura, concreta, fatta di fasce, cave, orti. Quali scelte avete adottato per evitare l’estetizzazione e restituirne la verità contraddittoria?

Gianetti: Quando si scrive della Liguria, della Toscana e più in generale dell’Italia si deve fare attenzione a non cadere in simili tentazioni. Il rimedio può essere la materia; nel nostro caso le fasce, le cave di ardesia, la pineta e i tetti di Roma, le isole. L’allegoria nasce da lì, come ci insegna Cosimo Piovasco di Rondò, che fece della sua vita sugli alberi una metafora.

Magliani: Ci siamo rifatti, tra l'altro, alle pagine di Calvino, soprattutto a La strada di San Giovanni, in cui lautore descrive la sofferenza, la fatica e la severità di una terra interna situata davanti al mare ma lontana dalla sua mondanità. 


Scrivere insieme significa far convivere sensibilità diverse, talvolta anche opposte. Quali aspetti del libro hanno richiesto la maggiore mediazione tra i vostri due stili e le vostre due visioni?

Gianetti: Io e Marino siamo anche noi due vagabondi, come Ramón. Facciamo la spola tra l’Italia e l’estero, scriviamo e traduciamo libri, abbiamo molti punti in comune. E tuttavia è stata una sorpresa accorgermi che il suo sguardo e il mio confluivano da soli nella scrittura di questo libro. Forse entrambi desideravamo scriverlo da tempo.

Magliani: Abbiamo parlato molto, anche durante la stesura, se ben ricordo. Io vivo in Olanda e lui a Siviglia, io ho qualcosa da dire sulla Liguria estrema in cui Calvino è cresciuto, lui sulla Toscana, la Toscana delle pinete dove Calvino ha trovato la morte.


Il vostro libro non ignora la figura di Pavese, maestro e interlocutore di Calvino, ma anche presenza ingombrante. Vi è parso un riferimento indispensabile per comprendere lo scrittore ligure o un prisma rischioso che poteva alterarne il profilo autentico?

Gianetti: Senza Pavese non si capisce Calvino, e questo vale per sia l’amicizia che li legò, sia per l’insegnamento che Pavese rappresentò per il giovane Calvino, ma anche per la differenza di sguardo sulla vita e sulla scrittura.

Magliani: Credo che Pavese sia parso un riferimento indispensabile a Ramón, più che agli autori, è lui, Ramón (chissà se Gianetti sarà d'accordo, magari ci troviamo distante su questo punto o su altri, ma è giusto che ognuno fornisca le sue risposte autonomamente, a costo di ripeterci) che indaga il carattere di Calvino e si stupisce nello scoprire che sì, Pavese è stato un maestro per Calvino, ma con quelle riserve che le stesse parole di uno e dell'altro, pubbliche e private, sotto forma di lettere, fanno emergere.


Nei vostri capitoli tornano continuamente mani callose, polmoni affaticati, corpi piegati dalla fatica. Quando questa fisicità si misura con la scrittura rarefatta e ariosa di Calvino, si genera un contrasto insanabile o piuttosto un’inedita armonia?

Gianetti: Il nostro personaggio è un faticante privo d’istruzione, che usa i libri di Calvino per interpretare il mondo. Non si deve però confondere la leggerezza di Calvino con un distacco – che non l’ha quasi mai colpito – tra la concretezza e la fiaba. La sua straordinaria popolarità credo risieda appunto in questo, nell’aver concepito volatili allegorie senza dimenticare le piante, le terre, la storia della sua gente.

Magliani: È la fatica di Ramón, è quel suo essere dolorante e sofferente, bracciante, operaio, la sua fatica stessa va pari passo con la sua scarsa cultura, con la difficoltà nel leggere certe opere di Calvino, nel sentirle estranee, una condizione ideale, in qualche modo, che gli rende Calvino irraggiungibile.


La struttura del libro attraversa i confini dei generi, proprio come accade spesso in Calvino. Quanto questa ibridazione è stata una decisione consapevole e quanto, invece, una sorta di «contagio» inevitabile nel momento stesso in cui ci si accosta a lui?

Gianetti: La biografia e il saggio, benché narrativo, erano per così dire iscritti nel libro che eravamo chiamati a scrivere. Il nostro contributo risiede nella storia di fondo. Non era scontato che questi luoghi fossero raccontati attraverso gli occhi di uno come Ramón.

Magliani: Sapevo molto bene, e ce lo siamo detti, che sarebbe stato difficile scrivere un altro saggio su Calvino come ne sono stati scritti in passato e ultimamente. Uno perché, parlo per me, non sarei stato in grado di reggere la qualità di certi libri, due perché – e ancora una volta parlo per me – avevo qualcosa da dire come figlio di un contadino che imparato una lezione senza metterla in pratica, che forse altri non avevano. Riuscivo a ragionare insomma come era capitato a lui di ragionare e di raccontarsela?


Calvino è scrittore europeo, cittadino del mondo, eppure la sua Liguria sembra riaffiorare costantemente, come sostrato profondo. Pensate che per leggere davvero i suoi testi «internazionali» sia ancora necessario tenere presente quella matrice originaria?

Gianetti: «Sono tanto nato a Sanremo che sono nato in America», disse Calvino in un’intervista. Nel posto dove si nasce si torna sempre, fa parte del caso. L’importante è il viaggio che si compie.

Magliani: Secondo mente si gioca tutta lì la sua forza, da lì parte, dalla visione del mondo in discesa.


Ogni lavoro critico è anche un confronto personale. Quale cambiamento intimo o quale nuova consapevolezza avete maturato, come narratori e come uomini, al termine di questo percorso con Calvino?

Gianetti: Forse la domanda più importante. Confrontarsi con Calvino è guardare da vicino uno scrittore che sapeva pensare come romanziere, saggista e critico della propria epoca; un autore immerso in una realtà che leggeva e al contempo cercava di trasformare. Dà l’impressione di aver vissuto almeno due volte; la prima nel mondo di tutti, la seconda in un universo tutto suo. Si impara o si cerca di imparare, leggendolo, a guardare: la cosa più difficile.

Magliani: Per scrivere questo libro ho viaggiato molto attraverso quello che mi piace chiamare il marsupio, l'entroterra frequentato da Calvino da bambino, ragazzo, e partigiano, ora scoprendolo, ora ritrovandolo, dopo tanti anni e libri.


Se aveste la possibilità di incontrarlo per un’unica domanda, scegliereste di interrogarlo come scrittori, svelare i segreti del suo laboratorio narrativo, oppure come uomini, in cerca di una bussola etica ed esistenziale?

Gianetti: Vorrei tanto chiedergli come sta.

Magliani: Io, che sento il senso di colpa di non aver seguito nei pomeriggi pieni di brusii di insetti, mio padre negli orti e sotto gli ulivi, così come è capitato a lui quasi quarant'anni prima, chiederei a Calvino di starcene un po’ in silenzio all’ombra di un fico e ogni tanto alzarci e faticare a schiena bassa nei solchi di pomodori e fagiolini. Per ultimo raccogliere un po' di pomodori, tagliarli, usare olio buono, del nostro, due foglie di basilico, cipolla e aglio se era nel suo gusto, aceto, ma siccome è davvero una questione di gusti, condirli ognuno per conto nostro, e mangiarli sotto il fico, in silenzio, anche senza guardare il mare.


A cura di Afrodita Cionchin e Giusy Capone
(n. 10, ottobre 2025, anno XV)