Premio letterario-giornalistico «Nadia Toffa» 2022. In dialogo con Giorgia Bruni

La notte dell’addio (Nulla Die, 2022) è il primo romanzo di Giorgia Bruni, saggista e studiosa di Pier Paolo Pasolini. Laureata nel 2015 in lettere moderne alla Sapienza con una tesi sulla Trilogia della Vita di Pier Paolo Pasolini, nel 2019 diviene Dottore di ricerca in Spettacolo con un progetto su Pasolini e la censura cinematografica. Collabora con le riviste «Studi Pasoliniani» e «Diari di Cineclub». È autrice del saggio La dimensione autobiografica in Atti impuri, Amado mio e Romàns di Pier Paolo Pasolini, pubblicato nel volume Io lotto contro tutti a cura di Maura Locantore (2022). 
La notte dell’addio è stato finalista del Premio letterario-giornalistico «Nadia Toffa» 2022 e ha ricevuto la targa ex aequo per il secondo classificato. La nostra intervista prende spunto dal libro e si apre ad altri temi di interesse, tra cui la letteratura esperìta da donne, il fil rouge che annoda le plurime e molteplici anime della letteratura declinata al femminile e il ruolo e la funzione della scrittura nel frangente storico che stiamo vivendo.



Recentemente è stata finalista del Premio letterario-giornalistico «Nadia Toffa», il cui motto era «Non fate i bravi». La chiave per affrontare la vita è non gettare la spugna?

Credo che la chiave per affrontare la vita purtroppo non si riduca a un unicum, un pezzo assoluto, una sorta di pietra filosofale ma probabilmente – ammesso esista un vademecum, questo si configuri più come un insieme di chiavi da costruire e scoprire nello stesso tempo, con molto sacrificio, molto impegno e soprattutto con la consapevolezza di volerlo fare. «Non fate i bravi» per me è d’altro canto una delle chiavi, volendo soffermarci su questa metafora, ma lo è nel senso specifico in cui Nadia Toffa lo affermava. «Non fate i bravi» vuol dire non credere ciecamente a una verità che ci viene imposta senza farci domande, senza cercare le fondamenta di quella verità e al contempo significa anche «non accontentarti di coltivare il tuo orto, coltiva l’universo», quindi preoccupati degli altri, abbi cura di chi puoi aiutare. Quando penso a una società migliore penso proprio a questo: milioni di singoli esseri umani che mantengono la loro sacra individualità nella collettività mossi da un istinto filantropico e con una sete di ricerca per ciò che non è visibile, ciò che si nasconde ai nostri sensi fisici.


La notte dell’addio (Nulla Die, 2022) è il suo primo romanzo. Quali sono gli ingredienti caratteristici del suo linguaggio, del suo codice comunicativo?

Amo la narrazione ellittica e ho provato a sperimentarla nel mio romanzo: la mia protagonista, Maria, una donna adulta di mezza età, segue il filo della sua memoria in una continua diacronia funzionale a raccontare al lettore – viaggiando appunto nel suo passato – gli episodi più significativi della propria vita. Quelli, ossia, che l’hanno condotta proprio in quel luogo, proprio in quell’esatto momento della sua esistenza. Mi affascina molto il meccanismo – oscuro, razionale e irrazionale allo stesso tempo, quindi emozionale, della nostra memoria. Noi non siamo in grado di ricordare tutti i giorni, le ore, gli attimi che abbiamo vissuto. Ne ricordiamo solamente alcuni e, forse suona banale e abusato come concetto, ma è proprio vero che alcuni singoli avvenimenti – che dipendano o meno dalla nostra volontà – così come alcune singole scelte hanno il potere di determinare il corso del nostro futuro.
Quella di Maria è una storia individuale ma di respiro universale. È la storia di Maria ma mi piace pensare sia la storia di tutte le donne che lottano per rivendicare la propria identità contro la pesante eredità di una società patriarcale.


«Si sentì di nuovo intrisa di sudore nel grembiule bianco, obbligatorio per le ‘femminucce’ mentre quello dei ‘maschietti’ trovava dignità in un blu deciso e scuro».Le radici del maschilismo si annidano in luoghi dati per certi e inconfutabili?

Sì, molto spesso sono proprio quelli comuni i luoghi dove è più difficile sradicarlo proprio perché è necessaria una messa a fuoco da una distanza mentale per riconoscere il maschilismo soggiacente gesti, pratiche, simboli, frasi stesse di uso comune e che diamo per scontate. Le faccio un esempio molto concreto e non nuovo: condannare le bambine al colore rosa o al bianco o insegnare loro il ‘gioco’ ‘mamma e figlio’ con tanto di bambolotto e passeggino è un errore grossolano che ancora commettono in molti. O ancora la mini tavola da stiro con il ferro giocattolo per stirare le camicie del marito o del padre, quale scopo pedagogico potrà mai avere se non istillare in queste giovani menti i ‘compiti’ da focolare domestico che – qualsiasi siano le aspirazioni personali – dovrà assolvere? Tutti i bambini dovrebbero avere le stesse opportunità di gioco, conoscenza e ampliamento delle proprie capacità intellettive, ma sopratutto ogni bambino e ogni bambina dovrebbe avere la possibilità di manifestare i suoi desideri e le proprie aspirazioni al di là del genere di appartenenza.


L’aspetto, l’adeguazione necessaria alla sopravvivenza conforme del genere di appartenenza. In La notte dell’addio lei penetra in chiave narrativa in temi di stringente attualità certamente tangenti anche i diritti civili. Quali compiti ritiene che debba affrontare il movimento LGBTQA+?

Credo che il compito più arduo che la comunità LGBTQA+ debba affrontare sia proprio quello di mantenersi in vita, dunque in lotta contro l’oscurantismo di chi non li accoglie e non riconosce i loro diritti. Gridare sempre ‘Noi esistiamo e resistiamo’.


La scrittura contemporanea può annoverare letterate illuminate, vere pioniere quanto a innovazione e rispetto della tradizione. Qual è l’attuale status della letteratura esperìta da donne?

Fortunatamente in grande crescita e fermento. Per troppi anni la voce di scrittrici, artiste, registe è stata messa a tacere. Oggi abbiamo più che mai voglia di riprenderci tutto ciò che ci è stato negato in passato. Mi viene in mente una recente lettura: Avni Doshi, scrittrice e giornalista indiana nel suo primo romanzo, Zucchero Bruciato, condensa in uno stile affilato e pungente un universo di temi di cui è difficilissimo parlare perché sono ardui anche da ammettere: i pensieri negativi, il conflitto con le proprie madri, il rifiuto iniziale dei propri figli. La mobilitazione è su scala mondiale e occorre sentirsi tutte unite e sorelle affinché nessuna voce sia più perduta. I social – su questo piano – rappresentano un valido supporto. Possiamo creare una rete solidale dove la solidarietà consiste nel supporto alla condivisione.


Le scrittrici sono e sono state sensibili a diverse ideologie, visioni del mondo, sensibilità politiche e filosofiche; personalità diverse tra loro e spesso assolutamente inconciliabili. Riesce a scorgere un fil rouge che annoda le plurime e molteplici anime della letteratura declinata al femminile?

Il fil rouge che in qualche modo lega tutte le scrittrici donne che si sono occupate della condizione femminile – nonostante le correnti, le polemiche, le differenze e le posizioni anche contrastanti – non può che coincidere con la meta comune e la medesima spinta interiore ossia dare spazio alle donne, difendere la loro individualità, infondere loro il coraggio necessario per affermare sé stesse e compiersi nella libertà che ogni essere umano deve avere.


Dagli anni ’60 del Novecento il corpo delle donne diviene l’interprete della discussione politica, il movimento femminista esplora i paradigmi e i ruoli stereotipati delle donne, mentre l’azione dei collettivi arricchisce le meditazioni sulla differenza di genere. Quale significato assume, oggi, il termine ‘femminismo’?

Difficile dirlo con esattezza e in un orizzonte universale. Preferisco rispondere su quale significato dovrebbe avere ancora oggi e su cosa significhi per me personalmente il termine ‘femminismo’. Femminismo è la sorellanza, è la difesa dei diritti delle donne, degli ultimi, di chi è afflitto e schiacciato da preconcetti che sembrano inossidabili. Femminismo è la battaglia per la parità. Deve, dovrebbe e spero che sarà sempre un simbolo di pace ma anche di lotta. Un porto sicuro per unirci e non isolarci. Una bandiera che non segna i confini ma li abbatte e non lascia indietro nessuno.


Sul significato più profondo della scrittura e anche della lettura ci si continua a interrogare nei modi più diversi, come nella sorprendente favola della faina zoppa che impara a leggere, raccontata nel romanzo di Bernardo Zannoni, vincitore del Premio Campiello 2022. Quale potrebbe essere il ruolo e la funzione della scrittura nel frangente storico che stiamo vivendo?

Purtroppo non ho ancora letto il romanzo di Zannoni, colmerò presto questa mia lacuna. Uno dei ruoli, una delle funzioni più importanti della scrittura e dell’arte in generale oggi come ieri e, come mi auspico, sarà domani, è la denuncia. La scrittura – in ogni sua forma e in ogni sua capacità di trasfigurazione e di generi diversi oltre alla narrativa – deve avere una vocazione sociale. Deve aiutare a pensare. Denunciare, con le sue armi, le cose che non vanno bene. Le brutture, le storture, le ingiustizie che vediamo tutti i giorni. Come diceva Pier Paolo Pasolini in uno dei suoi articoli più celebri - Che cos’è questo golpe pubblicato sul Corriere della Sera nel 1974 (o Il romanzo delle stragi negli Scritti Corsari): […] uno scrittore, che cerca di seguire tutto ciò che succede, di conoscere tutto ciò che se ne scrive, di immaginare tutto ciò che non si sa o che si tace. La prima vocazione di uno scrittore e della scrittura è, per dirla in breve, la vocazione alla Verità.









A cura di Afrodita Cionchin e Giusy Capone
(n. 1, gennaio 2023, anno XIII)