Intervista all’artista flegreo Giuseppe Massa, a cura del critico d’arte Maurizio Vitiello

Giuseppe Massa nasce a Bacoli nel 1948. Architetto, docente di Discipline Pittoriche.
Le prime esperienze pittoriche sono «una lucida e appassionata rappresentazione» (Paolo Ricci) sulle trasformazioni del paesaggio.
A Napoli le prime personali, alla Galleria G2 e alla Galleria San Carlo. Nel 1975 partecipa alla X Quadriennale d’Arte. In seguito la ricerca si articola lungo un itinerario di riflessioni visive sulle vicende fisico-figurative del territorio flegreo, dove vive «quel senso struggente del paesaggio come conoscenza, storia, o come operazione poetica della memoria» (Francesco Abbate), dove «lo spazio e il tempo rimangono categorie astratte finché non divengono distanza e durata» (Federico Rossi), con «un uso sapiente e controllato di forme e oggetti eterocliti, di interventi di varia natura... dove l’universo flegreo... è particolarissimo, per molti versi metafisico e astratto, per altri versi fortemente materializzato» (Aldo Trione).
Da quest’indagine nascono «paesaggi fatali sconvolti dal segno espressionistico che superano l’enunciazione nominalistica degli elementi naturali per confondersi nella loro stessa essenza creativa e immaginaria» (Michele Buonomo), «per formare strutture cromatiche di ampio respiro lirico» (Maurizio Vitiello) che costruiscono una ricerca sistematica sugli archetipi del paesaggio, «trasformando i dati oggettivi di partenza nei segni di una suggestiva contrada dell'immaginario» (Vitaliano Corbi).
«Materiali, immagini, pitture con insinuante e allusiva presa diretta» (Arcangelo Izzo), gli interventi degli anni successivi «si concentrano sull’essenza del territorio, sul suo apparire liquido, fluido, nel suo farsi memoria e sortilegio» (Michele Sovente) e dove ogni intervento rimanda ai Campi Flegrei con «la contingenza destabilizzante che essa comunica con i suoi tremori e i suoi sprofondamenti» (Aniello Montano).
Recenti le partecipazioni a rassegne su «libri d'artista» e «mail-art» (Mediterraneus/ars liber-Museo del mare, Alicante/ Museo Dostoevsky, San Pietroburgo/ Palazzo di Valdecarzana, Avilés/ Centro di Arte Contemporanea, Viseu).
Tra le ultime mostre «Sguardi flegrei» e «Prokeitai, tracce, colori, materie» alla Casina Vanvitelliana del Fusaro a Bacoli, «Il paesaggio tra natura e artificio» al Palazzo delle Arti di Napoli.

Puoi segnalare tutto il tuo percorso di studi?

La formazione di architetto mi ha permesso di coniugare il rigore scientifico dell’analisi con la dimensione creativa del progetto.
Il successivo conseguimento del perfezionamento in «Ecologia dell’ambiente e del territorio» ha consolidato l’interesse per le componenti fisico-figurative dello spazio esterno che connotano l’ecosistema, da qui il preminente interesse verso il paesaggio.

Puoi definire e sintetizzare i desideri iniziali?

Desiderio è parola che non amo, la sua etimologia restituisce il senso di una mancanza. Potrei invece definire costante l’interesse a educare lo sguardo anche se poi in definitiva come diceva Pessoa «ciò che vediamo non è ciò che vediamo, ma ciò che siamo».

Puoi segnalare i sentieri operativi che avevi intenzione di seguire e indicare quelli, effettivamente, seguiti?

Il sentiero operativo sul quale sempre mi sono mosso (come architetto, come pittore, come docente) è stato quello di individuare le linee di una rifondazione disciplinare, in particolare della pittura che negli ultimi decenni andava sempre più perdendo la sua autonomia.

Quando c’è stato in te la voglia di «produrre arte»?

Da bambino, negli anni cinquanta, nello studio di mio padre, bravissimo pittore autodidatta, tra l'intenso odore della trementina e dei colori ad olio, cresceva la voglia di un viaggio tra superfici dipinte come un’avventura dalle tappe impreviste e inattese.

Quando è iniziata la voglia di affrontare l’ambiente artistico?

A metà degli anni sessanta, pur frequentando il liceo scientifico, per diversi motivi i rapporti si andavano consolidando con un gruppo di amici del liceo artistico. Con loro le prime mostre e le prime esperienze di lavoro collettivo.

Mi puoi indicare gli artisti bravi che hai conosciuto?

Quarant’anni nell’istruzione artistica e prima ancora mostre, incontri, partecipazioni mi hanno dato la possibilità di conoscere e frequentare artisti, in modo particolare dell’area meridionale, che ritengo significativi e che sarebbe superfluo elencare. Certamente, per me restano «bravi» quelli con i quali ho lavorato e che erano e  sono rimasti amici per una vita, e parlo di Franco Canale, Mario Tatafiore, Gianni Lizio, Guglielmo Longobardo.

Quali piste e tracce di maestri della pittura e della scultura hai seguito?

Ho «guardato» con profondo interesse i colori di Matisse, le fantasticherie di Chagall, le composizioni di Klee, le superfici di Burri.

Con chi hai operato, eventualmente, «a quattro mani»?

Negli anni settanta e ottanta con Canale, Lizio e Longobardo.  In seguito anche con Augusto mio fratello. Con mostre e interventi al Centro Arte Europa diretto da Peppe Morra, all'Arte Studio di Gaetano Ganzerli, alla Libreria Minerva, al Centro Ellisse di Salvatore Pica, all’Istituto Grenoble. E mi piace ricordare una partecipazione alla Libreria Dehoniana in una originale mostra (Napoli: stereotipo e/o realtà), curata da un giovanissimo Maurizio Vitiello.

Quali sono le tue personali da ricordare?

Per motivi sentimentali la prima nel '73 all’Arte Studio di Gaetano Ganzerli, con in catalogo le presentazioni di Francesco Abbate e Michele Sovente, da allora costantemente attenti alla mia attività.

Ora, puoi specificare, segnalare e motivare la gestazione e l’esito delle esposizioni tra collettive e rassegne importanti a cui hai partecipato?

In più di sessant’anni le mostre, le partecipazioni a rassegne, le collettive hanno avuto motivazioni, modalità organizzative, spazi espositivi diversi, ma tutte nascevano con l’intento di costruire, con successive approssimazioni, una ricognizione, un repertorio figurativo intorno agli archetipi del paesaggio.
L’esito si è manifestato positivamente nelle forme di una critica positiva che puntualmente trovava spazio nei quotidiani anche a Napoli numerosi fino alla crisi irreversibile della carta stampata.

Puoi definire i temi che hai trattato?

I temi trattati sono stati ora appunti dipinti ora frammenti di una indagine, di un racconto su di un territorio anfibio, liquido, morbido, solido e al tempo stesso fragile.
Nei Campi Flegrei la natura si manifesta ancora con forza attraverso gli elementi della materia.
L'acqua del mare disegna e colora la costa e i laghi, il fuoco e l'aria vedono il magma modellare vapori, la terra propone il bianco dell'allume, il grigio, il giallo e il verde del tufo, i rossi e i bruni della pozzolana, l'arancio dorato dello zolfo. Resta lo sfondo di un indecifrabile azzurro, lontano da un esangue oltremare Pantone e che mi piace immaginare (o sognare) tra la «la fritta di Pozzuoli» di Plinio e «il Blu egizio» di Vitruvio.

Ma dentro c’è la tua percezione del mondo, forse, ma quanto e perché?

Più che una percezione del mondo con la superficie dipinta è possibile risalire ad una «cosmogonia intuitiva» dove il paesaggio prende forma nello sguardo che percepisce antinomie sedimentate tra natura e artificio che nel processo creativo diventano aperto/chiuso, dentro/fuori, sopra/sotto. Ma il paesaggio è altrove, non basta guardare, bisogna vedere per leggere il senso profondo dello «spirito del luogo».
L'atto del dipingere diventa allora strumento per conoscere, esercizio di apprendimento, risposta visionaria alla «apparizione», incantamento e stupore. Riportando per intero le parole di Bachelard «con la gioia di un botanico, leggendo senza sosta i poeti, sto raccogliendo le immagini della materia e, malgrado le loro infinite variazioni, le loro necessarie variazioni, sto classificando agevolmente tutte queste immagini, a seconda che esse facciano rivivere gli archetipi dell’acqua, dell’aria, del fuoco o della terra».

L’Europa è sorgiva per gli artisti dei vari segmenti? Le «vetrine ombelicali» parigina, londinese e quella milanese cosa offrono adesso?

Con la Seconda guerra mondiale inizia il declino irreversibile dell'Europa, nei decenni successivi quello di tutto il mondo occidentale.
La globalizzazione certifica l'egemonia di un potere sovranazionale, oscuro, anonimo, inafferrabile che è quello finanziario.
Le «fiere dell'arte», disseminate in tutte le grandi e piccole città europee tendono a diventare mercati rionali rispetto al commercio mondiale (Hong Kong, Dubai). Le aste, nel gioco della domanda e dell'offerta, decretano il valore della merce; i musei e le istituzioni pubbliche, quasi scomparsa la figura del critico, si affidano ai curatori e storicizzano la merce prodotta dal mercato.

Pensi di avere una visibilità congrua?

Non ho nessuna visibilità.

Quanti «addetti ai lavori» ti seguono come artista?

Nessuno. Non sono un artista, mi mancano quelle caratteristiche specifiche che attualmente sono l’ambizione, il narcisismo, la dimensione esibizionistica.

Quali linee operative pensi di tracciare nell’immediato futuro nel campo della tua produzione?

Oggi a me interessa più un approfondimento sulle cose fatte che una ricerca dagli incerti sviluppi.

Pensi che sia difficile riuscire a penetrare le frontiere dell’arte? Quanti, secondo te, riescono a saper «leggere» l’arte contemporanea e a districarsi tra le «mistificazioni» e le «provocazioni»?

Il «sistema dell’arte» privilegia per sua natura mistificazioni e provocazioni.
La crisi dell’arte e la sua sparizione nel pensiero di Baudrillard e più recentemente nelle riflessioni di Trimarco segnalano come complessa sia la lettura dei fenomeni e dei simulacri che la cultura contemporanea costruisce.

I «social» t’appoggiano, ne fai uso?

Divertenti ed effimeri, li uso con gli amici.

Con chi ti farebbe piacere collaborare tra critico, artista, gallerista, art-promoter per metter su una mostra?

Rispondo con una battuta: un solido committente.

Hai mai pensato di metter su una rassegna estesa di artisti collimanti con la tua ultima produzione?

Sul piano strettamente critico, per storicizzare esperienze e tendenze, rassegne del tipo indicato sarebbero certamente interessanti ma con evidenti complessità organizzative.

Perché il pubblico dovrebbe ricordarsi dei tuoi diversi impegni?

Non credo di dover essere ricordato, di certo restano le opere come frammenti e indizi capaci di disvelare o evocare, ma niente di più.

Pensi che sia giusto avvicinare i giovani e presentare l’arte in ambito scolastico, accademico, universitario e con quali metodi educativi esemplari?

L’educazione e la disciplina allo sguardo sono fondamentali per la formazione dei giovani. Le attuali tecnologie sarebbero supporto adeguato a metodi educativi innovativi.

Prossime mosse, a Roma, Milano, Londra, Parigi, Tokyo, New York...?

Senza figure di assistenza e supporto non sono consentiti progetti. La prossima mossa è sulla superficie bianca che attende disponibile.

Che futuro prevedi nell’immediato post-Covid-19 e nei post-conflitti?

La globalizzazione, anche se in fase critica, permette al capitale finanziario di conservare il suo controllo sul «sistema dell’arte» dettando esplicitamente le regole.
Sul piano teorico resterà vivo il confronto sul destino dell’arte.



Giuseppe Massa, Paesaggio meridiano, tecnica mista su legno, cm.70x140, 2020


A cura di Maurizio Vitiello
(n. 11, novembre 2025, anno XV)