Con Lisa Ginzburg su «Cara pace»

Finalista al Premio Strega di quest’anno, Lisa Ginzburg è scrittrice, traduttrice e filosofa, figlia di Carlo Ginzburg e nipote di Natalia Levi. Ha studiato alla Normale di Pisa e si è specializzata in mistica francese del Seicento. È stata direttrice di cultura dell’Unione Latina. Tra le sue pubblicazioni: Desiderava la bufera (Feltrinelli, 2002), Colpi d’ala (Feltrinelli, 2006), Per amore (Marsilio, 2016), Buongiorno mezzanotte, torno a casa (Italosvevo Edizioni, 2018) e Pura invenzione. Dodici variazioni su Frankenstein di Mary Shelley (Marsilio, 2018).

Nel romanzo Cara pace (Ponte alle Grazie, 2020), Lisa Ginzburg restituisce l’essenza dei legami famigliari viscerali, che respingono e attraggono, uniscono e separano, distruggono e danno la vita. Maddalena, la maggiore, è timida, sobria, riservata. Nina, di poco minore, è bella e capricciosa, magnetica, difficile, prigioniera del proprio egocentrismo. Le due sorelle, legate dal filo di un'intima indistinzione, hanno costruito la loro infanzia e adolescenza intorno a un grande vuoto, un'assenza difficile da accettare. Ancora adesso, molti anni dopo, cercano di colmarla con corse, lunghe camminate, cascate di parole e messaggi Whatsapp che, da Parigi a New York, le riportano sempre a Roma, in una casa con terrazzo affacciata su Villa Pamphili, dove la loro strana vita, simbiotica e selvatica, ha preso forma. È proprio a Roma che Maddi, da sempre chiusa nel suo carapace, decide di tornare, fuggendo dai ruoli che la sorella, prima, e la famiglia poi, le hanno imposto. Finalmente sola con sé stessa e con i suoi ricordi, lascia cadere le difese e, rivivendo i luoghi del passato, inverte le parti e si apre alle sorprese che riserva la vita. Padri e madri, amicizie e passioni, alberi e fiumi fanno da cornice a una storia d'amore e di abbandono che, come ogni storia viva, offre solo domande senza risposta. E misura con il metro felice della letteratura la distanza che intercorre tra la ferita originaria e la pace sempre e solo sfiorata della maturità.

Il suo romanzo narra di due sorelle, agli antipodi tuttavia legate da un laccio sentimentale inscindibile, quello della famiglia. Perché i legami famigliari sono sempre così passionali, in grado, al contempo, di allontanare e attirare, congiungere e dividere, annientare e generare?

La famiglia è la prima scena umana in cui ci troviamo catapultati. La nostra prima interazione con gli altri: un marchio che resta impresso in noi non direi tutta la vita, non sempre, ma certo molto a lungo. E la famiglia è teatro di passioni violente, come sono quelle dell’infanzia. Amori e odi, gelosie e alleanze: tutto è moltiplicato dalla cassa di risonanza di uno sguardo ‘pulito’ come può essere quando si è piccoli. Passioni la cui eco risuona dentro, ce la si porta dietro come bagaglio nella vita adulta. Anche di lì l’intensità dei sentimenti legati alla storia famigliare, e la loro forza di influenza.

«Orfane senza esserlo» è quasi una espressione formulare, ritorna soventemente nel suo romanzo. Cos’intende esprimere rispetto, di fatto, a due genitori viventi?

Maddalena e Nina conoscono il vuoto dell’assenza delle figure di padre e madre, ma allo stesso tempo vivono nella certezza (e nella fatica) del dover intrattenere dei rapporti con loro. Sono costrette ad auto/allevarsi (con il sostegno di una ragazza alla pari che vive in casa con loro), però conoscono sin da molto presto cosa sia accettare l’assenza/presenza dei genitori. Una condizione psicologica complessa, cui ciascuna delle due sorelle reagisce a suo modo. «Orfane senza esserlo» credo possa estendersi a quanti (e non sono pochi) conoscono il destino di nascere in una famiglia ma senza essere accompagnati dalla famiglia come istituzione. Abituarsi a vivere in una continua intermittenza tra essere visti e seguiti e considerati dai genitori ma anche non esserlo affatto; dover accogliere un amore genitoriale intessuto di individualismo e attenzioni altalenanti.  Far fronte a queste contraddizioni comporta un modo di crescere diverso, che ha in sé sia la solitudine dell’essere orfani, sia lo stoicismo di chi deve cavarsela da solo perché i genitori non sono in grado e l’ingombro di dover ‘gestire’ dei genitori non maturi.

Maddi e Nina; Gloria e Seba: innumerevoli contraddizioni e un dolore indicibile. Qual è l’antidoto alla sofferenza?

Antidoto non saprei, piuttosto un’evoluzione rispetto alla storia famigliare. Prendere in mano la propria vita guardandola negli occhi il più possibile con onestà. È quello che accade a Maddalena, è quello che penso più aiuta a smarcarsi da un dolore del passato infantile. Ricostruire come sono andate le cose, posizionarsi recuperando un proprio filo personale e lasciandolo scorrere, all’indietro così da poi potere lanciarlo in avanti.

Parigi e New York: una comunicazione ininterrotta mediante Whatsapp. È possibile tessere relazioni efficaci attraverso videochiamate, messaggi e note vocali?

Sta diventando la norma, il quadro obbligato di molti nostri rapporti, personali e di lavoro. La comunicazione virtuale sempre più sembra sostituire l’energia della presenza (invece insostituibile). Nel caso di Maddi e Nina si tratta anche di altro però: una ricerca di simultaneità nella comunicazione che è frutto di un’intensa telepatia, di una simbiosi di legame che nella lontananza fisica riproduce il continuo intrecciarsi e dialogare della vita dell’una sorella con quella dell’altra.

Cara pace: il carapace è una parte dell'esoscheletro presente in alcuni animali, fra cui artropodi (come crostacei e aracnidi) e vertebrati (come le tartarughe). Ci spiega il titolo del libro?

Carapace è la scorza, guscio di una tartaruga di cui Maddalena è innamorata da bambina come già presagisse che di fare scudo si tratterà per lei, nella sua vita. Ma la stessa parola, divisa, dice un anelito alla serenità e una gratitudine verso la tranquillità, un’invocazione di una calma che rassereni il presente posizionandolo quieto tra passato e futuro. Il doppio senso semantico si è presentato nel corso della lavorazione del romanzo, così come l’idea di sceglierlo come il titolo. Un’invenzione inconscia, ma che mi ha chiarito che storia stessi cercando di raccontare. Una storia di autodifesa e di ricerca di pace, al tempo stesso. Lo stesso proteggersi vuol dire pace, e d’altra parte è a partire dalla rottura del guscio che trova senso la ricerca della verità, che è una forma di pace essa stessa.







A cura di Giusy Capone
(n. 9, settembre 2021, anno XI)