«Uno scrittore è in analisi perenne presso sé stesso». In dialogo con Luca Ricci

Dopo Gli autunnali (2018) e Gli estivi (2020), Luca Ricci ci consegna il terzo tassello della quadrilogia delle stagioni, Gli invernali (La nave di Teseo, 2021), un romanzo che, quasi per contrapporsi alla letargia invernale, ha un ritmo ancora più incalzante ed è capace d'indagare le ragioni più profonde che muovono le donne e gli uomini.
Un editore rifiuta il romanzo di uno scrittore: niente di male, se editore e scrittore non fossero anche amici per la pelle e testimoni di nozze dei rispettivi matrimoni; un esordiente viene tenuto a battesimo da un importante critico letterario: tutto bene, se l'esordiente non frequentasse l'ex moglie del critico; una scrittrice di romanzi rosa va a letto con il suo agente letterario: ammissibile, se scrittrice e agente non si incontrassero a colazione proprio con il marito di lei, un onesto lavoratore nel ramo della fibra ottica senza alcuna propensione per l'arte. E questo girotondo di personaggi che appartengono al famigerato quanto avventuroso mondo culturale non potrebbe andare in scena se non durante la «barzelletta seria» che è l'inverno romano. Un tempo li si sarebbe chiamati con ossequio «intellettuali», oggi li guardiamo con tenerezza mentre tentano di sfangarla, tra idealismo e problemi pratici, tradimenti e atti di fede, illuminazioni e ottenebramenti. In una Roma incorniciata dalle finestre dei locali e delle case dentro cui si sverna, che «se non esistesse non andrebbe inventata», si consuma un'impietosa schermaglia che riguarda le passioni, i sentimenti, gli affetti: la posta in gioco come sempre è la vita.


Personaggi in cerca di ascolto, che vanno alla deriva tra incomunicabilità e solitudine esistenziale. Quanto ha attinto dal contemporaneo urlato isolamento interiore?

Sono uno scrittore, lavoro costantemente con la mia interiorità. A volte scherzando dico che sono diventato uno scrittore perché non mi sarei potuto permettere uno psicologo. È una battuta ma rende bene l’idea, uno scrittore è in analisi perenne presso se stesso, senza un’analisi del proprio vissuto non ci sarebbe nessun libro da scrivere, se vogliamo i libri da scrivere sono conseguenze dell’analisi. Lo sforzo è far diventare la dimensione terapica della scrittura una comunicazione in cui mittente e destinatario non coincidono più. In narratologia si dice che ci vuole un «lettore ideale», che non è un vero e proprio lettore ma una funzione. Una funzione essenziale, ci ricorda che la scrittura è un atto di apertura verso gli altri, una strana forma elitaria di generosità.


Questo è un libro che gratta il fondo della sfera affettiva; vaglia meticolosamente i sentimenti, emozione, ossessione, attrazione, passione, per poi scaraventarli, di nuovo, sul fondo, senza sterili edulcorazioni. Quale idea ha voluto che emergesse dei rapporti umani?

Non ho nessuna tesi da dimostrare con i miei libri. Quando inizio a scrivere non so esattamente cosa succederà. Voglio mostrare, non dimostrare. Gli invernali è un romanzo corale, perciò ho lasciato che i personaggi facessero per conto loro, io ero lì sono per gestirli, una specie di amministratore condominiale. Si sono amati ma anche odiati, si sono promessi fedeltà ma poi si sono traditi, sono stati di volta in volta onesti e disonesti, intelligenti e coglioni, nobili e meschini. Alla fine credo ne sia venuto fuori un ritratto d’ambiente abbastanza verosimile.


I protagonisti della sua narrazione esistono in quadri della quotidianità che si scopre sotto i loro occhi mediante circostanze comuni che divengono le porte per una sensibilità, a volte, al limite della sopportazione. Perché ha deciso d’esplorare il banale, reale, vero quotidiano anziché l’esuberante straordinario?

Non c’è niente di più straordinario del quotidiano e in un certo senso questo concetto ne Gli invernali è rappresentato dal trompe-l'œil, il quadro magico di un arco con uscita in giardino che offre un’illusione di tridimensionalità anche se è soltanto un dipinto sul muro. I numeri di magia sono contemplabili in un mondo ordinario, che senso avrebbe tirare fuori un coniglio dal cilindro in un mondo in cui gli asini volano?


Le sue righe suggeriscono l’amore come un sentimento che intrappola, che non dà scampo e non prevede vie di fuga: Elena e Paride infrangono ogni regola, ogni convenzione narra Omero. Ebbene, non si sceglie d’amare né d’essere amati?

Viviamo in un’epoca che ama addomesticare le pulsioni: l’amore è inteso come un sentimento nobile che innalza le coscienze anziché corromperle. Non ne sarei così certo. La letteratura oggi più che mai deve sforzarsi di raccontare storie diverse, minoritarie, ciò che dispiace alla propria epoca. L’amore può essere un terremoto, un sentimento che destabilizza o che, come cantava Ariosto, può condurre alla pazzia.


Quanto ha desunto dallo sterminato patrimonio della commedia cinematografica in una scoppiettante contaminatio fabulae?

Mi piace tantissimo la commedia all’italiana e ne Gli invernali ci sono tantissimi riferimenti a quel tipo di cinema comico e crudele allo stesso tempo. I riferimenti più scontati sono La grande bellezza di Sorrentino per il decadentismo e La terrazza di Scola per il mondo culturale. Ma dentro c’è pure il sarcasmo di Flaiano (sceneggiatore di tante pellicole) e l’amarezza di Risi.


I protagonisti della narrazione sono intellettuali: autori, editori, critici, bookblogger. Qual è, oggidì, lo stato dell’Arte dal suo punto di vista?

Qualunque cosa è diventata una storia, ma non c’è più il senso del bello. Ci sono troppi estetisti e nessun esteta. L’arte narrativa è diventata una variazione di fatti buona per la serialità televisiva: la letteratura dovrebbe continuare a stare in profondità. Stare in profondità ma essere veloci perciò dentro al nostro tempo, questa è la vera sfida di chiunque oggi scriva sul serio.


Gli autunnali (2018), Gli estivi (2020): Gli invernali non è il sequel dei precedenti, ma quali sono i legami con i precedenti?

Quella che sto scrivendo in questi anni non è una quadrilogia seriale ma di variazione, non ricorrono gli stessi personaggi ma gli stessi macro-temi: amore, disamore, società culturale, Roma e il sentimento del tempo.


I suoi personaggi sono di certo fortemente caratterizzati; i luoghi romani riconoscibili e amabili: pensa a una trasposizione fuori dalle pagine?

Non penso mai ai miei libri come mezzi, ma sempre come fini. Il fine di un libro è essere letto, non essere trasposto. Credo ancora alla forza della letteratura come forma scritta non ancillare, senza padroni, flessibile rispetto ai discorsi polarizzati da talk (vax/novax, destra/sinistra, credenti/atei…)






A cura di Giusy Capone
(n. 12, dicembre 2021, anno XI)




Luca Ricci è nato a Pisa nel 1974 e vive a Roma. Ha scritto L’amore e altre forme d’odio (2006, Premio Chiara, nuova edizione La nave di Teseo, 2020), La persecuzione del rigorista (2008), Come scrivere un best seller in 57 giorni (2009), Mabel dice sì (2012), Fantasmi dell’aldiquà (2014), I difetti fondamentali (2017). Per La nave di Teseo ha pubblicato Gli autunnali (2018), Trascurate Milano (2018) e Gli estivi (2020). I suoi libri sono tradotti in diverse lingue straniere.