«Uomini duri. Il lato oscuro della mascolinità». In dialogo con Maria Giuseppina Pacilli

Il tema scottante del sessismo e della discriminazione di genere è spesso affrontato da un punto di vista femminile. Questa prospettiva è più che legittima, ma risulta, soprattutto oggi, parziale. Nel volume Uomini duri. Il lato oscuro della mascolinità (il Mulino, 2020) di Maria Giuseppina Pacilli ci viene dato un punto di vista originale e complementare: vivere in una società patriarcale e sessista può essere svantaggioso e dannoso anche per gli uomini, sebbene in modo diverso rispetto a quanto avviene per le donne. Essere uomini duri secondo i canoni della mascolinità tradizionale significa anche dover sostenere un'immagine e un'identità che dal punto di vista del proprio mondo affettivo, dei comportamenti di salute e dello stile di vita rischia di arrecare più danno che bene.
Maria Giuseppina Pacilli insegna Psicologia sociale presso l’Università di Perugia dove è coordinatrice del corso di laurea in Servizio sociale e Politiche e servizi sociali. È componente del comitato esecutivo della sezione di psicologia sociale dell’Associazione Italiana di Psicologia e vicepresidente del Comitato Unico di Garanzia per le pari opportunità e contro le discriminazioni dell’Università di Perugia. È co-editor in chief della rivista «In-Mind Italia» che promuove la diffusione del sapere scientifico psicologico. Fra le sue pubblicazioni, sempre per Il Mulino, Quando le persone diventano cose. Corpo e genere come uniche dimensioni di umanità.


L’argomento bruciante del sessismo e della discriminazione di genere è, soventemente, trattato da un punto di vista squisitamente muliebre. Ebbene, qual è la visione complementare, ovvero maschile del vivere in una società patriarcale e sessista?

Spesso e per ragioni più che comprensibili, vista la discriminazione secolare delle donne, tendiamo a rivolgere la nostra attenzione soprattutto alle conseguenze negative per le donne di vivere in una società patriarcale e sessista. Esiste un altro ambito a cui è importante rivolgere il nostro sguardo che non si oppone ma si integra alla discriminazione femminile ed è quello delle conseguenze negative che vivere in questo modello di società genera anche per gli uomini. È importante riflettere sul fatto che le pratiche individuali apprese dagli uomini per conservare i propri privilegi a livello sociale sono le stesse che possono danneggiarli in modo pesante quando si pensa alla loro salute fisica e psicologica.

Lei indica lo «stoicismo emotivo» quale imperativo categorico a cui gli uomini debbono necessariamente ubbidire. In quali comportamenti, concretamente riconoscibili, esso si traduce?

Sono innegabili i vantaggi in termini di acquisizione di risorse materiali e simboliche collegati all’essere considerati quella parte dell’umanità depositaria per eccellenza della forza e della razionalità. Ciò detto, lo stereotipo dell’uomo forte e razionale può essere anche molto nocivo a livello individuale perché condanna gli uomini che vi aderiscono a un’esperienza parziale del proprio mondo emotivo. L’emotività, in questa visione tradizionale, è considerata un dominio femminile quando invece è parte integrante della nostra natura umana. Una delle competenze psicologiche più importanti che siamo chiamati ad acquisire come esseri umani è proprio la capacità di riconoscere le nostre emozioni, di dare loro un nome e di entrarvi in contatto senza farci sovrastare dalle stesse. Fra le strategie che gli uomini apprendono per proteggere la propria mascolinità, troviamo invece la tendenza a sopprimere l’espressione delle proprie emozioni. Si sviluppa in questo modo una regolazione emotiva disfunzionale che può essere causa di problemi psichici e fisici, dall’aggressività all’autolesionismo fino all’abuso di sostanze.

Appartenenza politica ed espressione della mascolinità sono correlate? Penso al trumpiano Make America Great Again.

Una figura senza dubbio emblematica per descrivere la mascolinità tradizionale e autoritaria in politica è proprio quella di Donald Trump. Non a caso, l’elezione di Donald Trump è stata considerata come la tessera fondamentale, nella storia politica degli Usa, di una mascolinità bianca ed eterosessuale che si combina perfettamente con razzismo e nazionalismo. Lo slogan di riportare l’America ai fasti del passato che lei citava, Make America Great Again, celava infatti una promessa di grandezza riferita nello specifico proprio ai maschi americani tanto che potremmo tradurlo con lo slogan più specifico, Make American men great again. Trump ha disegnato in modo netto e aggressivo i contorni del suo profilo come super-maschio dominatore, sia nel rapporto con le donne (avversarie politiche, giornaliste etc.) sia nel rapporto con gli altri uomini. Questo profilo politico, tutto imperniato sull’idea di uomo forte al comando, ha sedotto e affascinato in modo particolare proprio gli uomini dei ceti socioeconomici più bassi. Il nostalgico ethos ipermascolino trumpiano ha assunto infatti i caratteri di un rassicurante rifugio dove proteggersi e far fronte ai sentimenti di marginalizzazione, di povertà crescente e di insicurezza rispetto al futuro.

Quali pericoli ravvede nell’adesione a ruoli di genere rispetto alla texture di relazioni interpersonali sane?

Direi che ci sono vantaggi e svantaggi. Aderire alle norme di genere dominanti può consentire di sviluppare un’identità sociale positiva come uomo e donna ʽnormale’ e mitiga il senso di vergogna derivante dal sentirsi diverso/a dalle altre persone. Definire sé stessi/e e le altre persone secondo il percorso obbligato delle categorie di genere ci dona l’illusione che è possibile sbarazzarci del fardello di definirci in autonomia e anche che possiamo prevedere e controllare in maniera abbastanza agevole un ambiente sociale in realtà assai complesso. Gli svantaggi sono l’altra faccia della medaglia. In questo sistema culturale, operiamo una ripartizione e classificazione rigida delle caratteristiche umane: da un lato le caratteristiche tipiche delle donne e dall’altro quelle tipiche degli uomini. Questa distinzione fra le caratteristiche psicologiche associate al femminile e quelle associate al maschile è però artificiosa e non tiene conto della complessità dell’esperienza umana. Abbiamo un gran bisogno di coltivare e costruire modelli positivi e complessi di umanità oltre un binarismo di genere che ci appare naturale solo per un errore di prospettiva culturale.

Lei fa riferimento a temi quali salute e stile di vita: scardinare consuetudini errate, come evitare la prevenzione di malattie, perché si è ʽduri’ è un impegno strettamente individuale o da allargare alla società civile?

È una rivoluzione culturale da compiere su più fronti. Direi che non solo è insufficiente, ma è anche ingiusto limitarsi a chiedere a ogni singolo uomo di modificare individualmente il proprio comportamento, caricando sulle proprie spalle il peso di una trasformazione culturale imponente. Proprio per le conseguenze negative a cui vanno incontro quelli che possiamo definire i trasgressori di genere, diventa cruciale lavorare attivamente per creare un clima culturale che accolga il superamento degli standard tradizionali di genere non con la ridicolizzazione o l’ostilità ma con il favore e con l’apprezzamento.








Intervista realizzata da Giusy Capone
(n. 12, dicembre 2020, anno X)