Con Marilù Oliva, una delle 10 personalità che hanno ricevuto il Premio Le Città delle Donne 2022

Marilù Oliva è una delle 10 personalità femminili che hanno ricevuto il Premio Le Città delle Donne 2022, con la seguente motivazione: «Tra le più talentuose scrittrici italiane. La sua versatilità, che va dalla riscrittura delle figure della mitologia sino alla narrazione raffinata del romanzo e al genere noir, la rendono un esempio unico nel panorama letterario italiano».
Il suo libro più recente, L’Eneide di Didone (Solferino, 2022), prende spunto dalla celebre storia d’amore, tradimento e disperazione immortalata nell’Eneide di Virgilio, dando però voce alla protagonista, Didone stessa, donna forte e sopravvissuta a mille traversie che pure si uccise per amore. O almeno, questo è ciò che sappiamo. Ma come sono andate ‘davvero’ le cose? Arricchendone la vicenda non solo di sfumature e intuizioni, ma di avvincenti e inattese svolte narrative, Marilù Oliva dimostra ancora una volta l’inesauribile potenza del mito. E delle donne.
Di seguito, l’intervista della nostra rivista, a cura di Afrodita Cionchin e Giusy Capone.



Recentemente è stata insignita del Premio Città delle donne. La narrazione, soventemente, rende le figure muliebri strettamente funzionali al percorso umano emotivo, emozionale maschile. Lei, invece, dà voce alle donne; le rende protagoniste, mutando la prospettiva circa il genere. Perché?

Il fatto che la scrittrice e giornalista Mariagloria Fontana abbia ideato un premio dedicato alle donne – evidenziando ciò che le stesse hanno fatto per un percorso verso la parità di genere – è importante, soprattutto in un contesto come il nostro, dove a vincere premi letterari sono i maschi in maniera iperbolica, è sufficiente dare una scorsa alla lista dei vincitori dei concorsi più prestigiosi per rendersene conto. Sono quindi molto orgogliosa di averlo ricevuto assieme a personalità importanti come Dacia Maraini e Giovanna Melandri. In questo senso il mio lavoro, soprattutto in ambito mitologico, è quello di dare voce alle regine, schiave, dee, guerriere che una narrazione prevalentemente maschiocentrica ha per secoli lasciato in ombra.


In L’Eneide di Didone (Solferino, 2022) lei s’introduce nei pensieri e nei sentimenti di una delle più ardenti e disgraziate eroine della letteratura d’ogni tempo. Ravvede che esista un codice comunicativo squisitamente ‘femminile’?

Non credo che esista un codice specificatamente femminile. Esistono autori dotati di una scrittura così profonda che travalica l’essenza maschile o femminile – e cito, ad esempio, superando i confini geografici, Agota Kristof: se il lettore non conoscesse l’autrice, non sarebbe in grado di decifrare tra le pagine l’impronta di un uomo o di una donna. Poi ci sono scrittrici che in qualche modo trasudano il loro sentire femminile, e qui prendo un esempio dalla poesia. In Alda Merini vi è una cura per il dettaglio, un’inclinazione all’analisi complessa dei comportamenti, una naturalezza nell’indagine dei moti oscuri dell’animo da cui trapela una delicatezza ferma, e tipica dell’altra metà del cielo. Ma anche Michele Mari sa registrare simili perturbazioni interiori, quindi questo non significa che si debba procedere con la seguente generalizzazione: voce femminile = introspezione e sentimento, voce maschile = azione.
Per quanto riguarda Didone, l’ho messa al centro della mia Eneide per darle una seconda possibilità, molto più affine a quello che doveva essere il suo carattere. Lei era una regina giovanissima che è stata prima di tutto una ribelle, una pioniera, la guida di esuli, una viaggiatrice e una fondatrice (in un’epoca in cui erano gli uomini a fondare città e a guidare flotte). Didone non si uccise affatto perché veniva abbandonata, come Virgilio volle farci credere. Didone non conobbe mai Enea, perché lei visse nel IX secolo a.C., lui quattrocento anni prima. Al contrario, Didone si uccise per sfuggire a un matrimonio cui sarebbe stata costretta e il suo sposo getulo l’avrebbe messa in un cantuccio, zittita, annullata. Io ho eliminato il suicidio e ho seguito la struttura dell’Eneide originaria, con un piccolo dettaglio: a un certo punto lei si sostituisce a Enea e prosegue il suo viaggio, compiendo azioni che allora erano precluse a una donna, come ad esempio visitare gli Inferi.


Lei ha realizzato due antologie patrocinate da Telefono Rosa, nell’ambito del suo lavoro sulle questioni di genere. Quanto lunga è ancora la strada per raggiungere l’effettiva parità?

C’è ancora da lavorare. Troppi negazionisti, troppa ignoranza in generale e troppa superficialità. Però questo è un momento lucido per la nostra consapevolezza e sono sicura che assieme potremmo fare molti passi avanti.


Lei spazia dalla riscrittura delle più emblematiche figure della mitologia fino a thriller e romanzi a sfondo giallo e noir. Quanto crede nel sincretismo tra i generi letterari, nell’abbattimento d’ogni steccato di genere?

Credo che ognuno debba scrivere ciò che sente, in primis. Io sono appassionata di criminologia, quindi ho iniziato con i noir e i thriller. Inoltre, coltivo da anni un amore spasmodico per la mitologia greca e appena ne ho avuto la possibilità mi ci sono dedicata. Ma non è detto che mi occuperò per sempre di questo, perché sono una persona molto curiosa. Gli steccati di genere non esistono, quindi, a meno che non li innalziamo noi.


La scrittura contemporanea può annoverare letterate illuminate, vere pioniere quanto a innovazione e rispetto della tradizione. Qual è l’attuale status della letteratura esperìta da donne?

Vi è una letteratura potente scritta da donne e i nomi sono tanti: da Grazia Deledda a Maria Bellonci, da Elsa Morante a Goliarda Sapienza (per partire dal Novecento e la lista sarebbe lunga). Se parliamo dei giorni nostri, da Yasmina Raza a Annie Ernaux, da Rosella Postorino a Maria Rosa Cutrufelli, da Tiffany McDaniel a Dacia Maraini.  Lo status della letteratura è vivido e pulsante. Solo che alcuni non se ne accorgono perché abituati a ignorare le donne.


Le scrittrici sono e sono state sensibili a diverse ideologie, visioni del mondo, sensibilità politiche e filosofiche; personalità diverse tra loro e spesso assolutamente inconciliabili. Riesce a scorgere un fil rouge che annoda le plurime e molteplici anime della letteratura declinata al femminile?

Forse il fil rouge è un animo caleidoscopico che si rivela nelle varie inclinazioni, nella modalità di decodificare il mondo, negli stilemi o anche solo nella scelta dei soggetti.


Dagli anni ’60 del Novecento il corpo delle donne diviene l’interprete della discussione politica, il movimento femminista esplora i paradigmi e i ruoli stereotipati delle donne, mentre l’azione dei collettivi arricchisce le meditazioni sulla differenza di genere. Quale significato assume, oggi, il termine ‘femminismo’?

Un tempo ero sfiduciata rispetto alla valenza di questo termine, e non perché non ci credessi: piuttosto lo temevo svalutato, quasi rischiasse di allontanare le nuove generazioni, magari sedotte da una lettura che faceva della parola ‘femminismo’ qualcosa di obsoleto. Invece mi sbagliavo: credo che questa parola ora stia rilucendo con tutta la forza del suo percorso storico. Dovremmo conservarlo, omaggiarlo, tenerlo caro. Ma soprattutto farlo conoscere: se le persone capissero quanta fatica, quante battaglie, la portata del suo significato, la meta di un traguardo davvero democratico, allora saremmo tutt* femminist*.


Quale potrebbe essere il ruolo e la funzione della scrittura nel frangente storico che stiamo vivendo?

La funzione della scrittura dovrebbe essere quella di scuotere, di bruciare, di dare nuove prospettive per decriptare il mondo. Siamo in un’epoca in cui però prevale la ragion di mercato e talvolta (o spesso) ci propongono libri soporiferi, rassicuranti, distraenti. Ma se non avviene quello scuotimento di cui parlavo prima, per me la scrittura (e la lettura) non ha senso. Come scrisse Kafka, «un libro dev’essere un’ascia per il mare ghiacciato che è dentro di noi».









A cura di Afrodita Cionchin e Giusy Capone
(n. 1, gennaio 2023, anno XIII)