In dialogo con Marilù Oliva su «Biancaneve nel Novecento»

Biancaneve nel Novecento (Solferino Libri, 2021) di Mariù Oliva vince la prima edizione del «Premio Libri a 180 Gradi - Città di Sant’Elpidio a Mare», istituito nell’ambito dell’omonimo festival che si svolgerà in città dal 2 al 10 ottobre 2021. È un romanzo tagliente, penetrante, onesto. La storia di Bianca convince e coinvolge sin dalle prime pagine. Merita di provare, per credere.
Oltre a Bianca, ci sono il padre, Giovanni, e la mamma, Candi. Insieme formano una famiglia disfunzionale, come probabilmente la definirebbe la psicologia contemporanea. Negli anni in cui accade la storia, a nessuno viene in mente di affibbiare una definizione a quel nucleo. L’unica a fornire un’interpretazione, una visione, è Bianca. Ma lei è piccola, è coinvolta in prima persona ed è innamorata del padre. La madre, allora, per il gioco dei contrasti, del bianco o nero tipico dell’infanzia, sembra una strega, una matrigna. Si scivola così in una dimensione lacerante che, tuttavia, sorprende per la capacità di spingere il lettore ad adottare un altro punto di vista. Di abbracciare scelte che non condivide. Comprenderle.
Dall’altro canto, c’è Lili. Lei è una voce che giunge da lontano e sembra intersecarsi quasi per caso con la vita di questo nucleo fuori dalle righe. Lili racconta la Grande Storia. L’Olocausto. La prostituzione. Le donne.
Di Biancaneve nel Novecento abbiamo parlato con Marilù Oliva e ci siamo addentrati così dietro le quinte che hanno fatto sì che questo romanzo sia una lettura che lascia il segno e che tiene legati alla pagina.


Biancaneve nel Novecento
tocca molti argomenti di straordinaria importanza, due di essi sono incarnati da due personaggi: Candi e Giovanni. La mamma e il papà. In mezzo, c’è Bianca. Da questo punto di vista, indaghi, quindi, il complesso rapporto tra genitori e figli e io vorrei chiederti da dove hai tratto inspirazione e in che modo la figura paterna plasma poi la vita di Bianca. 


La figura paterna è fondamentale per l’infanzia di Bianca, ma non solo: nonostante venga a mancare quasi subito, è importante anche per il suo futuro, perché resterà uno dei pochi riferimenti in grado di darle un senso di protezione e stabilità. Per Giovanni ho tratto ispirazione da mio padre, dal tipo di rapporto accudente che lo legava a me, forse molto materno (era lui che mi preparava il biberon, per dirti, nei primi mesi di vita, mentre mia madre era spesso fuori per lavoro), dal suo modo scanzonato di affrontare le vita. Ma è solo un punto di partenza da cui ho voluto ricostruire un personaggio diverso – e, infatti, nel romanzo Giovanni è un aspirante pugile, mentre mio padre faceva il professore – che volevo avesse una sua autonomia nella pagina ma soprattutto nella vita plasmata per lui. Per quanto riguarda Candi, la madre di Bianca, mi serviva un’antagonista, una donna forte e complessa, una ‘matrigna’ che fungesse da agente disturbante di questa coppia padre/figlia. Volevo sovvertire la famiglia tradizionale e mi sono servita di uno dei più antichi archetipi delle fiabe. Non nella maniera più scontata, però, perché la mia matrigna in realtà serberà delle sorprese.

Lili è una vita che giunge da lontano, quasi una storia parallela, per un po’, eppure un tassello indispensabile per spiegare il presente. Quanto la grande storia incide sulla storia dell’individuo? Ci si può davvero sottrarre ai grandi eventi, pensando che se accadono lontano, non riguardano le nostre esistenze? 

Ci si può sottrarre alla Storia e purtroppo sono in molti a farlo, magari storditi da vane distrazioni, ma è un grande peccato. Un’immensa occasione persa. Di partecipare al bene comune, di decidere per la nostra vita e per quella dei nostri cari. Soprattutto oggi, in queste zone geografiche, dove abbiamo la fortuna di vivere in contesti democratici. Non concorrere alla storia per me è quasi un atto empio, un’ingiustizia verso tutte le persone che invece sono impossibilitate a farlo magari perché ostacolate da una dittatura. Se ci tiriamo indietro, deciderà qualcun altro al nostro posto e farà una scelta chiaramente egoistica, perché la Storia ha già dimostrato che le classi dominanti procedono per interesse, non certo per spirito di fratellanza. Solo se ci istruiamo e collaboriamo per il bene comune possiamo sognare di realizzare davvero un mondo migliore.

È Bologna il palco su cui va in scena la storia di Bianca. E si attraversano anche gli anni ’80: impossibile sfuggire ad alcune brutture di quel tempo. Penso alla questione della droga… Anche quando cerchiamo di combatterli, noi seguiamo i modelli che abbiamo attorno. Quanto sono importanti le radici? (Mi viene in mente, per esempio, l’amica di Bianca.) 

Le radici sono importanti perché stanno alla base della nostra formazione. Come ribadisco a un certo punto del romanzo (utilizzo il verbo ‘ribadire’, perché in realtà l’avevo già dichiarato nel romanzo Questo libro non esiste): noi siamo il risultato di tutto ciò che ci è capitato o meno, di quello che l’esistenza ha combinato con noi, dell’amore che abbiamo ricevuto e soprattutto di quello che non abbiamo ricevuto, delle occasioni prese al volo e di quelle mancate, delle sensazioni che ci hanno lasciato le persone incontrate, degli errori commessi, dei bei ricordi, delle ferite rimarginate e di quelle aperte e potrei andare avanti così all’infinito. Ciò non toglie che, se le radici sono importanti, dobbiamo comunque impedire che le zavorre del passato diventino un alibi che ci impedisca di costruire il futuro che desideriamo.

Dovessi definirla, chi è Bianca?

Una ragazza spartiacque tra il Novecento e il nuovo Millennio, portavoce del cambiamento, determinata, una donna che porta sulle spalle aria di cambiamento e consapevolezza, ma ha sulla fronte anche il sudore della fatica che questi comportano e ha incise sulla pelle cicatrici – invisibili ma profonde – che le hanno insegnato quanto si possa risorgere dal dolore. Bianca è un po’ tutte noi e credo che sia questo processo di identificazione il motivo per cui piace molto alle lettrici: però non è stato voluto o studiato, io stessa l’ho capito soltanto dopo.









A cura di Irina Turcanu
(n. 10, ottobre 2021, anno XI)