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 |  | Che significa, per il traduttore, «vivere» un autore? In dialogo con Mauro Barindi
 
  Mauro Barindi,  nostro collega di redazione, è uno dei più attivi  traduttori  editoriali dal romeno in italiano. I suoi quindici libri tradotti dal 2008 ad oggi, firmati da autori quali Ana Blandiana, Mateiu I. Caragiale, Matei Vişniec, Ioana Pârvulescu, Florina Ilis, Stelian Tănase ecc., sono accompagnati da diverse altre  traduzioni più circoscritte – racconti, poesie, brani estratti da romanzi –  pubblicati in antologie, riviste, monografie o su piattaforme elettroniche In questo ampio  dialogo con Afrodita Cionchin, direttore della nostra rivista,  Mauro Barindi ci parla delle sue traduzioni, del rapporto  e del contatto che si creano con le autrici/gli autori dei libri tradotti,  delle dinamiche traduttive tra romeno e italiano, del suo approccio al testo da  volgere in italiano e di altri temi attinenti allo spazio che negli ultimi  decenni la letteratura romena si è creata/conquistata in Italia grazie alle  traduzioni. Nelle sue parole emerge un punto di vista personale da mettere a  confronto con altre/i traduttrici e traduttori dal romeno.
 
 
 Caro Mauro, con il libro di Matei Vişniec uscito a novembre dell’anno  scorso, quanti sono i volumi che hai finora tradotto e quali gli autori, con  una breve caratterizzazione di ciascuno per come li hai ‘vissuti’ tu?
 
 Dal 2008,  anno in cui è uscita la mia prima traduzione e da quando, perciò, è iniziata la  mia esperienza professionale come traduttore editoriale, fino a oggi si sono  succedute quindici tappe traduttive, accompagnate da un numero di altre  traduzioni più circoscritte – racconti, poesie, brani estratti da romanzi –  pubblicati in antologie, riviste, monografie o su piattaforme elettroniche (per  la rivista online che mi ospita, mi piace ricordarlo, è apparsa nel 2017 una  nuova traduzione della novella Alexandru  Lăpușneanu di Constantin Negruzzi, la cui prima versione in italiano risale  al lontano 1931 a cura di Maria Bulciolu – sarda, nonostante il cognome… romenizzante).  Procedendo in ordine cronologico (per alcuni nomi esiste più di una traduzione),  le autrici/gli autori affrontati sono: Vasile Andru – autore outsider, scomparso nel 2016, dalla forte  impronta mistico-religiosa; Florina Ilis – straordinaria prosatrice dallo stile  e dalla scrittura lussureggianti; Ana Blandiana – i suoi versi e le sue  impressioni di viaggio sono bellezza pura; Mateiu I. Caragiale – il dandy  romeno i cui leggendari Craii sono un  vero e proprio mito letterario; Lăcrămioara Stoenescu – testimone  diretta e commovente della stagione stalinista in Romania vissuta da bambina  sulla propria pelle; Stelian Tănase – scrittore e giornalista affabulatorio  come pochi altri; Ofelia Prodan – poetessa ‘duemilista’, geniale per il suo  stile ‘allucinatorio’ ma concretissimo; Radu Pavel Gheo – un narratore caldo e  sensibile dalla penna generosa e fluida; Igor Bergler – il nuovo sensazionale  autore di thriller, adrenalinico e ironico; Claudiu M. Florian – una piacevole  sorpresa per un autore che non è nato come scrittore; Ioana Pârvulescu – autrice  di un perfetto connubio tra finzione e realtà storica dall’esito letterario di  grande fascino – e Matei Vișniec – con il suo surrealismo dolce che trasfigura  la realtà in sfumature ironiche e verosimiglianti.
 Più che averli ‘vissuti’ questi  autori, ho ‘vissuto’ nelle tante ‘case’ in cui loro mi hanno accolto. E l’ho  fatto con entusiasmo, curiosità, gratitudine. Da ospite rispettoso e  riconoscente, mi sono sforzato di lasciare un buon ricordo, cercando una  convivenza che fosse arricchente in primo luogo per me. Quando si entra in una  nuova casa, di una scrittrice o di uno scrittore, la si ama subito per una  caratteristica particolare, poi la si esplora poco per volta, ci si adatta a  essa per come è disposta, se ne scoprono gli angoli che al principio stanno in  ombra… E ci si incrocia con altre persone, si fanno vari incontri, perché la  casa di un’autrice/un autore non è unicamente sua ma anche dei personaggi che  la occupano insieme a te. Questo è per me ‘vivere’ un’autrice/un autore  attraverso i loro universi fatti di parole.
 Per completare il quadro, ho  tradotto brani estratti da libri di Ștefan Agopian, Radu Cosașu, Bedros  Horasangian, Norman Manea, Mircea Nedelciu, Cecilia Ștefănescu, Matei Florian,  Răzvan Petrescu, Adriana Babeți, T.O. Bobe, Mariana Codruț, Robert Șerban, Nora  Iuga, Gheorghe Schwartz, Cerasela Nistor, Ioan Petru Culianu, Simona Popescu,  Mihaela Ursa, Ion Manolescu, Adela Greceanu ecc. ecc.
 
 
 Il 2021 è stato l’anno di Ana Blandiana in Italia, finalista del Premio  Strega Europeo. Puoi raccontarci come l’hai conosciuta e come sono nati i  progetti traduttivi che hai curato, tra poesia e saggistica?
 
 Senza  dubbio, per Ana Blandiana questo 2021 è stato l’«annus mirabilis» italiano con  la candidatura al Premio Strega europeo del suo romanzo di una vita Applausi nel cassetto (Elliot, 2021)  e, pur senza risultare vincitrice, la manifestazione, prestigiosa vetrina di  visibilità, l’ha posta  al centro  dell’attenzione dei lettori e della critica.
 La mia  «storia» con la grande poetessa nasce quando frequentavo i corsi di romeno all’Università  di Padova, fine anni ’80, tenuti dal prof. Lorenzo Renzi. Proprio durante quei  tristi e ultimi rantoli del regime comunista, Lorenzo Renzi, su iniziativa sua  e del poeta Andrea Zanzotto, redasse una lettera aperta, firmata da una  trentina di nomi della cultura italiana, rivolta alle autorità romene per  protestare contro la censura che si era abbattuta sulla sua persona e sui suoi  libri. A lezione ce ne parlò e propose a noi studenti di tradurre alcuni  racconti tratti dalla sua celebre antologia di prosa fantastica Proiecte din trecut (1982). Fu un colpo  di fulmine. Divorai quei racconti, che leggevo in treno facendo il pendolare tra  casa e Padova. Ricorderò per sempre la straordinaria impressione che mi causarono,  specie il finale del racconto Zburătoare  de consum, che mi parve di geniale poeticità.
 Poi, dopo  la caduta del regime, ebbi il privilegio di essere invitato a pranzo a casa da  lei e da suo marito Romulus Rusan, a Bucarest, insieme al prof. Renzi. Ero  molto emozionato, non mi sembrava vero: io a casa di Ana Blandiana, a tu per tu  con un mito!... Prima di sederci a tavola, mi indicò dalla finestra della loro  casa l’edificio della Radio, in fondo, proprio dove venivano registrati gli  applausi rievocati nel suo romanzo da poco pubblicato in italiano. Ricordo  inoltre che poi uscimmo, c’era una manifestazione, una delle tante in quel  periodo di effervescenza post-dittatura, e Ana Blandiana era riconosciuta e  salutata con affetto, riconoscenza e stima dalla gente in strada.
 Una sorta  di destino ha voluto che in seguito, intrapresa la strada come traduttore,  pensassi a un progetto con un suo libro. Fino ad allora in italiano si erano  pubblicate la sua poesia e la sua prosa, e dopo aver letto i suoi brevi ‘diari’  o appunti di viaggio raccolti in Orașe de  silabe (1987, il titolo della seconda edizione che sempre ha avuto una forte  suggestione su di me), ho pensato che sarebbe stato bello far conoscere anche  questo lato della scrittura di Ana Blandiana, incasellabile nel genere della  letteratura di viaggio. Ho avuto la fortuna di trovare una piccola e attiva casa  editrice indipendente che ha risposto al mio ‘appello’ ed è così che è nato Il mondo sillaba per sillaba (Saecula, 2012),  un titolo che riecheggia quello scelto per la terza edizione romena, O silabisire a lumii (2006), anche se a  me in un primo momento piaceva di più ‘Sillabario del mondo’, alla fine  scartato.
 Qualche  anno dopo, facendomi coraggio – mai, tranne rare e limitate esperienze, avevo  tradotto poesia per un progetto editoriale – ho deciso di confrontarmi con la  sua raccolta di versi Patria mea A4 (2010),  in italiano La mia patria A4 (Aracne,  2013). Perché coraggio? Io credo che un traduttore debba ‘sentire’ se può  affrontare un testo, sia esso di prosa o di poesia, prima di decidersi di  affrontarne la traduzione; nel caso della silloge di Ana Blandiana, dopo averla  letta, la dolce bellezza che emanavano le sue nuove poesie era lì che esigeva  di essere tirata fuori dalla sua lingua e trasposta in un’altra perché  riproducesse in altri – ecco il coraggio di cui parlavo! – la calda, pervadente  emozione che aveva prodotto su di me. Con un po’ di ansia e qualche grattacapo,  il libro è uscito. Si sentiva la mancanza delle sue poesie perché in libreria  si trovava solo l’indispensabile antologia del 2004, Un tempo gli alberi avevano occhi (Donzelli), che raccoglie il  meglio della sua creazione lirica dagli anni ’60 alle soglie del nuovo  millennio, e il nuovo millennio doveva continuare a conoscerne lo spirito poetico  fin dentro e oltre gli anni 2000. Come piccola curiosità, ricordo la traduzione  di questo volume con nostalgia perché gran parte dei versi di La mia patria A4 li ho volti in italiano  in estate su una… scrivania di sabbia lambita dall’oceano, combinando così natura  e poesia: un’esperienza irripetibile.
 
 
 Quanto è importante per te  il rapporto personale con gli autori dei libri che traduci? Durante il lavoro  di traduzione, intrattieni con loro una corrispondenza?
 
 È un  rapporto, privilegiato e indispensabile, che instauro con loro dopo, quando ho finito di tradurre:  durante il lavoro di traduzione mi annoto a mano a mano frasi, parole, concetti  che incontro nel testo e che non afferro e che solo l’autrice/l’autore potrà  aiutarmi a cogliere in pieno. In base alle note raccolte, stilo una lista di  domande particolareggiate, anche banali – le apparenti banalità in un testo è bene  tenerle d’occhio –, che invio all’autrice/all’autore, a cui ne seguono di  solito anche altre in altri messaggi, perché sempre sorgono ulteriori dubbi in  fase di rilettura e di revisione. E fanno capolino pure piccoli incidenti di  percorso: incongruenze, sviste, anacronismi, che hanno o una spiegazione o che  si tenta di risolvere nella lingua d’arrivo, sempre con l’accordo  dell’autrice/dell’autore. È un rapporto ‘epistolare’ quindi cruciale che si  allarga, si approfondisce facendosi meno formale, dando vita a un dialogo  interpersonale di simpatia e fiducia che culmina – in questi ultimi quasi due  anni, per le note ragioni, ciò non è stato possibile purtroppo – con il  reciproco incontro in persona in occasione di fiere o festival letterari.
 
 
 Se ci riferiamo al lavoro del traduttore, quali sono le dinamiche interne alla  traduzione dal romeno all’italiano?
 
 Stile, sintassi e vocabolario (fraseologia): secondo me è su questi tre elementi ‘cardine’ dinamici  che si gioca, per così dire, la partita, in cui la pallina, come in una partita  a tennis, viene rilanciata al di qua e al di là della rete per conquistare il  punto del ‘game’ nella lingua d’arrivo. Fuori di metafora e andando nel  concreto, romeno e italiano presentano il vantaggio di essere lingue molto simili  in generale nel costrutto sintattico, ovviamente ciascuna con caratteristiche  proprie che devono essere rese nell’altra per non produrre dei mostri  incomprensibili o innaturali. Per esempio, una delle insidie tipiche, sempre  dietro l’angolo, è la consecutio che in romeno è molto meno rigida che in  italiano, quindi si deve prestare attenzione nel calibrare e scegliere i tempi verbali  fra principale e subordinata (i futuri ‘semplici’ che indicano dei futuri nel  passato in italiano), le ipotetiche con protasi e apodosi con entrambi il  condizionale in romeno, il ‘nu’ traditore nella subordinata in frasi rette da  ‘a-i fi teamă/frică’ come: mi-e teamă să nu greșesc = temo di [*non] sbagliare;  mi-e frică să nu plouă = ho paura che [*non] piova/pioverà). Un altro aspetto è  la resa della lingua informale di registro basso o colloquiale (specie nel parlato  e negli scambi di battuta): in questo il romeno è avvantaggiato perché possiede  per così dire uno ‘stile’ omogeneo nella lingua standard; in italiano rendere questo  stile trascurato è un vero assillo, almeno per me, perché ha poco spazio di  manovra, nel senso che, non essendocene uno ‘pan-italiano’ convenzionalmente  valido (il ‘romanesco’ ben riconoscibile alle orecchie degli italiani perché  diffuso da cinema e tv riempirebbe questo vuoto, ma è troppo circoscritto e  connotato regionalmente, e praticabile semmai solo da chi lo sa dominare), si deborda  nel dialettale con inevitabili scompensi linguistici, rischiando di ‘inventare’  un italiano basso un po’ artificioso.
 
 
 Tra i libri che hai tradotto,  ce n’è stato uno che ha rappresentato per te una sfida particolarmente  difficile e stimolante?
 
 Più di uno! Posto che ogni libro tradotto è stata  una sfida ‘difficile e stimolante’, come ben dici, tre sono le traduzioni che  mi hanno impegnato in modo particolare, per via delle loro intrinseche  particolarità di lingua e stile. In primo luogo, il romanzo di Mateiu I.  Caragiale, I principi della Corte-Antica (Rediviva  edizioni, 2014), un testo densissimo, fitto di mille rimandi, un capolavoro  unico e assoluto della letteratura romena, dove ogni parola, ogni frase, ogni  riferimento doveva essere pensato e soppesato – ma mi rendo conto, rileggendo  la traduzione, che non sia bastato del tutto! – per essere incastonato  adeguatamente nel prezioso intrico sintattico e stilistico dell’impalcatura  generale del libro.
 Poi, il romanzo di Florina Ilis, La crociata dei bambini (Isbn, 2010), in  cui il flusso ininterrotto della narrazione, senza mai un punto a capo (ci sono  solo virgole: la ‘bussola’ a guidare il lettore nella successione delle  proposizioni è la lettera in maiuscolo della parola iniziale), mi ha come  gettato il guanto di sfida dandomi parecchio filo da torcere nel riuscire a  districarmi tra una frase e l’altra, frasi che non parevano finire e non  finire, fluendo l’una nell’altra in modo vertiginoso, con subordinate –  temporali, causali, finali – traboccanti di gerundi che in italiano dovevano  essere introdotte quasi sempre, per restrizioni grammaticali in questi  contesti, da un connettore.
 In fine, il romanzo di Claudiu M. Florian Le età dei giochi (Voland, 2017), una  storia autobiografica raccontata con amore in cui ero posto tra due fuochi:  l’estrema, quasi maniacale minuziosità delle descrizioni di cose, paesaggi e  persone, e l’individualità del protagonista principale, un bambino molto  curioso, che si esprime da adulto ma dando sfogo allo stesso tempo a tutta l’innocenza  tipica dell’infanzia.
 
 
 Da 11 anni, con la nostra rivista, seguiamo le pubblicazioni di letteratura  romena in Italia, riscontrabili nel nostro database Scrittori romeni in italiano. Come è cambiata negli anni la  sensibilità del mondo editoriale italiano verso gli autori romeni?
 
 C’è stato  senza dubbio un sussulto di interesse rispetto a una ventina di anni fa, basta  dare uno sguardo al nostro database per rendersi conto come dagli anni ‘80 e  più marcatamente dagli anni ’90 in poi le uscite editoriali romene abbiano  avuto una felice impennata, che coincide, guarda caso, con la fine del regime  dittatoriale e l’apertura della Romania verso l’esterno, reinserita nel  circuito del libero scambio di idee, di contatti e di progetti culturali. Di  conseguenza, l’attrattiva per la letteratura romena da parte degli editori  italiani – in primissimo luogo delle piccole e medie case editrici indipendenti  senza le quali non avremmo oggi tutti questa letteratura romena tradotta in  italiano – è cresciuta piano piano ma in modo costante, editrici che hanno  dimostrato – e continuano a dimostrare – una sensibilità via via più grande  verso lo spazio culturale romeno che era praticamente sconosciuto al vasto  pubblico, pubblicando autori contemporanei attraverso le cui opere il lettore  italiano ha potuto scoprire e continua a scoprire una letteratura sorprendente  per vitalità e qualità. Si pensi a Norman Manea, a Mircea Cărtărescu e ad Ana  Blandiana: sono tre voci, fra le tante altre, fondamentali, rappresentative per  capire la Romania di prima e dopo il 1989.
 
 
 Infatti, come si presenta ad oggi il quadro degli scrittori romeni  pubblicati in Italia, tra classici e contemporanei?
 È un  quadro in cui prevalgono senz’ombra di dubbio i contemporanei. I classici –  Caragiale, Creangă, Eminescu –, per citare i più grandi, sono ignoti al  pubblico, familiari solo ai cultori delle lettere romene, o a chi li ha  studiati alle cattedre di romeno. Ma a tal proposito assai meritorio è  l’impegno profuso dalla prof.ssa Adriana Senatore, romenista, dell’Università  di Bari, nel far conoscere, tramite saggi e traduzioni, alcuni nomi importanti  della storia letteraria romena, come il ‘classico’ Caragiale appunto, o Ion  Budai-Deleanu, Ion Heliade Rădulescu, Ion Agârbiceanu e Miron Costin, tutti  documentati nel nostro database.     
 
 Quali autori contemporanei e/o libri auspicheresti, invece, che venissero  pubblicati in futuro?
 
 Rispondo citando alcuni libri letti  in questo ultimo anno e mezzo che mi hanno colpito positivamente e che secondo  me meriterebbero di essere pubblicati in italiano: Vasile Ernu, Sălbaticii copii Dingo; Corina Sabău, Și se auzeau greierii; Ciprian Măceșaru, Alergătorul invizibil; Cristian  Fulaș, Ioșca, e Dan Alexe, Pantere parfumate. Romanzi molto diversi  tra loro, con storie convincenti e imperdibili.
 
 
 Per concludere, di quale autore ti stai attualmente occupando  come traduttore?
 
 In questo  periodo, guardando al 2022, ci sono due autori i cui progetti editoriali  dovrebbero finalmente scrollarsi di dosso la polvere accumulata nel cassetto in  cui erano stati riposti: si tratta del Diario di Mihai Sebastian, il tassello mancante in Italia nel puzzle Cioran-Eliade-Ionescu  – e di Fals tratat de manipulare di  Ana Blandiana, il primo volume delle sue memorie che si legge come un romanzo.  Incrocio le dita!
 
 Intervista a cura di Afrodita Carmen Cionchin(n. 1,  gennaio 2022, anno XII)
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