Un documentario sui «bambini delle fogne», girato a Bucarest. Dialogo con Michela Scolari

Un documentario sulla vita e il riscatto dei «bambini delle fogne» di Bucarest è stato girato a giugno da Bradamante Film con un team internazionale composto da Michela Scolari (sceneggiatrice, produttrice, regista), Felix Maximilian (produttore), Jerry Ying (produttore), David Zuckerman (produttore) e Gianluca Fellini (regista).
Dottore di ricerca e docente alla Columbia University di New York, sceneggiatrice e produttrice premiata in festival internazionali, Michela Scolari lavora in televisione e nel cinema dal 2003. Ha contribuito alla realizzazione di produzioni internazionali di successo, lavorando con molti registi famosi tra cui: Giuseppe Tornatore, David Lynch, Adam Leipzig, Umberto Eco, Lydzia Englert, John Charles Jopson, Piergiorgio Bellocchio, Cristian Mungiu. È fondatrice della società di produzione indipendente Bradamante.org, che recluta i migliori talenti della New Wave est europea, sviluppa e produce film, format TV, documentari, spot pubblicitari, musical e spettacoli teatrali. Il suo film Hannah Can You Hear Me (2018) ha vinto il «Best Art Film» a Cannes 2019. La sua filmografia comprende produzioni quali Anna Rosenberg (2020), Paolo Rossi: Dreams Create the Future (documentario di lungometraggio, 2019); Ahimsa: The power of the powerless (film documentario, 2018).
Alla fine delle riprese al suo nuovo documentario, abbiamo parlato con Michela Scolari sugli sviluppi di questo importante progetto.


The Sewer Kids (Copiii din canele ‘I bambini delle fogne’), un documentario di forte impatto sul grande pubblico. Come nasce questo progetto su un tema piuttosto inusuale e di nicchia per i non addetti ai lavori?

The Sewer Kids definisce il tema generale della serie tv, il cui titolo definitivo è ancora in lavorazione. La serie – che nasce dalla mia amicizia personale con molti degli artisti della Fondazione Parada, che hanno vissuto una vita di emarginazione, dolore e abbandono nelle fogne di Bucarest – racconta di un percorso favoloso dall’oscurità delle fogne alle luci del palcoscenico; per questo il titolo provvisorio è SHINE.

Qual è la sua prospettiva e gli obiettivi che si pone?

Come creatore, showrunner e produttore della serie, il mio scopo è di ribaltare la prospettiva del pubblico sul ‘sistema’, perché forse la vita nelle fogne, nei ghetti, sulle strade è portatrice di valori che noi del ‘mondo di sopra’ abbiamo perso.




Come si è sviluppata la collaborazione con la Fondazione Parada di Bucarest che aiuta gli ex ‘bambini delle fogne’ a superare la barriera di un destino per loro apparentemente implacabile?

Innanzitutto grazie per ‘ex’, contrapposto alla vita nell’oscurità; sono centinaia i bambini e ragazzi che vivono una vita invisibile, vittime di abusi e di violenze. Ho conosciuto Parada proprio così: nel 2008, arrivando a Bucarest per la prima volta, ho visto un tombino aprirsi davanti ai miei occhi increduli e alcuni bambini pelle e ossa saltare fuori dal buio, invisibili a tutti.  Li ho seguiti fino a una casa rossa in Strada Bucur, sulla cui facciata svettava la scritta PARADA.  Da allora non ho mai smesso di sentirmi parte di una famiglia allargata (e molto strana!) che crede che l’Arte abbia il potere di cambiare la vita in meglio e renderla degna di essere vissuta. Le vite di Alina, Riki, Alin, Iulian, Betty e molti altri ex ragazzi delle fogne e miei grandi amici, dimostrano come – grazie all’arte – il cambiamento sia possibile per tutti. Parada mi ha cambiata per sempre.  E sono grata a Franco (presidente di Parada), Ionuț (direttore di Parada) e Marian (uno dei miei più grandi amici che oggi è direttore artistico di Parada e un punto di riferimento per decine di ragazzi che guardano a lui come a un mentore) per quello che fanno con amore e fatica immensa, a scapito delle loro vite private. Loro mi hanno fatto capire che l’unico modo di amare è farlo davvero. Che l’unico modo di aiutare gli altri è farlo davvero.





Della realtà vissuta e raccontata da questi ragazzi, cos’è che le fa più impressione?


L’indifferenza della gente. Questo mi ha impressionato e mi impressiona sempre. Penso sempre che solo dei mostri possono vedere dei mostri in queste creature magiche e bellissime. Forse vedono in loro il riflesso della loro anima.

Quindi, la cura è arte e l’arte è cura. Riguardo non solo alle storie di riscatto di questi ragazzi ma anche al contesto che stiamo vivendo oggi, qual è, secondo lei, la funzione sociale, e anche terapeutica, dell’arte?


L’arte in ogni sua forma ha il potere di cambiare il modo di pensare delle persone e la loro percezione del mondo e della vita.  In questo senso, l’arte non è solo terapeutica, ma ha un valore rivoluzionario. Alcuni dei ragazzi di Parada oggi sono artisti di valore mondiale. Dalle fogne ai palcoscenici del mondo: Non è una rivoluzione? 





Come ha scelto il team e come vi siete trovati insieme?


Ho selezionato il mio team con l’unico criterio possibile per un progetto così delicato: il cuore. Ognuno dei professionisti coinvolti non è solo un filmmaker di valore, ma principalmente un essere umano di valore.  Dopo cinque settimane di lavorazione è successo tra noi e i ragazzi esattamente ciò che credevo: Siamo diventati una famiglia.

Quando uscirà il documentario e dove lo si potrà vedere?


La clausola di riservatezza non mi permette ancora di dirlo.





La cinematografia romena ha affrontato il tema complesso dei
ragazzi di strada nelle sue varie sfaccettature. Il più noto a livello internazionale, Filantropica di Nae Caranfil, del 2002. In uno sguardo generale, come vede la cinematografia romena dei nostri giorni?

È stato il cinema ha portarmi a Bucarest per la prima volta nel 2008.  Non c’è un cinema che ami di più di quello romeno, poiché ci dà la possibilità unica di vivere di un nuovo Neorealismo, capace di affrontare i grandi temi sociali senza essere mai scontato.

Rimanendo sul tema del sociale, un altro aspetto vicino alla sua sensibilità è trattato nel film
Anna Rosenberg (2020) da lei prodotto, con Claudia Gerini, nella regia di Michele Moscatelli, che ha già ricevuto importanti riconoscimenti. Come valuta la rappresentazione della violenza sulle donne nel cinema attuale?

Questo particolare tema richiederebbe un capitolo a parte.  Mi limito a dire che Anna Rosenberg fa parte di una serie di iniziative (film e serie) al femminile su cui sto lavorando con Claudia Gerini e altre artiste determinate a dare voce alle grandi donne condannate al silenzio dalla storia intessuta dagli uomini.

Quali immagini si porta via da questi giorni molto intensi in Romania?

Come ho detto, conosco alcuni dei ragazzi da quindici anni, ma non li ho mai visti sorridere, se non sul palco con il trucco da clown. Ieri abbiamo fatto una festa tutti insieme per festeggiare la fine delle riprese. Questo tempo di festa, di condivisione, di balli e abbracci sarà il mio tesoro più grande per sempre. Le loro risate mi hanno già ripagato di tutto. Lascio Bucarest (solo temporaneamente!) con un bagaglio carico di gratitudine.








A cura di Afrodita Carmen Cionchin
(n. 7-8, luglio-agosto 2021, anno XI)