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    «Cioran, il mistico dell’era Post-Dio». Dialogo con Mirko Integlia su «Tormented by God» (parte III) 
       
     
       In questa ultima parte dell’intervista con Mirko Integlia, autore  del libro Tormented by God: The Mystical  Nihilism of Emil Cioran (Libreria Editrice Vaticano, 2019), la  conversazione gira intorno a temi quali il carattere catartico (e terapeutico)  della lettura di questo King of  Pessimists, come lo definì la rivista «Times»,  il tormento del fantasma di Dio, questa «presenza nascosta» negli scritti di  Cioran, il Trăirism, il movimento Criterion e la posizione di Cioran come  un anticipatore dell’esistenzialismo francese, il rapporto – oppure la  distinzione – tra fede e volontà di credere, la controversia  intorno ai concetti di soteriologia e asoteriologia in quanto possibili descrittori  del pensiero del filosofo nato a Răşinari.
      
  
         
         
           
        Rodrigo Menezes: Se  c’è un punto da cui Cioran più si discosta da Nietzsche e si avvicina a  Schopenhauer è quello che riguarda l’atteggiamento nei confronti di ciò che  possiamo chiamare l’etica della  compassione, una delle espressioni dell’etica  negativa: al pari della saggezza del Sileno, ne La nascita della tragedia,  non essere è preferibile a essere. Ora, Cioran è un ibrido, a metà strada fra  il pessimismo di Schopenhauer e il tragicismo di Nietzsche; non essendo né  schopenhaueriano né nietzschiano [1], bensì cioraniano:  in gioventù, un discepolo infatuato dalle sante e nella maturità, discepolo di  sé stesso [2]. In Cartea amăgirilor,  il giovane nichilista mistico concepisce «un’etica del sacrificio» [3], cioè  un’etica negativa che si costituisce sulla missione di espiare la sofferenza  inconsapevole dell’umanità. Questa «etica del sacrificio» si trova all’origine  di questo aforisma: «La mia missione è di soffrire per tutti coloro che soffrono  senza saperlo. Devo pagare per loro, espiare la loro incoscienza, la fortuna  che hanno di ignorare fino a che punto siano infelici.» [4] In Cartea amăgirilor, troviamo anche  qualcosa che non si troverà in nessun’altra parte dell’opera di Cioran: l’esortazione  ai «fratelli» nella disperazione. Amore e odio, estasi e orrore si mescolano  nella scrittura di questo che non crede nella veracità dei sentimenti puri. Come  si spiega lei il fatto, attestato da tanti lettori, che la lettura di questo King of Pessimists [5] sia consolante, liberatrice,  alcuni direbbero addirittura «salvifica» [6], mentre tutto nel suo pensiero sembra  contrario all’idea medesima di consolazione, liberazione, salvezza?  
           
          Mirko Integlia: È sicuramente possibile tracciare  tutto un percorso filosofico di demistificazione dei sentimenti puri, e i suoi  riferimenti ad alcuni autori sono molto puntuali. Ed è altrettanto possibile  collocare Cioran nel novero di quei pensatori e moralisti che hanno invocato a  gran voce la dimensione originaria dei sentimenti negativi, come impulsi  costitutivi dell’essere umano. In questo senso, scalzare tutto ciò che è  pregiudizio e consolazione, ha certamente un carattere liberatorio, perché si  salva solo chi giunge alla verità delle cose, seppur scomoda o scabrosa. Io  aggiungerei anche la nozione kierkergaardiana di «spiritualità»: cioè non c’è  autentica spiritualità umana se si nasconde il fatto che il «negativo» ci  costituisce, che sia l’angoscia, la disperazione o il nulla. Forse occorrerebbe  solo un’avvertenza generale: l’attestazione del negativo in conseguenza di una  demistificazione del finto positivo avviene sul piano del pensiero, e su questo  piano è opportuno rimanere, al fine di coglierne bene i presupposti e le  sfumature, poiché un fraintendimento di questa nozione ha sempre effetti  nefasti.  
        Potrebbe  meravigliare il lettore che in questa solidarietà con i «dannati» delusi da  Dio, Cioran tocca e si avvicina alle vette della mistica cristiana (non è un  caso che le vite dei Santi siano state da lui «divorate»). La giovane mistica  Teresa di Lisieux, morta a 24 anni, affermava di voler offrire a Dio l’oscurità  in cui viveva la sua anima – sentire Dio lontano e assente – perché grazie a  essa si sentiva in comunione con tutti coloro che non trovano Dio.  
        In Cioran troviamo trascritta in linguaggio filosofico e  non confessionale – questo è un aspetto davvero affascinante che andrebbe  approfondito – l’esperienza che nella storia della mistica è conosciuta come la Notte oscura dell’anima (titolo del  famoso testo del mistico spagnolo Giovanni della Croce).  
         
        R.M.: Secondo il filosofo inglese John Gray [7], il primato  della ragione e il trionfo dello scientismo sarebbero favorabili a una  riabilitazione moderna e secolare dell’antica Gnosi. Che il materialismo diventi  una nuova «fede», oppure una nuova metafisica di spiegazione globale della  realtà, sarebbe una conferma del ritorno della fantasia gnostica nella  modernità: la speranza della redenzione per la scienza [8] in quanto conoscenza  sperimentale e strumentale del mondo naturale. Seguendo una certa linea di  pensiero (penso ad esempio a Eric Voegelin), tutta la Modernità sarebbe gnostica. Questa paranoia cospiratoria  dell’ubiquità dello gnosticismo nella modernità farebbe sorridere Ion Culianu  [9]. Un’altra visione, opposta a quella di Voegelin, è quella di Hans  Blumenberg, che, secondo Volpi, «[…] prese le difese della modernità, sostenendo che essa non  è tanto la secolarizzazione del cristianesimo, bensì il processo  dell’affermazione autonoma dell’uomo nel mondo. Con la sua assolutizzazione  della dimensione terrena la modernità nega il dualismo gnostico, ancora  presente nella speculazione teologica tardomedievale che separa radicalmente  Dio e mondo. La modernità, dunque, non è il trionfo, ma la seconda, definitiva  sconfitta della gnosi (cfr. Faber, 1984; Taubes, 1984).» [10]  
        Ossia,  la Modernità non è più «gnostica» di antignostica, agnostica. La «morte di Dio» vale  persino per lo gnosticismo. Questa ambivalenza così ironica non si fa  altrettanto presente in Cioran? La contradizione fra tendenze gnostiche e  antignostiche – ad esempio la postulazione di un funesto demiurgo e  l’affermazione della fede come  singola via verso Dio, la difesa dell’ignoranza e la concezione della  conoscenza malsana, la lucidità come liberazione e maledizione allo stesso  tempo… Ancora secondo Volpi, l’opera di Heidegger fornisce un paradosso che è  lo stesso di una parte significativa del pensiero contemporaneo. «Si tratta del  fatto che in essa sembrano toccarsi e convivere due estremi incompatibili: un  nichilismo radicale, da un lato, e l’abbandono alla visione ispirata, se non al  misticismo, dall’altro.» [11] Lei non riconosce lo stesso paradosso in Cioran?  Non sarebbe lui tanto più antignostico  quanto più sembra essere una specie di «neognostico»? [12] 
         
        M.I.: Ecco, credo che l’interesse nei confronti di Cioran sia  dato dall’insieme di tutte queste cose, dal suo essere un caso esemplare di  quel paradosso di cui parla proprio Franco Volpi. In fin dei conti, noi siamo  al culmine della disperazione, proprio perché abbiamo subìto il trauma della  scoperta di una ragione e di una libertà insufficienti. Non penso di essere  molto lontano dal vero, se dico che l’opera di Cioran è l’ipostasi  del pensiero contemporaneo, in cui lo sguardo  sull’assurdo finisce per fissare un doppio volto: da una parte la radicalità di  un nulla prima della vita, nella vita e oltre la vita, dall’altra il  ripresentarsi prepotente di una questione religiosa, sotto forma di misticismo  o simili, nel senso della ricerca di uno strumento che riesca a dare a una  consistenza visibile a questo fantasma di Dio di cui parla in maniera così  suggestiva Guardini,  ma mi piace  ricordare anche la “presenza nascosta” di Bernhard Welte. L’interrogazione  solitaria della scrittura cioraniana può sicuramente rappresentare uno di  questi strumenti.  
         
        R.M.: Lei afferma, seguendo Robert Wicks, che Cioran può e  deve essere riconosciuto come un esistenzialista avant la lettre, come un «forerunner»  dell’esistenzialismo francese [13]. Secondo José Thomaz Brum, filosofo  brasiliano, amico di Cioran e traduttore dei suoi libri, «[…] la  filosofia esistenziale di Cioran non deve confondersi con la “seconda  generazione esistenziale” (Heidegger, Sartre, Camus), ma con quei “pensatori  privati” (Nietzsche, Dostoievski, Chestov) che cercano di conservare nell’uomo  la kierkegaardiana “sincope della libertà”, l’angoscia che non deve esser  risolta da nessun ideale, col rischio di perdere la più grande ricchezza umana:  il suo rifiuto di tutto ciò che pretende di placare l’abisso interiore da  qualsiasi falsa consolazione o trascendenza.» [14] 
        Se  ammettiamo l’affidabilità di questa interpretazione, non sarebbe problematico  vincolare Cioran all’esistenzialismo francese? Non apparterrebbe a questa  tradizione di «pensiero umiliato» di cui parla Camus nel Mito di Sisifo? Il suo pensiero esistenziale non è un umanesimo e  un ateismo inequivoco, nemmeno un esistenzialismo cristiano, come nel caso di Kierkegaard.  Peter Sloterdijk caratterizza il pensiero di Cioran come un «inesistenzialismo»  alle frontiere dell’Europa e dell’Asia [15]. Come concepisce la dimensione  esistenziale del pensiero di Cioran nei confronti di tutto ciò che va al di là  dell’esistenziale, del temporale, dello storico? 
         
        M.I.: Le perplessità che  lei esprime in riferimento a un Cioran esistenzialista, mi impongono di  ricordare il perché di questo collegamento, che nasce prendendo spunto da una  voce sicuramente più autorevole della mia.   In una breve nota del saggio Il segreto  interdetto. Eliade, Cioran e Ionesco sulla scena comunitaria dell’esilio,  Giovanni Rotiroti, citando le Memorie di Eliade, accenna en passant al  fatto che per lo storico delle religioni furono solo i limiti espressivi e  comunicativi della lingua rumena a impedire all’associazione Criterion di  essere considerata un movimento culturale anticipatore dell’Esistenzialismo  francese. Sin da subito, mi è sembrato necessario approfondire questa  considerazione dello storico delle religioni, indubbiamente uno dei maggiori  protagonisti culturali dell’epoca. Anche perché in un altro saggio, Tempo e  destino nel pensiero di E. M. Cioran, Renzo  Rubinelli parla esplicitamente di un esistenzialismo rumeno riferendosi al  clima culturale della Bucarest a cavallo tra gli anni Venti e Trenta, dove  intellettuali come Mircea Eliade, Eugène Ionesco, Costantin Noica, Mircea  Vulcănescu e lo stesso Cioran si raccoglievano attorno alla figura del  professore Nae Ionescu. Gli stessi elementi irrazionalistici del Trairismo sarebbero derivati  dall’Esistenzialismo tedesco, in particolare dal filosofo e psicologo Ludwig  Klages e dallo storico e filosofo Friedrich Meinecke. Seguendo l’intuizione di Eliade, ho cercato di dare sostanza a  questa interessante chiave interpretativa partendo dal testo di Al culmine, che da questo punto di vista  rappresenta una prima, e precoce, “catalogazione” dei temi cari  all’esistenzialismo alla francese. Mi sento di dire che il confronto di  quest’opera con i testi principali di Sartre e Camus, ha confermato la  fondatezza dell’intuizione di Eliade, cioè che per ragioni da approfondire  ulteriormente, un movimento essenzialmente studentesco di una periferia  geografica e culturale, attraverso alcuni dei suoi giovani più talentuosi,  riuscì a «formalizzare» prima di altri gli elementi salienti del clima culturale  europeo e mitteleuropeo.  
         
        R.M.: Nei Sillogismi Cioran ci fornisce una pista verso il suo nichilismo sui generis: «Satires et soupires me semblent également valables. Que j’ouvre un pamphlet ou un “Ars moriendi”, tout y  est vrai… Avec la désinvolture de la pitié, je m’étends sur les vérités et me  confonds avec les mots.  “Tu seras  objectif !” – malédiction du nihiliste qui croit à tout». [16] È  proprio il nichilismo di colui che ha troppo riflesso sulle cose (la vita, la  morte, il tempo, l’eternità, la sofferenza e il male), e risulta impossibile  possederne un sentimento definito, un’idea precisa. È proprio in questo senso,  di un nichilismo accogliente ed eclettico per mancanza di certezze [17] che,  penso, il nichilismo e la mistica si avvicinano in Cioran. Non sarebbe la  presunta misantropia di Cioran l’espressione di un’etica negativa del  sacrificio per gli uomini, contro di  loro [18]? Potremmo sostenere che ciò che gli mancava non era un presunto  «organo», bensì l’ormone della fede:  Cioran aveva l’ormone della volontà di  credere [19], forse abbastanza, però anche aveva quello della negazione, e  anche quello del dubbio. Sono, per così dire, ormoni antagonistici,  contrastanti, conflittuali… Possedere la fede senza saperlo, persino senza  desiderarlo, è possibile? Vorrei citare le parole del padre francese Marie-Dominique  Molinié [20] (1918-2002) – nel cui monastero Cioran fece una sorta di ritiro  spirituale durante i suoi primi anni in Francia, e con cui mantenne una  amichevole corrispondenza epistolare. Il padre dominicano racconta, al termine  di una lettera inviata a Cioran, che «mi sono permesso di leggere la tua  lettera a un fratello qui. Mi ha semplicemente detto: “Questo tizio è salvo” [ce type-là est sauvé]». [21] 
         
        M.I.: Guardi,  l’obiettivo della mia ricerca è stato proprio questo, chiarire, o perlomeno  cercare di chiarire in un senso più appropriato, il nichilismo di Cioran.  Osservando da vicino alcune dinamiche ed evoluzioni presenti nel complesso  della sua produzione letteraria, l’ipotesi di lavoro iniziale era stata la  seguente: da una parte un evidente itinerarium in  absurdum con la mediazione di  coloriture di stampo esistenzialistico; dall’altra un desiderio  nostalgico di fusione con un nulla posto al di là della nascita, i cui accenti  mistico-religiosi meritavano di essere approfonditi secondo la chiave di  lettura della filosofia della religione.  
        Questo  primo sguardo di insieme generale mi ha portato a rileggere il nichilismo secondo  tre angolature che mettessero in evidenza un legame diretto con una specifica «questione  religiosa»: come rielaborazione dei miti delle origini, evidenziando il forte  influsso che le eresie cristiane di natura gnostico-dualista esercitarono su di  lui; una tendenza alla speculazione mistico-religiosa che si configura come una  sorta di religione del nulla (il teologo e scrittore Romano Guardini descrive  questo nulla come «il luogo che attraverso la negazione del divino  diviene vuoto: è il «fantasma di Dio» […]»); un’analisi testuale  dell’esperienza religiosa nei Quaderni.  
        Anche  in questo caso, tuttavia, ho cercato di non trascurare l’esistenza di questione  religiosa in termini storico-culturali, relativamente al misticismo politico e  all’antisemitismo nella Romania interbellica.  
        In termini più generali, credo che Cioran abbia evidenziato e  drammatizzato nei suoi scritti alcune connessioni dell’esperienza  religiosa che negli ultimi anni sono stati oggetto di particolari e  interessanti riflessioni nell’ambito della filosofia della religione. La connessione,  ad esempio, dell’esperienza religiosa con lo scetticismo, il nulla,  e il vuoto. 
        Tali  connessioni sono, ad esempio, presenti nel pensiero del filosofo americano John  Schellenberg nel suo saggio Lo scetticismo come inizio della religione.  
        Vale la pena ricordare quanto categorie come vuoto e nulla — così centrali nella riflessione di Cioran — siano poi diventate  fondamentali nel dialogo contemporaneo, filosofico e teologico, tra esperienze  religiose occidentali e orientali. Mi riferisco in particolar modo al filosofo  buddista zen Keiji Nishitani, esponente storico della Scuola di Kyoto.  
        Speravo che lei mi facesse  prima o poi questa domanda: «Possedere la fede senza saperlo, persino senza  desiderarlo – è possibile?». Lei pone una importante questione della lettura di  Cioran nella prospettiva teologica e della filosofia della religione. Io sono  convinto di quanto segue. Se consideriamo la fede come affermazione  dell’esistenza di un Dio personale o adesione a un credo religioso specifico,  bisogna risolutamente affermare l’ateismo di Cioran.  
        Ma se per fede intendiamo con William  James e Miguel de Unamuno la «volontà di credere»  e il «desiderio» che ci  sia un Dio e ci salvi, io ho l’audacia di affermare che con Cioran siamo in  presenza di una delle prime formulazioni mistiche del tempo Post-Dio.  
         
        R.M.: Due atteggiamenti cioraniani che sembrano essere abbastanza antignostici: l’affermazione della fede come unica via di accesso  a Dio [22], e la concezione negativa della conoscenza come qualcosa  fondamentalmente malsana, «luciferina».  Lucidità e disperazione sono praticamente sinonimi secondo lui. Sola fide, sembra pensare questo  gnostico involontario e paradossale: antignostico. Quello che gli manca è credere che crede, più o meno come  Stavroguin. Lei sostiene che il pensiero di Cioran, essendo di carattere  radicalmente dualista e «anti-cosmico», è pertanto risolutamente non-escatologico [23]. Come concepisce  il dualismo di Cioran? È un dualismo radicale? Mitigato? Dietro la postulazione  dell’impurità come «unico segno di  realtà» [24], non si nasconde un profondo desiderio (frustrato, contrariato,  disilluso) di purità (da cui un certo angelismo cioraniano [25])?
      
 M.I.: La scissione tra naturale  e spirituale, quindi l’origine della coscienza, è indubbiamente un primo  dualismo da tenere in considerazione. «L’uomo pensante comincia con la caduta» scrive Cioran,  mentre prima della disobbedienza, Adamo era un «cretino totale». Giuseppe Rensi sostiene  che il peccato originale non è nient’altro che la «pazzia» dell’uomo spirituale, che attraverso la ragione si è separato dalla natura e vi  si è opposto.  Questa riflessione del  filosofo italiano mi sembra particolarmente adatta per indicare un aspetto che  è presente in maniera costante nella produzione cioraniana. Mi riferisco alla  volontà di liberarsi della coscienza, ossia di un io che pensa e che,  riflettendo, produce conoscenza, quindi sofferenza, dal momento che la realtà  pensata, ritornando a Rensi, è sempre cattiva. Ecco perché in Cioran troviamo la  tortura dell’insonnia, come esercizio interminabile di una coscienza lucida, la  cui attività può essere interrotta solo dal sollievo del sonno. Oppure dalla  riduzione dell’io al nulla, secondo il percorso del Buddhismo come misticismo  tracciato dal teologo olandese Gerardus van der  Leeuw. Lei ha citato La caduta nel tempo,  io vorrei ricordare la disperazione come malattia della coscienza, che per  Kierkegaard distingue l’uomo dall’animale più dell’andatura eretta. A mio  parere, l’interesse di Cioran per il pensiero eretico, questa sua «parentela spirituale», dipende proprio da questo desiderio di annihilatio della coscienza per  liberarsi dal peso della propria individualità. Ciò si manifesta in continuo  disprezzo della nascita, evento nefasto in cui si subisce la separazione da uno  stadio di beatitudine atemporale, e si è gettati in un mondo «fallato», a  causa di qualcosa che non ha funzionato nel meccanismo della creazione.  
           
          R.M.: Secondo Joseph Acquisto, il lavoro di scrittori e pensatori  quali Baudelaire, Cioran e Fondane, tra gli altri, potrebbe essere concepito come  un tentativo prolungato di trarre tutte le conseguenze del passaggio al  pensiero «asoteriologico»: «Ripensare la salvezza significa in definitiva  ripensare la questione della fine, poiché la logica della redenzione è  concepita in un senso lineare del tempo e in un senso di progressione da una  caduta verso una redenzione.» [26] Lei è d’accordo che il pensiero di Cioran sia asoteriologico? Oppure possiamo individuare  nella sua opera tutta una teoria della liberazione (délivrance in francese)? Penso, ad esempio, nei due saggi del Funesto demiurgo, «Paleontologia» e «Il  non-liberato», dove troviamo tutta una teoria della liberazione per il vuoto, o  la vacuità, dunque una concezione  orientale, non-teista (d’influenza buddhista), della liberazione… 
           
          M.I.: Io non trascurerei  il carattere «istrionico» degli itinerari meditativi cioraniani, di cui il mio  riferimento precedente a una scrittura «rischiosa» era un aspetto. Cioran conduce il lettore a seguirlo in  un percorso che quasi sempre coincide con un vertice di problematizzazione. Su  questo limite estremo, a un certo punto, chi legge sembra intravedere  un’apertura, una svolta positiva, una possibile «salvezza», ma è solo  un’illusione, probabilmente un artificio retorico, perché Cioran rilancia  ulteriormente, lasciandoci saltellare da un aforisma all’altro, alla disperata  ricerca di una risposta definitiva che è sempre sfuggente, posticipata  all’infinito. Perché Cioran non ha paura di una risposta multiforme,  autocontraddittoria, questo dipende in un certo qual modo dall’uso «strumentale» che egli fa delle  concezioni religiose, giusto per riallacciarmi alla sua domanda. Infatti, ogni qualvolta nelle sue disparate letture,  Cioran incrocia un pensiero religioso e ne trasferisce la rielaborazione nei  suoi scritti, alla base troviamo l’urgenza di approfondire un’affinità  intellettuale, e mai l’approssimarsi di una conversione conseguente al fatto di  aver trovato finalmente la «verità». In realtà, si tratta di un tentativo del  pensatore transilvano di «appropriarsi» di categorie interpretative che, all’infuori  del razionalismo, siano in grado di fornirgli strumenti di teorizzazione nel  campo di una scrittura che tende al filosofico. Questo vale tanto per le sette  gnostiche come per le filosofie orientali.  
           
          R.M.: C’è un libro di Cioran da lei prediletto? Alcuni  aforismi che le sono cari, e che può citare a memoria? 
           
          M.I.: Quello che è sul mio comodino,  lacerato da annotazioni continue: i Quaderni.   L’aforisma che ricordo spesso – quasi  come una preghiera – e nel quale a mio parere c’è tutta l’anima Cioran, è il  seguente: «A volte si ha voglia di gridare a tutti i defunti dèi: Abbiate pietà  di noi, cercate di tornare a esistere» (Quaderni,  654). 
        Mi consenta però di citare per il  lettore – non a memoria – un passo di Cioran che ritengo espressione sublime di  questa mistica post-Dio. Infatti, se potessi dare un titolo a questa sua  intervista esso sarebbe: Cioran, il mistico dell’era Post-Dio. 
        La citazione è la seguente: «Mio Dio,  riversa della musica nel tuo universo! Non ci abbandonare in preda al mutismo  in cui cova il tedio della materia. Dissemina la quiete dello spazio di accordi  senza fine, affinché si uniscano al silenzio. Da’ voce alla luce e alla sua  indifferenza, turba il riposo degli elementi, diffondi sulle distese assenti il  soffio sonoro che intreccia le nostre esitanti vibrazioni. (…) Perché non hai  impregnato di suoni effimeri le campagne e i mari? Perché non hai invaso le  pianure di lamenti opprimenti? La musica ci avrebbe allora resi ciechi e,  facendoci dimenticare i paesaggi del dolore, avrebbe avvolto di canti la nostra  amarezza. Perché il tempo non ha voce, perché non canta?» (Breviario dei vinti II, 25).  
      R.M.: Per concludere, perché leggere Cioran oggi? Qual è la  sua importanza in quanto filosofo, pensatore, scrittore? 
      M.I.: Credo che attraverso la sua prosa filosofica, questa mi  sembra la definizione più appropriata, ed ereditando tutta una tradizione di  pensiero precedente, Cioran ha prodotto un’importante opera di mediazione,  rielaborazione e, in alcuni casi di anticipazione, di alcuni temi cruciali del  Novecento. Questa importante testimonianza acquista ancor più valore se si  considera la precocità nell’elaborazione del pensiero, la sua natura atipica di  intellettuale e filosofo, non essendo egli mai stato un cattedratico. Esulano  dalle mie competenze, ma non trascurerei, pensando al valore di Cioran, gli  aspetti linguistici della sua opera, avendo lui scritto in una lingua diversa  da quella di origine.  
        Cioran,  in particolare, è sublime interprete del tempo post-Dio connotato da una sorta  di «dannazione soteriologica»: egli non ha aderito a nessuna speranza  trascendente ma, allo stesso tempo, ha respinto come illusorie tutte quelle  intra-mondane. La lettura di questo pensatore da voce agli spiriti inquieti del  nostro tempo che si sentono «stranieri» in questo mondo e che preferiscono bere  al calice amaro della «lucidità». 
       
           
           
      
 Intervista realizzata da     Rodrigo  Inácio R. Sá Menezes 
        (n. 2, febbraio 2020, anno X) 
        
         
        NOTE 
         
        [1] «M-ar stingheri să fiu numit discipol al  lui Schopenhauer sau al lui Nietzsche ; dar oare mi-aş putea stăpîni bucuria  cînd m-ar chema discipolul sfintelor?» CIORAN, Emil, Cartea amăgirilor. Bucureşti: Humanitas, 1991, p. 211. « Cela  me gênerait d’être nommé disciple de Schopenhauer ou de Nietzsche; mais  pourrais-je contenir ma joie d’être appelé disciple  des saints ? » CIORAN, Emil, Le  livre deus leurres, in Œuvres.  Trad. de Alain Grazyna Klewek et Thomaz Bazin. Paris : Gallimard, 995, p.  268. 
        [2] «J’ai  cherché en moi mon propre modèle. Pour ce qui est de l’imiter, je m’en suis  remis à la dialectique de l’indolence. Il est tellement plus agréable de ne pas se réussir!» IDEM, Syllogismes de l’amertume, in Œuvres, p. 766. 
        [3] «Este o prostie să se  afirme că viaţa ne este dată ca să o trăim ; ea ne e dată ca să o sacrificăm,  adică să scoatem din ea mai mult decit permit condiţiile ei fireşti. Nu există altă etică în afară de etica sacrificiului». IDEM, Cartea amăgirilor,  p. 63. «Il est stupide d’affirmer  que la vie nous est donnée pour être vécue ; elle l’est pour être  sacrifiée, c’est-à-dire pour en extraire plus que ne le permettent ses  conditions naturelles. Il n’y a pas d’autre éthique hormis l’éthique du  sacrifice». IDEM, Le livre des leurres,  in Œuvres, p. 155. 
        [4] CIORAN, E.M., L’inconveniente di essere nati. Trad. it. di Luigia Zilli. Milano: Adelphi, 2014, p. 177. 
        [5] Books: The King of Pessimists,  «Time», 7 dicembre 1970. 
        [6] JACCARD, Roland, Portrait de Cioran. Comment Cioran m’a sauvé la vie, «Alkemie –  Revue Semestrielle de Littérature et Philosophie», n. 6, décembre 2010. Disponibile in :  <http://www.revue-alkemie.com/pdf/Revue_de_litterature_et_philosophie_Alkemie_n6_(Cioran).pdf>. 
      [7] Cfr. GRAY, John. The Soul of  the Marionette. A Short Inquiry into Human Freedom, London: Penguin Books, 2016. 
      [8] In quanto episteme,  la scienza equivarrebbe a ciò che Lucian Blaga concepisce in termini di una  conoscenza paradisiaca (cunoaşterea  paradiziacă), il cui soggetto si identifica, per una sorta di familiarità  razionale, coll’oggetto a conoscere, in opposizione alla conoscenza luciferina  (cunoaşterea luciferică) che,  instaurando una “crisi” nell’oggetto, è un modo di conoscenza drammatico, se  non tragico. BLAGA, Lucian, Trilogia  cunoaşterii. Bucureşti:  Humanitas, 2013, p. 253. 
        [9]“Once I believed that Gnosticism was a well-defined phenomenon  belonging to the religious history of Late Antiquity. Of course, I was ready to  accept the idea of different prolongations of ancient Gnosis and even that of  spontaneous generation of views of the world in which, at different times, the  distinctive features of Gnosticism occur again. I was to learn soon, however,  that I was a naïf indeed. Not only Gnosis was gnostic, but the catholic authors  were gnostic, the neoplatonic too, Reformation was gnostic, Communism was  gnostic, Nazism was gnostic, liberalism, existentialism and psychoanalysis were  gnostic too, modern biology was gnostic, Blake, Yeats, Kafka, Rilke, Proust,  Joyce, Musil, Hesse, and Thomas Mann were gnostic. From very authoritative  interpreters of Gnosis, I learned further that science is gnostic and superstition  is gnostic; power, counter-power, and lack of power are gnostic; left is  gnostic and right is gnostic; Hegel is gnostic and Marx is gnostic; Freud is  gnostic and Jung is gnostic; all things and their opposite are equally gnostic.”  CULIANU, Ion  P., “The Gnostic Revenge”,  in WILLIAM, Michael Allen, Rethinking  Gnosticism. An Argument for Dismantling a Dubious Category. Princeton/New  Jersey: Princeton University Press, 1996, p. 3-4. 
        [10] VOLPI, Franco, Il nichilismo/O niilismo. Trad.  di Aldo Vannucchi. São Paulo: Loyola, 1999, p. 99. 
        [11] IDEM, Ibid., p. 97. 
        [12] La formula è di Integlia: “Before turning to Cioran’s analogous  thinking on the abandonment of history, we would like to again emphasize that  it is far from the intention of this essay to affirm the theological nature of  Cioran’s neo-Gnosticism. As is clear, he proceeds from a radical rejection of  transcendence, especially in its theist expression.” INTEGLIA, Mirko, Tormented by God: The Mystical Nihilism of  Emil Cioran, p. 177. 
        [13] IDEM, Ibid., p. 53. 
        [14] BRUM,  José Thomaz. “O amargo saber de Cioran”, O  Globo, 10 febbraio 1991. Disponibile in: < https://emcioranbr.org/2014/10/03/amargo-saber-cioran/>. Ultima consultazione: 29 settembre  2019. 
        [15] SLOTERDIJK,  Peter. « Cioran ou l’excès de la parole sincère », in : TACOU, L. ;  PIEDNOIR, V. (orgs). Cahier L’Herne  Cioran. Paris :  Éditions de L’Herne, 2009, p. 234. [16] CIORAN, E.M., Syllogismes de l’amertume, Op.  cit., p. 784. 
        [17] Da cui «l’eclettismo del sorriso e della  distruzione», che ci porta a sostenere  tutte le tesi contemporaneamente. CIORAN, E.M., Sillogismi de dell’amarezza. Trad. it. di Cristina Rognoni. Milano: Adelphi: 1993, p. 19. 
        [18] « Il n’y a de sentiment défini de la  mort que chez ceux qui ne l’ont pensée et sentie qu’à moitié ; on ne peut  avoir de vision claire de la souffrance ; et il est impossible d’avoir de  conviction précise sur la vie. Mais quand on se fond eu eux et qu’on est d’un  seul coup ou tour à tour éternité, mort, vie, temps et souffrance, on ne peut  pas les aimer sans les haïr. Une fureur admirative, un dégoût extatique et un  ennui distrayant nous en rapprochent et nous éloignent. Cela tient aux réalités  ultimes d’être ambivalentes et équivoques. Être  avec la vérité contre elle n’est pas une formule paradoxale, parce  quiconque comprend ses risques et ses révélations, ne peut pas ne pas aimer et  haïr la vérité. Qui croit en la vérité est naïf ; qui n’y crois pas est  stupide. La seule bonne route passe sur le fil du rasoir. » IDEM, Le  livre des leurres, Œuvres, p.  255-256. 
        [19] Infatti, è il titolo di uno dei saggi che  compongono la sua pubblicistica da gioventù, contenuto nel volume di Singurâtate şi destin (Humanitas, 1991),  tradotto in francese come Solitude et  destin (Gallimard, 2004): “Voinţa de a crede”, “La volonté de croire”. Ciò  che, secondo Integlia, suscita una complicità oppure un’affinità, in materia di  filosofia della religione, tra Cioran, William James e Miguel de Unamuno:  quello che conta è la volontà di credere, persino mentre la ragione dubita e  nega.  
        [20] Il sito web ufficiale di Marie-Dominique  Molinié:  https://pere-molinie.com/index_fr.php >. Ultima consultazione: 29 settembre 2019. 
        [21] Corrispondenza epistolare tra Cioran e il  padre Marie-Dominique Molinié è disponibile in: <http://pere-molinie.com/index_fr.php?nid=17&dnld=3&rid3=66 . Ultima consultazione: 29 settembre 2019. 
        [22] «Che peccato che, per arrivare a Dio, si debba passare  attraverso la fede!» « Quel dommage  que, pour aller à Dieu, il faille passer par la foi ! » CIORAN, E.M., Syllogismes  de l’amertume, Œuvres, p. 783. 
        [23] “At no point in Cioran’s entire oeuvre can we glimpse any hope of  creation’s ultimate redemption. The only possible redemption is lucidity: [...]  We can imagine that Cioran must have felt a positive sense of intellectual  confirmation when he studied the heresy of the Cathars and learned that some of  them considered this world to already be Hell, that we have already been judged  in it and that there will be no further judgment that assigns us to Hell or  Heaven.” INTEGLIA, Mirko, Op. cit., p. 169. 
        [24] «Soltanto l'impurità è segno di realtà. E se  i santi non sono del tutto privi di interesse, è perché la loro sublimità si  mescola al romanzo e la loro eternità si presa alla biografia; le loro vite  rivelano che essi hanno lasciato il mondo per un genere che di tanto in tanto  può attirarci...» « L’impureté  seule est signe de réalité. Et si les saints ne sont pas complètement dénués  d'intérêt, c'est que leur sublime se mêle au roman et que leur éternité se  prête à la biographie ; leurs vies indiquent qu'ils ont quitté le monde pour un  genre susceptible de nous captiver de temps en temps... » CIORAN, E.M., Précis de décomposition, Œuvres,  p. 598. 
        [25] Un termine correlato sarebbe «purismo»,  concepito qui in un senso ontologico: la purità, o impurità, dell’essere. Al  meno nel contesto dei suoi scritti rumeni, notevolmente in Cartea amăgirilor (1936), in cui troviamo l’espressione di  un angelismo patente: « Cette nostalgie d’un monde plus pur, aux vastes  cieux ouverts et aux harmonies inconnues, ne vous oppresse-t-elle pas de  tendres voluptés ? […]  Frères, n’entendez-vous pas l’appel de la sérénité, et son immensité plus  chaude et plus douce ? N’êtes-vous pas saisis par la nostalgie des  lointains, vastes comme vos douleurs ? Ne pouvez-vous donc pas trouver par  le désir de pureté, un lit à votre trop-plein pour qu’il s’y  déverse ? » CIORAN, Emil, Le  livres des leurres, Œuvres, p.  161-162. 
        [26] ACQUISTO, Joseph, The Fall Out of Redemption. Writing and Thinking Beyond Salvation in  Baudelaire, Cioran, Fondane, Agamben, and Nancy. NewYork/London:  Bloomsbury, 2015, p. 5.             
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