In dialogo con Mirko Integlia su «Tormented by God: The Mystical Nihilism of Emil Cioran»

È stato pubblicato da poco un nuovo libro su Cioran, uno importantissimo, a giudicare dal tema e dall’approccio: Tormented by God: The Mystical Nihilism of Emil Cioran (Libreria Editrice Vaticana, 2019), scritto dal filosofo e teologo Mirko Integlia. Un’approfondita analisi storico-ermeneutica di questo che l’esegeta concepisce come il «nichilismo mistico» di uno scettico «tormentato da Dio».
L’intervista è divisa in tre parti. Nella prima la conversazione ruota intorno a temi quali il contesto culturale di formazione del pensiero del giovane Cioran; l’irrazionalismo della generazione degli intellettuali romeni del ’27, a cui apparteneva Cioran, come reazione vitalista contro il moderno razionalismo  di un Occidente squallido (in ispecie il cogito di Cartesio, fondatore della presunta autosufficienza soggettiva della Modernità filosofica, tempus novum dell’immanenza, segnato dalla perdita di ogni trascendenza); l’ideologia del Trăirism promossa da Nae Ionescu e la sua importanza per capire le radici storiche del nichilismo mistico di Cioran; le affinità e divergenze tra Cioran e i suoi contemporanei romeni (principalmente M. Eliade e Nae Ionescu); la singolarità radicale di Cioran come un filosofo-artista, tra gli altri. Buona lettura!

Nato nel 1975, Mirko Integlia ha insegnato Teologia presso la Pontificia Università Lateranense di Roma dal 2011 al 2018. Attualmente vive a Sydney dove è Visiting Scholar presso l’Australian Catholic University. È laureato in Teologia presso la Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale di Napoli, in Scienze dell’Educazione presso l’Università «Suor Orsola Benincasa» di Napoli, e in Filosofia presso l’Università di Roma Tor Vergata. Ha conseguito la Licenza in Teologia e il Dottorato in Filosofia presso la Pontificia Università Salesiana di Roma. Oltre al suo libro su Cioran appena pubblicato, è l’autore di Filosofie e narrazioni dell’assurdo (Mimesis, 2017) e di Fede e sentimento tragico della vita. Miguel de Unamuno e il dramma della modernità (LEV, 2018). Ha curato con Francesco Alfieri il volume L’Università oggi e le sue sfide (Morcelliana, 2015).


Rodrigo Menezes: Egregio signor Integlia, innanzitutto vorrei ringraziarla per la gentilezza e la generosità di concederci questa intervista. Lei ha appena pubblicato un libro il cui titolo permette di notare il suo interesse per una tematica (purtroppo) molto poco esplorata dagli esegeti di Cioran: si tratta del rapporto tra mistica, religione e nichilismo moderno nel pensiero del filosofo nato nei Carpazi. Soprattutto il binomio mistica-religione tende a essere sottostimato come un dato occasionale, fortuito, che appartiene alla gioventù di Cioran, essendo inattuale e irrilevante nel contesto della vita e dell’opera francese dell’autore romeno. Si potrebbe persino riconoscere la presenza di certo nichilismo in Cioran, un autore polivalente che è di solito interpretato come uno Scettico tout court o, a volte anche, un filosofo pessimista come Schopenhauer; però, che il suo pensiero sia mistico e religioso (a modo suo, eterodosso, singolare, disilluso, «luciferino» [1]), questo mai.
A eccezione di alcuni casi qua e là nel corso della (incipiente) tradizione degli studi cioraniani (penso a nomi come Sylvie Jaudeau [2] e Patrice Bollon [3]), lei è una delle poche persone ad aver capito, e la prima a costruirci intorno tutto un libro, la portata mistico-religiosa del pensiero di Cioran. Come scrive alla fine della sua introduzione, un tentativo senza precedenti è stato fatto da lei per «spiegare gli aspetti mistici e religiosi del pensiero di Cioran, un aspetto che è stato ampiamente ignorato negli studi attuali, soprattutto in italiano e inglese.» (p. 22-23). Non direi in italiano (e d’ora in poi nemmeno in inglese), poiché, come lei stesso evidenzia, tutto un convegno sulla religiosità atea [4] di Cioran si è svolto in Italia (dal 15 al 16 novembre 2017), alla Pontificia Facoltà dell’Italia Meridionale di Napoli. In francese, lingua che Cioran ha adottato, mi sembra più difficile trovare studi sugli aspetti mistici e religiosi del suo pensiero (salvo alcune eccezione, come Jaudeau e Bollon, tra gli altri). Forse c’è un pregiudizio «illuminato» (di eredità illuminista) contro tutto quanto riguarda la rubrica «religione» (in questo caso, il cristianesimo), in modo che l’ateismo diventa una nuova fede, la fede moderna per eccellenza.
Cioran scrive nei Quaderni (p. 312): «Non ho mai avuto una religione (nel senso etimologico) perché non sono mai stato legato a niente. Ho avuto solo la nostalgia della religione, il sospiro religioso.» Nel suo libro afferma che «tutta la filosofia di Cioran è di natura religiosa, nel senso etimologico di re-ligàre, “legare insieme”: Cioran da un lato, l’Essere Supremo dall’altro, e tra loro un incessante pianto, un richiamo della valle di lacrime del Libro di Giobbe, oppure le maledizioni del ladrone crocifisso al lato di Gesù di Nazareth.» (p. 16)
Detto questo, vorrei fare due domande. La prima è: come riesce a bilanciare, a conciliare ermeneuticamente, in Cioran, tendenze antitetiche quali il desiderio oppure il bisogno dell’assoluto e l’ateismo, la religiosità e l’irreligiosità, il pathos mistico e lo scetticismo, l’ortodossia e l’eterodossia, il bisogno di redenzione e la «voluttà del disastro» [5]? Come concepisce questa terribile (deinós, unheimlich) ambivalenza in Cioran? E la seconda domanda è: perché è così difficile capire la dimensione mistico-religiosa del pensiero di Cioran? Non è evidente? Oppure dobbiamo ammettere che lui stesso contribuisce a questa difficoltà? Se, da un lato, ci indica che nella sua opera riscontriamo un’intera dimensione mistico-religiosa profonda, dall’altro ci fa riflettere nel senso opposto. Gli piace suscitare malintesi, moltiplicare gli equivoci, «i giudizi ingegnosi, però infondati» (lettera a Gabriel Liiceanu, 28 giugno 1983). [6] Perché è così difficile capire che il mistico-religioso è la cosa più importante [7], ciò che conta veramente, o, nelle parole di Cioran, l’Essenziale [8]– al di là dell’esistenziale e dello storico?

Mirko Integlia:
Lei pone due questioni essenziali. Per quanto riguarda la prima, c’è un bel libro sull’Apocalissi di Giovanni scritto tempo fa da Alberto Asor Rosa, Fuori dall’Occidente ovvero ragionamento sull’Apocalissi (1992), in cui il noto saggista italiano sostiene che la più grande conquista di pensiero del nichilismo occidentale è l’aver capito che l’umanità viene dal nulla e che non va in nessun luogo, rivelandociò che le altre religioni ed altre esperienze storiche tendono tuttora a nascondere e a nascondersi. Ma questa «conquista» non chiude il discorso; semmai, azzerando tutto l’inessenziale di una lunga tradizione filosofica, ci riporta alla dimensione dell’originario, che è tipica del religioso. Dunque, alla fine del percorso, anche un ateo può ritrovarsi davanti a non un niente insignificante, ma a un nulla carico di senso, un nulla «religioso» che lo spinge nuovamente a interrogarsi in un modo che rende quelle ambivalenze a cui lei accenna nella domanda, solamente apparenti, perché queste contraddizioni sono radicate nell’esistenza e non riguardano presunti limiti del singolo autore.  In merito al secondo quesito, non è così difficile capire il misticismo religioso di Cioran, il problema è considerarlo il corso principale della sua riflessione, senza lasciarsi distrarre nell’analisi testuale (questo il limite di molta parte della saggistica sull’Autore), da temi minori che come tanti «affluenti» si originano da un pensiero aforistico e anti-sistematico per scelta deliberata. A volte ho l’impressione che l’opera di Cioran venga interpretata come una sorta di bazar, dove ognuno prende un po’ di quello che vuole, compresi gli aspetti mistico-religiosi che en passant sono presenti in diversi contributi critici. Al contrario, io sostengo che sia più che mai necessario inaugurare un filone di studi sistematico e non occasionale su questa dimensione.
Il mio criterio ermeneutico di Cioran è ben espresso dal titolo: siamo in presenza di un uomo «tormentato» dal problema religioso della salvezza (sempre risolto in maniera ambivalente, come lei giustamente sottolinea, e mai definitiva). Un aspetto trascurato per pregiudizio – la ringrazio per questa acuta precisazione – e forse anche per una scarsa conoscenza di Cioran: come sia possibile pensare il contrario dopo aver letto i suoi testi, mi risulta davvero difficile da comprendere!

R.M.:
Uno dei principali meriti del suo studio, a mio avviso, è lo sforzo di contestualizzare, ciò che lei fa su due livelli, uno più generale e l’altro più particolare, l’uno subordinato all’altro: in primo luogo, nell’ambito della storia della filosofia europea moderna, e poi nel contesto particolare della cultura romena della prima metà del XX secolo (più precisamente i turbolenti anni ’30, segnati da guerre, in cui si trova la genesi o, come lei stesso dice, la «culla» [the cradle] del pensiero di Cioran). Il primo capitolo del suo libro – «L’educazione di Emil Cioran nel contesto della Filosofia europea e romena» – inizia così:
Sarebbe difficile capire pienamente l’esistenzialismo di Cioran e la sua visione nichilista del mondo senza prima analizzare il suo posto nel più ampio panorama del pensiero filosofico europeo. La «perdita di significato» [loss of meaning] è il segno distintivo del pensiero occidentale moderno, radicato nel processo secolare, a partire da Cartesio, in cui è stata demolita la metafisica classica: la solitudine dell’io [the solitude of the self] che, avendo scelto la ragione come unica guida, scopre che la ragione da solo è incapace di generare valori, discende direttamente dal cogito ergo sum, che ha osato abbandonare la trascendenza assoluta e ha elevato la soggettività a principio auto-generatore. (p. 25)
Sono stati fatti diversi tentativi per rintracciare storicamente l’origine del nichilismo moderno, ciò che Nietzsche ha diagnosticato e problematizzato esaustivamente, e così bene, con la arguzia di un grande psicologo (nel senso filosofico del termine). Lei identifica (giustamente, credo io) un orientamento nichilista (negativo, distruttivo) nel pensiero mistico-religioso di Cioran e cerca le radici storiche di questo nichilismo. Ci sono molti contesti, molti livelli ermeneutici, molti gradi di mediazione tra l’oggetto (in questo caso, Cioran, autore romeno di espressione francese) e l’ermeneuta, il soggetto della conoscenza oppure dell’interpretazione. Secondo lei, i semi del binomio ateismo-nichilismo – che diventerà, a partire dal XIX secolo, il sintomo generalizzato di tutta una civiltà [9] – si trovano già nel cogito ergo sum di Cartesio, noto fondatore della razionalità e della soggettività moderne. Connor Cunningham (del gruppo inglese Radical Orthodoxy [10]) rintraccia le origini del nichilismo nella filosofia e nella teologia medievale (soprattutto nel contesto della quaestio de universalibus, ossia della «disputa sugli universali») e, quindi, molto prima di Cartesio. Secondo il filosofo inglese, sarebbe già presente in autori quali Avicenna, Duns Scoto e Guglielmo di Ockham la logica nichilista (oppure «meontologica») del nulla inteso come qualcosa. [11]
Essendo identificati da lei come i semi dell’ateismo e del nichilismo moderni, il cogito cartesiano sarebbe anche un bersaglio privilegiato, per così dire, il limite storico-filosofico dell’oggetto della reazione – caratteristica dell’intellettualità romena della generazione di Cioran – al razionalismo occidentale e le sue concrezioni sociopolitiche (democrazia, parlamentarismo, liberalismo, capitalismo). Secondo lei, l’esistenzialismo, l’irrazionalismo filosofico e il nichilismo estremista dei giovani romeni della generazione del ’27 (da cui è sorta la filosofia, oppure l’ideologia del trăirism, promossa dal professore antisemita Nae Ionescu), tutto questo sarebbe (al di là di Cioran) una reazione intellettuale di tipo vitalista ed «esperienzalista» [12], di forte ispirazione tedesca, in opposizione al razionalismo percepito nella cultura francese (da Cartesio ai philosophes, Voltaire in testa), vista dagli intellettuali della generazione di Cioran come un segno di decadenza culturale e spirituale.
Uscendo dal contesto verso il testo, non troveremo, negli scritti di Cioran, romeni o francese, quasi nessun riferimento a Cartesio. [13] Il Nostro sembra, in certo senso, indifferente, disinteressato a Cartesio, sebbene si senta legato al contemporaneo e antipode del filosofo del cogito: Pascal. Ciò che troviamo nel caso di Cioran è un malumore nei confronti di Kant e di Hegel, o anche di Aristotele e Tommaso d’Aquino (le cui filosofie sarebbero «asservitrici dello spirito» [14]), ma non specialmente di Cartesio. Quest’attitudine critica, antagonistica dei razionalismi da Aristotele a Hegel (compreso Cartesio) è già presente in Kierkegaard, Dostoevskij e Šestov (lettore di Kierkegaard e Dostoevskij, e anche di Nietzsche).
Detto questo, vorrei chiedere: qual è stato il suo percorso, i presupposti da cui ha definito la metodologia e la struttura ermeneutica di Tormented by God? Lei sottolinea il deficit degli studi sulla dimensione mistico-religiosa di Cioran ma, al contempo, non si trova nessun riferimento all’articolo di Gianfranco Ravasi [15], la cui assenza ha attirato la mia attenzione. Perché la biografia di Ilinca Zarifopol-Johnston, e non quella di Patrice Bollon oppure quella di Gabriel Liiceanu? Sul piano ermeneutico-filosofico della modernità, Heidegger è un riferimento centrale, direi anche matriciale nella sua analisi contestuale del pensiero di Cioran, ma è un filosofo rispetto al quale il pensatore romeno non ha smesso di dichiarare, parecchie volte, la sua delusione («mi sembrava che volessero confondermi con parole», ricorda nell’intervista con Sylvie Jaudeau). L’asse, oppure il «centro gravitazionale» della filosofia moderna, per così dire, sembra slegato da Nietzsche (a mio avviso, il vero «centro gravitazionale», oppure la sua assenza, il «buco nero» o «l’abisso filosofico» della modernità) a Heidegger, lettore di Nietzsche. Cosa c’è in Heidegger che non c’è in Nietzsche? Forse il ricorso a una trascendenza, all’Essere – da cui l’ontoteologia di Heidegger? Inoltre, per quanto riguarda il pensiero mistico-religioso di Cioran e le sue influenze filosofiche, mi è mancato un dialogo con Kierkegaard e ancora più con Šestov. Se, ancora giovane, «svegliato», come lui stesso dichiara, dall’insonnia – volta le spalle a Heidegger, questo rifiuto non è coestensivo a Kierkegaard, ancor meno a Šestov. Non sono filosofi importanti per quanto riguarda la formazione intellettuale del giovane Cioran, e soprattutto per capire l’aspetto mistico-religioso del suo pensiero?

M.I.:
Noi siamo abituati a pensare, forse in maniera troppo didascalica, a ciò che è detto in un libro come a una sorta di elenco di temi o nomi, dalla cui frequenza dipende, in maniera quasi obbligata, la spiegazione. Non ho mai creduto in questo tipo di approccio, in quanto così si trasforma un testo in un’indagine statistica, mentre, in realtà, molte volte, le assenze contano più delle presenze. Questo per dire che ci sia o no un riferimento diretto a Cartesio in Cioran, a mio parere, ha un’importanza non rilevante,  soprattutto per una ragione di natura sostanziale, che è più volte sottolineata nel mio libro e che qui voglio sinteticamente ripetere: la «perdita di senso» è infatti un tratto distintivo del pensiero occidentale in epoca moderna e affonda le sue radici in un processo plurisecolare di demolizione della metafisica classica che trova proprio in Cartesio il suo punto d’avvio.  Non a caso, nella parte dedicata a Nae Ionescu e Mircea Eliade come figure di spicco nella formazione del giovane Cioran, prendendo spunto dal testo fondamentale di Emanuela Costantini, si parla dell’importanza nel contesto filosofico europeo e rumeno relativamente alla messa in discussione di Cartesio, Kant, Hegel, finiti sotto accusa per aver preteso di ridurre la realtà e la storia alla ragione. Come dimenticare, poi, che Eliade si era spinto ancora più indietro nella critica alla ratio, fino al Rinascimento, individuando una contrapposizione tra un filone di intellettuali religiosi da una parte e uno di tipo razionale dall’altra. Sono passaggi imprescindibili se si vuole capire in termini storici, culturali e filosofici, il laboratorio in cui è nato il nichilismo religioso di Cioran; altrimenti l’unico nulla di cui si potrebbe discutere con cognizione di causa sarebbe quello da dove sorgono come per magia le principali idee di Cioran. Come, del resto, imprescindibili sono i riferimenti a Heidegger, quando si affrontano temi quali il percorso della metafisica occidentale, il nulla o i sentimenti costitutivi dell’esserci in termini esistenziali (angoscia, insonnia, nausea). Sono strumenti critici indispensabili, al di là dell’opinione più o meno positiva che può avere avuto Cioran su alcuni autori. C’è un Kierkegaard profondamente hegeliano, nonostante il sarcasmo contro Hegel del pensatore danese...

R.M.:
Un altro merito del suo lavoro è quello di analizzare il Trăirism e chiarire la sua influenza sul giovane Cioran, studente di filosofia affascinato dal carismatico maestro Nae Ionescu, l’unico professore di cui diceva che valeva la pena andare all’università. Cosa è il trăirism? Come incide sul pensiero di Cioran? E perché è importante per capire la dimensione mistico-religiosa del suo pensiero? Allo stesso tempo, dato che c’è in Cioran una tendenza o volontà di singolarità radicale, come individuare ciò che gli appartiene, ciò che è Cioran, o più precisamente: in che misura il Trăirism spiega Cioran? La ragione della mia domanda è una certa preoccupazione intuitiva per individuare ciò che pensa (e crede, o non crede) Cioran, da ciò che pensa (e crede) Nae Ionescu (o Mircea Eliade). Ad esempio, la questione dell’antisemitismo, che, nel caso di Cioran, è tutto tranne che evidente, un fatto, un dato oggettivo incontestabile. Compresso in Schimbarea la faţă a României (1936), ci sono passaggi da cui trapela tutta un’altra visione (come, ad esempio, quando scrive che se tutti gli ebrei scomparissero dalla Romania, i problemi dei romeni comunque non sarebbero risolti).

M.I.:
Le spinte di carattere irrazionalistico approdano quasi sempre sulle stesse identiche rive: un vitalismo esasperato basato sul primato dell’esperienza oppure l’esaltazione di un’interiorità che, contrapposta alla fredda ragione, può avere, e molto spesso ha, un esito di natura religiosa. Questo lo ritroviamo, dunque, anche in Nae Ionescu, che alla ragione opponeva il Trairismo, da trăire, che vuol dire “esperienza”: un movimento di orientamento irrazionalistico, come fu anche il Gândirismo, con la sua rivista Gândirea (il Pensiero), diretta da Nichifor Crainic (il primo numero fu pubblicato il 1° maggio 1921 a Cluj in Transilvania), di cui sia Nae Ionescu sia Cioran furono collaboratori. Devo rimarcare che, anche in questo caso, nella mia personale ricostruzione del contesto storico, culturale e filosofico della Romania interbellica, Cioran non è per nulla presentato come un semplice e diligente discepolo, influenzato dal fascino oratorio del suo professore di filosofia. Questo è un passaggio molto chiaro del mio libro, tant’è vero che per quanto riguarda le dodici lettere a Bucur Ţincu, al di là della ricostruzione delle indubbie influenze, io parlo di una “tendenza eretica” del pensatore transilvano, il quale opera delle nette differenziazioni rispetto alla riflessione coeva, dunque rispetto a Ionescu ed Eliade. Su due punti in particolar modo: in primo luogo, lo spirito religioso come alternativa alla decadenza della logica matematico-scientifica e le comunità spirituali che devono fondare il nuovo Stato nazionale rumeno, sono elementi praticamente assenti in Cioran; in secondo luogo, l’interiorità ha un carattere inquieto e problematico e non può costituire un sentiero alternativo al modello cartesiano. La stessa spinosa questione dell’antisemitismo si colloca all’interno di precise differenze ideologiche tra Cioran, Ionescu ed Eliade. Il contesto serve a chiarire l’esistenza di un punto di partenza comune. 

R.M.:
Nel capitolo sul «debutto disperato» di Cioran, ossia, su Al culmine della disperazione (1934), lei dice che «la forte percezione della propria singolarità e originalità, la convinzione nella propria unicità che lo ha portato a dissociarsi e a ritirarsi in un isolamento da cui poteva osservare la realtà che lo circondava da un punto di vista privilegiato, uno che era originale e non-conformista.» (p. 56) Lei sottolinea la visione pessimista e disillusa del mondo che emana dal libro di debutto di Cioran e che contraddistinguerà tutto il suo pensiero, «in cui il riconoscimento del fallimento del razionalismo, nonostante non compensato da alcuna fede alternativa, finisce paradossalmente a fare del «nulla» l’unico fondamento della realtà. Il nichilismo di Cioran, disperato e sofferente, segna la sua distanza dai compagni romeni, rendendolo un precursore dell’esistenzialismo francese.» (p. 53)
L’irrazionalismo in questione non sarebbe un’esperienza-limite e ambivalente della Modernità (dato che la negazione irrazionalista del razionalismo non può esser separata dall’esperimento con le potenze meontologiche della ragione), in modo che Cioran apparirebbe come una sorta di varietà balcanica del Poeta della Modernità per antonomasia – Charles Baudelaire? Vedo tra Cioran e Baudelaire molte «affinità elettive» (Weber), molte somiglianze in termini di psicologia del creatore. Così come c’è una lirica baudelairiana, c’è una lirica cioraniana (in lingua romena), e tutti e due possiedono una funzione critica della Modernità. C’è nei due un doppio programma, una doppia missione, una doppia traccia discorsiva, cioè, l’aspetto poetico-critico e l’aspetto critico-distruttivo. Vorrei sottolineare l’ambivalenza fondamentale del pensiero di Cioran, in vista dell’accusa, spesso fatta, contro di lui, d’irrazionalismo… Penso che ogni accusa di irrazionalismo parte da una istanza più o meno razionalista, così come – per fare un’analogia politico-ideologica, basandomi sulla realtà brasiliana attuale – ogni accusa di “comunismo” e “sinistrismo” parte da una estrema destra per cui tutto ciò che non si coincide con essa, l’estrema destra, è automaticamente visto come «comunismo», «sinistrismo», ecc.. Cioran non mi sembra più «irrazionalista», «nichilista» di un Baudelaire (o di un Pessoa, oppure di un Nietzsche). Penso che non si tratta semplicemente d’irrazionalismo, ma piuttosto di una esperienza essenziale della Modernità e della soggettività moderna, di una esperienza spirituale e poetica radicale la cui radicalità coincide con quella dell’esperienza interiore di Georges Bataille. L’esperienza della Modernità in Cioran non è fondamentalmente filosofica, etico-politica, non vuole essere «edificante» [16]; è piuttosto poetica, più precisamente lirico-filosofica, in ogni caso, essenziale e radicale, nel senso di andare «fino alla nulla radice» [17] (irrazionale) dell’esistenza.
Inoltre, la logica di Cioran deve essere cercata nell’opera di Stéphane Lupasco, filosofo romeno e amico di Cioran che ha sviluppato una logica non-aristotelica, una sorta di logica del terzo incluso (tertium datur), distinta dalla logica aristotelica del tertium non datur. Da qui, ancora una volta, l’ambivalenza (e la dualità) fondamentale del logos cioraniano. Simona Modreanu, una importante esegeta di Cioran e studiosa della presenza paradossale di Dio negli scritti del filosofo nato a Rășinari, dice che mentre Nietzsche si riferisce alla problematica del nichilismo (e dell’irrazionalismo) moderno per adiaphora, ossia da un logos dell’indifferente, della non-differenza ( buono, cattivo, moralmente parlando), Cioran sembra inavvicinabile oltre che per una prospettiva diaforica, della diaphora: per lui, l’esistenza, così come il tutto, può (e infatti è) buona e cattiva allo stesso tempo, senza perdere mai la tensione degli opposti. «È un punto nevralgico di tutta la posizione filosofica di Cioran, molto rivelatore della sua tonalità singolare, che lo fa evolvere dal nichilismo engagé di Al culmine della disperazione verso una postura di spettatore discretamente divertito dal suo proprio nonsenso, e curioso del ridicolo del nonsenso universale.» [18]
Cioran è filosofo, per formazione e per vocazione, ma anche molto più di un filosofo, così come «Nietzsche è molto più di un filosofo» (Cartea amagirilor). Cioran possiede un’anima da artista, lo spirito di un filosofo-poeta. Non è un filosofo-professore, un filosofo-educatore. Il suo «progetto» creativo non solo accoglieil nichilismo, ma lo richiede pure, lo vede e lo sente come necessario, una questione di probità intellettuale: gli scrupoli del Nichilista… Infine, quest’ambivalenza e questa dualità tra negazione e affermazione, critica e creazione, la troveremo dappertutto nell’opera di Cioran: per quanto riguarda il suo pensiero – sempre ambivalente, sostenitore del pro e del contro, indeciso tra l’uno e l’altro – Dio [19[e il Diavolo, il Sole [20], la vita e la morte [21], l’Essere e il Nulla, l’uomo [22] e il mondo [23], la storia e l’eternità [24], infine, tutto [25]. È proprio quest’ambivalenza a «salvare» Cioran, per così dire, ed è proprio ciò che ci impedisce di ridurlo a un semplice irrazionalismo, a un nichilismo inequivoco, ridotto al reazionarismo: Come interpreta la funzione dell’ambivalenza nell’economia del pensiero di Cioran, in relazione alla sua rivendicata lucidità, ma soprattutto per quanto riguarda il suo irrazionalismo e anche il nichilismo che sarebbe nel cuore della sua opera?

M.I.:
Sull’irrazionalismo, voglio mantenere un punto fermo, che del resto è al centro della prima parte di Tormented by God, una sorta di approfondimento ulteriore del mio precedente libro Filosofie e narrazioni dell’assurdo, in cui già affrontavo il problema dell’esistenza e dello sviluppo di questo tema in Cioran, attraverso un confronto più generale con Jean Paul Sartre e Albert Camus. Un raffronto che in questo secondo contributo si è sviluppato in maniera più specifica, perché ho concentrato la mia attenzione su Al culmine della disperazione, avendo ritenuto questo testo, anche per ragioni di natura cronologica, decisivo per comprendere le affinità di Cioran con i due scrittori e filosofi francesi. La mia ricerca ha voluto esaminare un aspetto particolare della definizione di irrazionalismo, quello con cui si indica l’incapacità della ragione umana di spiegare una realtà (individuale o mondana) assurda, che è poi quello che sostiene Camus nel Mito di Sisifo, cioè il cosiddetto existential nihilism, secondo la definizione che Donald A. Crosby dà nel suo libro The Specter of the Absurd: «Existential nihilist judges human existence to be pointless and absurd». Da questa angolazione, ciò che intende Cioran per irrazionalismo è declinato in maniera piuttosto chiara in Al culmine, che è una sorta di precoce esposizione di questa specie di personale meontologia: l’esistenza è insensata e irrazionale, al punto che Cioran suggerisce all’uomo di non essere più un «animale razionale» per diventare un essere completamente assurdo.



Intervista realizzata da Rodrigo Inácio R. Sá Menezes
(n. 12, dicembre 2019, anno IX)



NOTE

1. Prendo in prestito questa categoria dal filosofo romeno Lucian Blaga, che, nella sua Trilogia cunoaşterii [Trilogia della conoscenza], pubblicata nel 1943, fa una distinzione tra conoscenza «paradisiaca» e conoscenza «luciferina», la prima è quella di tipo scientifico e oggettivo, in cui il soggetto si identifica razionalmente con l’oggetto (diciamo, «l’Essere») in modo artificiale, cioè, concettuale e astratto, mentre la seconda corrisponde a una conoscenza (tragica) della e nella crisi, in cui il soggetto sente la nostalgia di un’unità perduta, fuori portata, senza poter identificarsi, riunirsi con l’oggetto (l’essere assoluto, Dio), per quanto lo voglia. I principi «paradisiaco» e «luciferino» della conoscenza umana sono complementari, si comunicano e si compenetrano nel fondo indeterminato di entrambi (contro ogni prospettiva di purezza, contro ogni angelismo): la conoscenza «paradisiaca» (provvisoria, insicura, assillata dai dubbi, dal principio di incertezza) non potrebbe esserlo in modo perfetto, assolutamente tale, proprio come quella «luciferina» (sempre nostalgica, lamentosa, sognatrice).
2. A mio avviso, uno degli esegeti più sensibili alla problematica mistico-religiosa, tra la lucidità come consapevolezza del male e del nulla e il bisogno di salvezza (salut in francese), o piuttosto di redenzione (Erlösung in tedesco, come il titolo della magna opus di Philipp Mainländer), di liberazione (délivrance in francese), quest’ultimo molto utilizzato da Cioran, più frequentemente del primo, salut («salvezza»), troppo legato alla fede cristiana. Jaudeau mi sembra l’esegeta che ha esplorato più al fondo, nel suo Cioran ou le dernier homme (Paris, José Corti, 1990), la (tormentata) dimensione mistico-religiosa di Cioran, la sua ossessione del male e la sua lucidità «luciferina», disperata di una salvezza impossibile, fuori portata. Da qui la definizione del tragico fornita da Vladimir Jankélévitch: l’alleanza tra il necessario e l’impossibile.
3. Specialmente uno dei capitoli della sua biografia critica: «Un mystique sans absolu» (in larga misura ispirato allo studio di Jaudeau).
4. «Dio e il Nulla. La religiosità atea di Emil Cioran». Convegno internazionale di studi a Napoli. In: Orizzonti Culturali Italo-Romeni, novembre 2017, anno VII. Disponibile in: <http://www.orizzonticulturali.it/it_studi_Biblioteca-Cioran-Convegno-Napoli-2017.html>. Cito inoltre almeno tre tesi di laurea italiane dove troviamo un interesse speciale per i problemi religiosi e mistici, compresso il rapporto tra nichilismo moderno e gnosticismo antico: “Ogni parola è una parola di troppo”. La corsa verso il silenzio di E. M. Cioran, di Alessandro Seravalle (Università degli Studi di Trieste, 2004), Dio: un interlocutore indispensabile. Il concetto di Dio nel pensiero di Emil Cioran, di Ionuţ Marius Chelariu (Pontificio Atheneo S. Anselmi, 2017), ed Elementi gnostici nel pensiero di Guido Ceronetti, di Alessandro Lattuada (Università degli Studi di Catania, 2015). Quest’ultima non è una tesi su Cioran, però c’è tutto un capitolo dedicato all’analisi dello gnosticismo dell’amico romeno di Ceronetti. Disponibile in: <http://dspace.unict.it/bitstream/10761/3933/1/LTTLSN84E05C351C-Elementi%20gnostici%20nel%20pensiero%20di%20Guido%20Ceronetti.pdf>.
5. Titolo del libro del poeta e critico portoghese Ricardo Gil Soeiro. Cfr. Volúpia do desastre: notas soltas para Cioran (Labirinto, 2019).
6. In LIICEANU, Gabriel. Itinéraires d’une vie : E.M. Cioran. Suivi par « Les continents de l’insomnie » (entretien avec Cioran) et « La mort de Cioran ». Paris : Michalon, 1995.
7. Secondo Lev Šestov, seguendo Plotino (Enn. I, 3, V): το τιμιωτατου (to timiôtaton), le plus important.
8. Cfr. «Ossessione dell’Essenziale», nel Sommario di decomposizione, testo di forte ispirazione šestoviana e che risale ai suoi primi scritti, ad esempio Cartea amagirilor (in portoghese, O Livro das ilusões, «Il libro delle illusioni»].
9. È uno stato di cose veramente disorientante, e preoccupante, che altri autori (da Pascal a Camus) hanno già descritto, e che lei descrive attraverso espressioni quali «perdita di significato» (loss of meaning, da dove meaninglessness, «assenza di ogni significato»), «solitudine cosmica dell’io» (cosmic solitude of the self), «disorientamento metafisico dell’uomo (metaphysical disorientation of man), «disincanto del mondo» (disenchantment of the world, da Weber), la «oscurità dell’immanenza» (the darkness of immanence), tra gli altri.
10. Da cui un altro membro, John Milbank, ha scritto due libri con Slavoj Žižek su temi filosofici e religiosi che affrontano la problematica del nichilismo: La mostruosità di Cristo. Paradosso o dialettica? (Transeuropa, 2010) e San Paolo reloaded. Sul futuro del cristianesimo (Transeuropa, 2012).
11. CUNNINGHAM, Connor. Genealogy of Nihilism. London/New York: Routledge, 2002, p. XV.
12. Dal romeno trăire, «esperienza», da cui deriva la filosofia, oppure ideologia mistico-filosofica, di tendenza irrazionalista promossa da Nae Ionescu, una sorta di esistenzialismo radicale, preso dai filosofi tedeschi.
13. Una rara eccezione si trova nei Sillogismi dell’amarezza.
14. «Aristotele, Tommaso d’Aquino, Hegel – tre asservitori dello Spirito. La peggior forma di despotismo è il sistema, in Filosofia e in tutto.» (L’inconveniente d’essere nati)
15. RAVASI, Gianfranco. «Cioran, ateo credente che spiava Dio». In: Avvenire, 19 giugno 2015. Disponibile in: <https://www.avvenire.it/agora/pagine/cioran-ateo-credente-che-spiava-dio>.
16. Ad esempio, ecco un Cioran molto «baudelairiano», per così dire: «L'errore di coloro che colgono la decadenza è di voler combatterla, mentre bisognerebbe incoraggiarla: sviluppandosi, essa si esaurisce e permette l’avvento di altre forme. Il vero annunziatore non è colui che propone un sistema quando nessuno lo vuole, ma colui che precipita il Caos, ne è l'agente e il turiferario. È volgare strombazzare dogmi in epoche estenuate, quando ogni sogno di avvenire sembra delirio o impostura.» (Sommario di decomposizione)
17. «Discernere che ciò che siete non è voi, che ciò che avete non è vostro, non essere più complice di niente, nemmeno della propria vita – questo è vedere giusto, questo è scendere fino alla nulla radice del tutto.» (Il funesto demiurgo)
18. MODREANU, Simona. Le Dieu paradoxal de Cioran. Monaco : Éditions du Rocher, 2003, p. 21.
19. «Non è affatto facile parlare di Dio quando non si è né credenti né atei: ed è senza dubbio il dramma di noi tutti, teologi compresi, di non poter essere più né l’uno né l’altro.» (L’inconveniente di essere nati)
20. «Con così tanto cambiamento di atteggiamento verso il sole, non so più come trattarlo.» (Sillogismi dell’amarezza)
21. «Più invecchio, meno mi piace giocare ad Amleto. Non so più, per quanto riguarda la morte, che tipo di angoscia sentire.» (Sillogismi dell’amarezza)
22. «Ho lottato contro tutte le mie passioni, e ho cercato di restare ancora uno scrittore. Ma è quasi impossibile, visto che uno scrittore è tale soltanto in quanto sa salvaguardare e coltivare le sue passioni, in quanto sa eccitarle ed esagerarle. Si scrive con le proprie impurità, con i propri conflitti non risolti, i propri difetti, i propri risentimenti, i propri resti... adamitici. Si è scrittori soltanto perché non si è vinto il vecchio uomo; anzi no, lo scrittore è il trionfo del vecchio uomo, delle antiche tare dell’umanità; è l’uomo prima della Redenzione. In effetti per lo scrittore non c’è mai stato un Redentore, o se c’è stato la sua azione redentrice non ha avuto successo. Lo scrittore è contento della colpa di Adamo, e prospera solo in quanto ognuno di noi la rinnova e la assume in proprio. E l’umanità essenzialmente corrotta a costituire la materia di ogni opera. Non si crea se non a partire dalla Caduta.» (Quaderni, p. 641)
23. «Non sono un pessimista, amo questo mondo orribile.» (Quaderni, p. 262)
24. La Storia, nella visione di Cioran, è «un gran fiume del peccato originale», però anche un’avventura fantastica: «Come qualcuno che abbandona il luogo originale, l’uomo era nato per vivere con gli animali… e si è lanciato verso un’avventura che non è naturale, ma è davvero strana, in modo che l’uomo non possiede già un luogo definitivamente fisso. Però questa avventura dell’uomo è anormale, e si ritorce contro di lui. L’uomo, che è, nonostante tutto, un animale geniale, possiede il destino del tipo che si è lanciato verso qualcosa di fantastico, ma che paga le conseguenze che ne derivano, poiché è troppo eccezionale perché finisca bene. Segue una strada che deve portarlo alla rovina… Questo non è pessimismo. Non ho mais affermato la nullità dell’uomo. Soltanto che, a mio avviso, l’uomo ha seguito un brutto cammino e non poteva smettere di farlo.» (Entretiens)
25. Questo passaggio di Cartea Amagirilor (O Livro das ilusões, in portoghese) mi sembra rappresentativo di ciò che può essere concepito come la gnoseologia cioraniana (scettica? dogmatismo negativo? nichilismo? lucidità come principio d’incertezza per quanto riguarda l’Essenziale?): «Colui che ha troppo riflettuto sull’eternità, sulla morte, sulla vita, sul tempo e sulla sofferenza, non sono in grado di possedere un sentimento definito, una visione precisa e una convinzione determinata su tutte queste cose. Solo quelli che hanno pensato e sentito la morte per metà possono avere un sentimento definito della morte; non si può avere una visione accurata della sofferenza; ed è impossibile avere una convinzione determinata sulla vita. Quando ti sei unito a loro e sei stato improvvisamente o alternativamente eternità, morte, vita, tempo e sofferenza, è impossibile amarli senza odiarli. Rabbia ammirante, avversione estatica e noia seducente ti avvicinano sempre di più a loro. L’ambivalenza e l’ambiguità appartengono alle realtà ultime. Stare con la verità contro di essa non è una formula paradossale, perché chiunque capisca i suoi rischi e le sue rivelazioni non può smettersi di amare e allo stesso tempo odiare la verità. Chiunque creda alla verità è un ingenuo; chiunque non le creda è uno stupido. L’unica retta via passa attraverso il filo del rasoio.» (O Livro das ilusões, tradotto da José Thomaz Brum, 2014).