«Gramsci e le donne». In dialogo con Noemi Ghetti

Dimensione politica e vita privata, affetti familiari e relazioni sentimentali s’intrecciano nella vicenda umana di Antonio Gramsci, convinto, intimamente e spontaneamente, incrollabilmente certo della sostanziale uguaglianza di tutti gli esseri umani: bambini, proletari e donne incluse. Un’attenta ricostruzione del ruolo storico che Gramsci attribuisce alle donne negli ininterrotti processi di liberazione, nel libro di Noemi Ghetti dal titolo Gramsci e le donne. Gli affetti, gli amori, le idee (Donzelli Editore, 2020).

Noemi Ghetti è laureata in Storia greca all’Università di Padova ed ha compiuto studi filosofici all’Università di Firenze. Collabora con numerose riviste ed è autrice di trasposizioni di classici per ragazzi, di testi per reading e libretti per drammi musicali. Saggista, ha pubblicato L’ombra di Cavalcanti e Dante (2011) e Gramsci nel cieco carcere degli eretici (2014) per L’Asino d’oro, e La cartolina di Gramsci. A Mosca, tra politica e amori, 1922-1924 (2016) per Donzelli.
Pubblichiamo un'intervista a Noemi Ghetti realizzata da Giusy Capone.

Dimensione politica e vita privata, affetti familiari e relazioni sentimentali s’intrecciano nella vicenda umana di Antonio Gramsci. Guardando all’esperienza umana ed intellettuale, quale rilievo assume il rapporto tra Gramsci e le donne?

Questo mio terzo libro gramsciano è un punto di arrivo, sintesi e approfondimento di una lunga ricerca, attraverso la quale a poco a poco mi è accaduto di realizzare che il rapporto di Gramsci con le donne è fondamentale. Su di esso si incardina e progressivamente si sviluppa tutta la sua vicenda umana e politica: dalle origini sarde di bimbo, colpito dalla più tenera età da una penosa forma di tubercolosi ossea e cresciuto in una famiglia composta per la maggior parte di donne fino ai lunghi anni di carcere in cui ebbe per referente pressoché unico dei suoi rapporti con il mondo esterno la cognata Tatiana Schucht, sorella della moglie Giulia, la bellissima violinista  russa diplomata all’Accademia di Santa Cecilia, che Antonio conobbe a Mosca nel 1922 e dalla quale ebbe due figli.

L’interesse di Gramsci alla collocazione sottomessa delle donne si irrobustisce, trasversalmente alla prassi politica ed alla meditazione carceraria, nell’idea della essenzialità dell’elaborazione di una nuova identità femminile, profondamente affrancata da gioghi vetusti e da costrizioni culturali. Può ricostruire quale ruolo storico Gramsci attribuisce alle donne nei processi di liberazione?

Il libro ricostruisce passo passo il processo ininterrotto attraverso cui, a partire dai rapporti infantili, dalla coraggiosa madre Giuseppina Marcias alla sorella prediletta Teresa, attraverso il primo amore Pia Carena e le compagne di militanza politica torinese Camilla Ravera, Rita Montagnana, Teresa Noce, e poi le grandi protagoniste della rivoluzione come Rosa Luxemburg e Clara Zetkin, Inessa Armand e Aleksandra Kollontaj, per finire alle tre sorelle Schucht, con le quali fu coinvolto emotivamente in diverse fasi della sua breve vita, Antonio Gramsci sviluppò l’idea del tutto originale che senza una donna nuova non ci sarebbe mai stato l’«uomo nuovo» teorizzato dai socialisti.

Le donne furono le destinatarie privilegiate, le referenti inevitabili delle lettere di Gramsci dalle origini sarde al biennio rosso torinese, passando per la determinante esperienza russa del 1922-1923 e durante la detenzione. Donne nuove affinché ci sia l’«uomo nuovo» teorizzato dai rivoluzionari socialisti?

Nelle lettere, che sono in larghissima parte destinate a donne, negli articoli di giornale del periodo torinese, nei Quaderni del carcere si radicalizza il rifiuto spontaneo dell’immagine tradizionale della donna, casalinga e madre, custode del focolare domestico sia nel proletariato che nella borghesia, per una liberazione che non sia solo conquista della parità giuridica ed economica. Ma che sia anche, e questa la grande novità che rende Gramsci unico nel panorama degli intellettuali del suo tempo, realizzazione interiore di una nuova immagine e di una identità femminile profonda, di una nuova consapevolezza personale di sé e della propria parte, anche nell’esercizio della sessualità. Un’idea che lo induce a sviluppare le istanze di umanesimo presenti nel giovane Marx, all’epoca quasi sconosciuto, che lui traduceva in carcere. E allo stesso tempo a superare le posizioni del marxismo-leninismo, in larga parte fondate su un determinismo economico che ben presto aveva portato a rinnegare le conquiste femminili della rivoluzione d’ottobre, come la libertà di divorzio, di aborto e addirittura il libero amore, per risospingere le donne nel ruolo subalterno tradizionale, doppiamente proletarie anche dei proletari.

Gramsci per spontanea ed intima convinzione, ebbe l’incrollabile certezza della sostanziale uguaglianza di tutti gli esseri umani: bambini, proletari e donne incluse. Diversità nell’uguaglianza?

Sì, la filosofia greca ha identificato l’essere umano nel cittadino della pólis, maschio adulto della specie, escludendo i bambini, le donne, gli schiavi e i barbari. Secondo Platone, solo i bambini delle classi alte, a patto di essere sottoposti alla «paideia» di un filosofo adulto attraverso la pederastia, sarebbero diventati cittadini a pieno titolo. Del resto, nella sua teoria dell’amore Platone distingue l’Eros maschile o «celeste», che genera nuove idee, dall’Eros «materiale» con le donne, che genera bambini. Le religioni monoteiste e in particolare il cristianesimo hanno pesantemente ratificato l’inferiorità femminile, codificando l’immagine ideale asessuata della Madonna e delle sante. Il logos non ha mai pensato, per il principio di non contraddizione, che uguale e diverso potessero coesistere, l’antropologia della scissione tra corpo e anima, tra razionale e irrazionale ha sancito l’impossibilità di riconoscere la diversità nell’uguaglianza. Gramsci si distingue nettamente in questo per la certezza di un sentire che solo più avanti, nel 1972, troverà conferma nella teoria della nascita umana di Massimo Fagioli, che dà fondamento scientifico alla naturale uguaglianza di tutti gli esseri umani. Il pensatore sardo nei Quaderni del carcere rifiuta nettamente l’idea dogmatica dell’inconoscibilità e prefigura che le scienze psico-biologiche dimostreranno quell’uguaglianza che il pensiero religioso e quello razionale di fatto avevano sempre escluso. È quella trasformazione della teologia in una nuova antropologia che il filosofo Feuerbach aveva assegnato come compito alle generazioni future, su cui anche il pensiero marxiano aveva trovato il suo limite, cadendo nel determinismo economico di struttura-sovrastruttura.

Eugenia, Giulia e Tatiana Schucht: ci esemplifica il loro apporto nella riflessione di Gramsci?

Rispondere esemplificando a questa domanda mi sarebbe davvero impossibile: mi ci sono voluti tre libri per mettere a fuoco quanto, nel rapporto successivo con le tre sorelle, legate da complicatissimi rapporti familiari tra di loro, Gramsci abbia via via elaborato. Più che di apporto, parlerei di dinamiche di rapporto reciproche, in cui magari ci capiterebbe di realizzare quale sia stato l’apporto suo alla personalità di ciascuna. Perché la spontanea tendenza ad agire nella direzione di uno sviluppo della identità personale autonoma delle pur evolute Schucht, la generosità, la sincerità nell’esposizione di se stesso, l’onestà e l’intelligenza del sentire la realtà femminile rendono Antonio Gramsci una figura direi unica non solo di pensatore e politico, ma di uomo. 









Intervista realizzata da Giusy Capone
(n. 9, settembre 2020, anno X)