«Dentro una vespa vive una vecchia ramazza». In dialogo con la poetessa Ofelia Prodan

Ofelia Prodan è nata a Urziceni, abita a Bucarest, ma da tempo ha un rapporto speciale con l’Italia, in particolar modo con la Sardegna, terra in cui fa tappa assiduamente, da dove ha fatto e fa conoscere la sua poesia in tutta Italia: una frequentazione costante che le è stata di buon viatico, visto che nel 2019 è uscita la sua prima silloge poetica in italiano, Elegie allucinogene (Edizioni Forme Libere, Trento 2019). Vi riproponiamo l'intervista imperniata su questo suo debutto editoriale tutto italiano, e nella quale ci svela il senso «allucinogeno» racchiuso in queste elegie che offrono una dimostrazione del suo mirabolante eclettismo lirico. Come assaggio di questa raccolta, Ofelia Prodan ha scelto per noi due elegie che si possono leggere al termine dell’intervista.  
Ofelia Prodan ha fatto il suo debutto editoriale nel 2007; fra le sue raccolte poetiche si segnalano: Elefantul din patul meu (L’elefante nel mio letto, 2007; Premio per il Debutto dell’Associazione degli Scrittori di Bucarest, 2008; Premio della rivista Luceafărul, 2008; selezionata per il Premio Nazionale di Poesia Mihai Eminescu – Opera prima, 2008); Ulise și jocul de șah (Ulisse e il gioco degli scacchi, 2011; edizione bilingue romeno-inglese; Finalista del Premio Letterario Internazionale Città di Sassari, 2016); Călăuza (La guida, 2012; Premio Nazionale Ion Minulescu, 2013); No exit (Senza uscita, 2015; Premio Nazionale George Coșbuc, 2015; Premio Nazionale Mircea Ivănescu, 2016). Figura nell’antologia Voor de prijs van mijn mond (a c. di Jan H. Mysjkin, Poëziecentrum edizioni, Gent, Belgio, 2013) che comprende 12 dei poeti romeni più rappresentativi degli ultimi 60 anni (Nina Cassian, Nichita Stănescu, Ana Blandiana, Nora Iuga, Ion Mureșan, Mircea Cărtărescu ecc.). Un'antologia d'autore è uscita in Spagna con il titolo di High (2017). In Italia ha pubblicato sulle riviste Nuovi Argomenti, Atelier e L'Immaginazione e ha sostenuto cicli di letture pubbliche a Milano, Brescia, Roma, Sassari, Alghero e Ozieri. Ha partecipato all’VIII edizione (2013) del Premio Internazionale di Poesia e Prosa Napoli Cultural Classic, vincendo il primo premio per la sezione POESIA in lingua straniera. È membro dell’Unione degli Scrittori di Romania e del PEN Club Romania.

 

Dal 2007, anno del tuo debutto editoriale con la raccolta di poesie Elefantul din patul meu (Vinea; eLiteratura2, 2015)fino all’ultimo, uscito nel 2018, dal titolo Fișă clinică (Charmides), hai dato variegato corpo alla tua poesia in una decina di raccolte: in tutti questi anni il tuo linguaggio poetico è cambiato? E come potresti definirlo? In sintesi: cos’è per te la poesia?

Il linguaggio poetico è, per me, una forma intima, interiore della poesia. Forma un tutt’uno con la poesia in sé. Ogni libro che ho pubblicato corrisponde all’esteriorizzazione di un’esperienza esistenziale vissuta in un dato momento. Non posso rimanere fissa in una formula, in qualche modo devo passare a qualcos’altro, mi trasformo e, insieme a me, si trasforma anche la mia poesia. È come se fossimo collegate dallo stesso cordone ombelicale. Come se la poesia fosse un altro tipo di corpo, una sorta di neonato, che mi definisce in una continua riscoperta per conto proprio.

Veniamo alle tue Elegie allucinogene, uscite di recente per le Edizioni Forme Libere, la tua prima traduzione in italiano in volume, che hai presentato a Sassari in due eventi proprio nella Giornata mondiale della Poesia. Come nascono queste Elegie e cosa intendi trasmettere al lettore con questi versi «surrealistici» (ammesso che tu li consideri tali)?

È una maniera di dire o di alludere a qualcosa. Certo, è assai probabile che quello che scrivo io non abbia un lontano appiglio con ciò che scrivevano coloro definiti dalla storia letteraria come “surrealisti”. In questo volume il “filo rosso” di continuità fra una poesia e l’altra è dato, piuttosto, dall’allucinogeno (per noi) di un mondo parallelo al nostro, ma non meno coerente, forse persino più coerente e dinamico, più «animato». Un mondo dei possibili legami fra gli oggetti che forse ciascuno di noi trova simpatici, ma di cui ci serviamo per scopi personali. Nel mio volume, essi hanno un proprio mondo, così come, attraverso di essi, io ho un mio proprio mondo. Sono momenti in cui si accede a un’altra dimensione. In matematica, per esempio, gli spazi a più dimensioni sono definiti in modo chiaro e funzionano secondo altre leggi matematiche, molto più complesse, che potremmo definire come leggi di sovra-logica. È in momenti come questi che si entra in un universo poetico nel quale le leggi comuni, di buon senso, si annullano, ma ne appaiono altre di nuove, creatrici inoltre di un nuovo linguaggio poetico, non necessariamente surrealista, bensì, così lo chiamo io, allucinogeno. Non a caso, per esempio, in una delle elegie si assiste all’incontro fra due sciamani che hanno accesso, anche se in un modo mistico, a realtà che si esprimono a un altro livello di logica, di comprensione. Con ciò non si deve dedurre che fra questi due mondi (quello che conosciamo e quello del mio volume) non ci siano delle connessioni e interferenze o che quello ideato da me sia meno esposto agli eccessi. Essi vengono fatti propri spontaneamente, con colpevole passionalità, scevri da certi orgogli. E altrettanto spontaneamente vengono rigettati. E in ogni caso, non in chiave umana. Non mi sono insinuata narrativamente in una loro realtà (specificità). Né le ho fatto “ammiccamenti”, né l’ho interpretata. Ho annotato semplicemente la sequenza degli eventi e dei dettagli. In sintesi, è un mondo fatto di rappresentazioni e di oggetti banali, che non rimangono allo stadio di oggetti, ma acquistano un’anima, interagiscono e, per quanto abbiano come punto di partenza una base reale, concreta, ti trasportano in un’altra dimensione, annullando – come in Matrix o in ogni teoria di fisica quantistica o, perché no, mistica – le leggi di interazione che tutti conosciamo, per far posto a quelle allucinogene.        

Non può essere sfuggito a chi conosce un po’ la poesia romena che anche un grande poeta come Nichita Stănescu ha riunito in una celebrata silloge le sue elegie, 11 elegii, uscita nel 1966. Hai voluto in qualche modo richiamarti a lui o il titolo è una scelta puramente casuale? E restando in tema di poesia presente e passata, quali sono i poeti o le poetesse che tu consideri, non dico come modelli, ma per lo meno come personali punti di riferimento?  
 
Le elegie allucinogene sono, in effetti, allucinogene (come ho specificato: per noi, che ne stiamo “al di fuori”), ma sono in fondo delle anti-elegie. Sì, certo, sono 11, anche se alcune sono elegie “bissate”, proprio per ricollegarle alle elegie di Nichita Stănescu. Una sorta di risposta a quelle elegie, ma au rebours. Penso che di tutta la produzione poetica di Nichita Stănescu quella che più mi ha attratto siano state proprio le sue 11 elegii, che io considero come un’ars poetica. E sono attratta anche dalla poesia d’avanguardia di Geo Bogza, dalla poesia raffinata di Ion Barbu, ma anche da quella più recente, mistico-colloquiale, di Cristian Popescu o di Ioan Es. Pop. Non so se vorrò mai un giorno scrivere come gli autori che mi piacciono. D’altro canto, non sono gli autori a piacermi, ma determinati libri (non tutti) di alcuni autori. Amo strutture poetiche quantunque esse siano diverse, se sono ciò che a me suonano come poesia; quando io però scrivo poesia, non me le ritrovo in testa. Chissà mai cos’è ciò che, del mio contorto modo di essere, mette in moto la scrittura: io non ne ho la più pallida idea. Tuttavia, i miei libri, anche se scritti in maniera eterogenea, non sono a compartimenti stagni, anzi, mi è stato fatto notare che hanno, invece, una certa continuità logica. Al. Cistelecan (parlando di “certe linee conseguenti che sviluppano in maniera sempre più evidente una loro pregnanza”) la definiva “una sorta di organicità”. Io non saprei darle una definizione, anche se, già a una certa distanza di tempo dai miei primi libri, riesco anch’io a scorgere determinate cose che hanno fatto sì che esse sembrino in un modo piuttosto che in un altro. Ma c’è anche qualcosa di peculiare legato al mio “debutto” editoriale italiano. Daniel D. Marin, dopo aver scritto la mia piccola presentazione d’autore per la rivista «Nuovi Argomenti», mi ha confidato che dal suo punto di vista, le poesie pubblicate allora, nel 2017, sono piuttosto una continuazione di alcune intuizioni presenti in alcune autrici come Maria Borio (che aveva debuttato nel 2015 ma della quale io avevo letto solo alcune righe dedicate alla poetessa Amelia Rosselli, nel 2016), Maria Grazia Calandrone (“per la propensione verso il non-visibile e il trance visionario”), Laura Pugno (una scrittrice complessa, fra le altre cose perfettamente terrena e minuziosamente astratta”, così ne diceva Andrea Cortellessa) oppure perfino Milo De Angelis (un autore affine in qualche modo a Paul Celan, anche se è un poeta importante, di cui io solo di recente ho avuto modo di leggere alcuni suoi testi), e non tanto riferibile a una mia linea definita o a una di uno dei miei colleghi romeni di generazione, e che quindi sarebbe molto curioso di vedere come andrò evolvendo nel tempo. Non ho ancora pubblicato il manoscritto di cui facevano parte quelle poesie, ma quelle, inedite, che sono seguite dopo, pubblicate in Italia sono quelle apparse nella rivista «Atelier», nel maggio 2018, da me poi incluse nell’ultimo mio libro pubblicato da poco e l’unico al quale ci possiamo riferire in questa intervista, dato che è il mio unico libro in italiano. Detto questo, sebbene io non abbia seguito un percorso di influenze e neppure di affinità, mi piace pensare che il mio libro italiano trovi un suo luogo d’elezione proprio in Italia e non in Romania. Diciamo quindi che non è questo il volume nel quale io possa rivendicare determinate attinenze con ciò che chiamiamo “la mia generazione letteraria”.       

    
In conclusione, ti inviterei a dare uno sguardo al tuo futuro, a tuoi progetti futuri, a quello che stai scrivendo: con che cosa ci stupirai ancora? 

Scopriremo insieme in quale nuova veste poetica consegnerò me stessa o in quale contenuto consegnerò quello che vedo attorno a me. Se non vedo, anticipo. Se non anticipo, proietto.

 

Due elegie da Elegie allucinogene

elegie halucinogenă 9

ghiozdanul insomniac umblă bezmetic
în fiecare noapte pe pereți.
glastra în formă de clepsidră exersează
o arie cu glas de bariton.
din ghenă, ies jucăriile dezmembrate.
improvizează un teatru de păpuși
în vitrina bibliotecii.
o molie dansează amețită de fumul de opium.
șobolanii rod ceștile de porțelan
care aplaudă furtunos reprezentația improvizată.
din ghiozdanul insomniac iese
un sendviș mucegăit care levitează
cu bagheta de dirijor între dinți în fața glastrei.
glastra acompaniază ireproșabil reprezentația improvizată.
șobolanii înregistrează totul cu o cameră video minusculă.
molia execută printre păpuși piruete haotice.
camera înregistrează.
sendvișul ia camera și postează filmul pe youtube.
un regizor independent remarcă
potențialul și trimite filmul la o competiție internațională.
filmul câștigă marele premiu.
sendvișul mucegăit se descompune în aplauzele
elogioase ale șobolanilor.
păpușile dezmembrate se îmbrățișează.

elegia allucinogena 9

lo zaino insonne vaga confuso
ogni notte sulle pareti.
Il portafiori in forma di clessidra prova
un’aria con voce da baritono.
dalla discarica dei rifiuti escono dei giocattoli
smembrati. improvvisano un teatrino di
marionette nella vetrina della biblioteca.
una tarma danza stordita dal fumo dell’oppio.
i topi rosicchiano le tazze di porcellana
che applaudono fragorosamente lo spettacolo
improvvisato. dallo zaino insonne esce
un panino ammuffito che levita
stringendo la bacchetta da direttore
fra i denti davanti al portafiori.
il portafiori accompagna in modo impeccabile
lo spettacolo improvvisato.
i topi filmano tutto con una minuscola cinepresa.
la tarma esegue in mezzo alle marionette
piroette caotiche. la cinepresa filma.
il panino prende la cinepresa e posta
il film su youtube. un regista indipendente
ne sottolinea il potenziale e spedisce il film
a un festival internazionale.
il film vince il primo premio.
il panino ammuffito si decompone tra gli applausi
di approvazione dei topi.
le marionette smembrate si abbracciano.

 

elegie halucinogenă 9 bis

 

într-o viespe locuiește o mătură bătrână.
o șosetă s-a supărat pe gogoșarul
dezumflat genetic și chimic
pentru imprudența de a-i fi retezat lungul
degetului mare și opozabil.
patefonul se învârte și proiectează
pictograme cu animale preistorice.
mătura întinerește în urma
unor tratamente miraculoase
cu particule de antimaterie.
viespea stă înțepată la loc strategic
în corsetul negru. șoseta protestează
împotriva gogoșarilor
dezumflați genetic, chimic, ba chiar și natural.
corsetul negru se dezbracă sofisticat
în fața gogoșarului discriminat și dansează
pe ritmuri africane.
mătura iese tânără și grațioasă
prin mijlocul de viespe și patinează artistic
pe geamurile clădirilor corporatiste
din care năvălesc în gerul polar
șosete revoltate de programul
super-încărcat de lucru
în vidul fizic și existențial.
viespea distorsionează din locul strategic
semnalele pașnice de viață subliminală.
patefonul se blochează între măselele
unui animal preistoric.
din pictogramele proiectate
ies toate animalele preistorice îmblănite
ecologic care aleargă și zdrobesc
cu copitele orice urmă
de civilizație terestră și extraterestră.

 

elegia allucinogena 9 bis

 

dentro una vespa vive una vecchia ramazza.
una calza si è arrabbiata con il peperone
sgonfio geneticamente e chimicamente
per aver commesso l’imprudenza di averle messo
in riga il pollice opponibile.
il giradischi gira e proietta
pittogrammi con animali preistorici.
la ramazza ringiovanisce per effetto di trattamenti
miracolosi con particelle di antimateria. la vespa
è infilzata in un punto strategico del corsetto nero.
la calza protesta contro i peperoni
sgonfi geneticamente, chimicamente, e addirittura
naturalmente. il corsetto nero si spoglia
in maniera raffinata davanti al peperone
discriminato e danza su ritmi africani.
la ramazza esce giovane e graziosa
dal centro della vespa e pattina artisticamente
sulle finestre degli edifici aziendali
da cui irrompono nel gelo polare calze inviperite
per l’eccessivo orario di lavoro
nel vuoto fisico ed esistenziale.
dal punto strategico la vespa distorce
i segnali di pace di vita subliminale.
il giradischi si blocca tra i molari di un animale
preistorico. dai pittogrammi proiettati
escono tutti gli animali preistorici dalla pelliccia
ecologica che corrono e schiacciano
con i loro zoccoli ogni traccia di civiltà terrestre
ed extraterrestre.





A cura e traduzione di Mauro Barindi
(n. 5, maggio 2020, anno X)