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    Un romanzo romeno sui chirurghi Scacchi. Dialogo con lo scrittore Radu Paraschivescu 
       
     
       È  un’avventura, quella dei fratelli Scacchi, che parte da Preci e arriva fino a  Roma e, poi, a Londra. Si tratta di due macellai, in origine. Eccelsi,  scrupolosi e dotati di un certo estro, è vero. Ma pur sempre dei macellai.  Cambia tutto, però, nel momento in cui nella Preci del Seicento giunge un  messaggero del papa con un’insolita richiesta: ai macellai è richiesto di usare  il coltello, non più per sgozzare le bestie, ma per guarire gli uomini.  
        Nasce così la  storia dei due chirurghi. Dei medici. Diversi dai dottori. I dottori sono  filosofi, uomini che osservano, che studiano il corpo umano, senza sporcarsi le  mani per guarirlo. Un tempo, era toccato ai preti a guarire il corpo fisico  della gente. Ora, nel Seicento che Radu Paraschivescu ci narra nel suo ultimo  romanzo, L’ago d’oro e gli occhi di Gloriana (Acul de aur și ochii Glorianei, Humanitas, 2021), non è più  possibile.  
        Emergono così  intrighi, segreti, violenze che rendono il romanzo un affresco coinvolgente.  Nota straordinaria – una prelibatezza, al momento, disponibile solo per i  lettori di lingua romena –, la scelta delle parole. È vasto l’oceano dei  vocaboli in cui si muove Paraschivescu, vasto, sorprendente e piacevole.  
        Di cosa si  celi dietro a L’ago d’oro e gli occhi di Gloriana, della scelta di  ambientare la vicenda in Italia, oltre che a Londra, delle difficoltà a  documentarsi, del Seicento di Cesare Scacchi, ne abbiamo parlato con Radu  Paraschivescu. 
         
         
        L’Italia, in L’ago d’oro e gli occhi di  Gloriana, meglio ancora, Roma e  Preci sono i luoghi da dove tutto ha origine. So che non si tratta di una  scelta casuale. Cosa la lega all’Italia? 
         
        Da quando sono  giunto per la prima volta a Roma, nel febbraio 2008, ho avuto la sensazione che  da lì trae origine il nostro mondo. E ho pensato che quello è il luogo in cui  dovrà anche finire un giorno — semmai dovesse finire. Mi è tornata in mente  come un’ossessione infantile l’idea che, se mai fossi diventato il presidente  del mondo, avrei obbligato tutti i cittadini del pianeta a trascorrere almeno  cinque giorni a Roma. Chi resta indifferente nell’incontro con Roma, non è  degno di essere chiamato uomo, a pieno titolo. Sì, è vero, c’è tanta sporcizia,  sì, le infrazioni possono sfuggire al controllo, sì, la diversità etnica può  avere conseguenze spinose, ma la bellezza di Roma sovrasta e oltrepassa tutto.  Ci sono stato una decina di volte in questa città, ma non ne ho mai abbastanza.  Certo, non solo Roma, ma l’Italia in generale. Nel mio cuore e nella mia mente,  c’è una lotta continua tra l’Italia e la Francia per il titolo di «Il mio paese  preferito». Dopo aver visto Pienza e Ravello oppure Bergamo e Cortona (e altri  cento posti); l’Italia è un filo più avanti rispetto alla Francia. Sono stato  anche in Umbria, con fermate di meraviglia a Spello e Assisi, a Orvieto e  Gubbio. Preci non era una meta turistica, ma la storia del museo e della scuola  di chirurgia mi ha sedotto. Di conseguenza, ho reso questa cittadina il punto  di partenza della vicenda de L’ago d’oro e gli occhi di Gloriana e ho  fatto in modo che l’azione si svolgesse, poi, a Roma. Per riassumere, quello  che mi lega all’Italia non è solo lo stupore del turista estasiato, bensì  l’impressione che un po’ le appartengo, e un po’ mi appartiene. 
         
         
        A  Tropea, nello stesso periodo dei fratelli Scacchi, altri fratelli, i Vianeo,  avevano iniziato a occuparsi di rinoplastica. In L’ago d’oro e gli occhi di  Gloriana abbiamo due medici oculisti: la vicenda ha radici vere? Quanto è  stato difficile, o semplice, documentarsi per ricreare il mondo rinascimentale? 
         
        I fratelli  Scacchi hanno lasciato traccia nella storia dell’Umbria, dell’Italia e del  mondo. Ci sono molte menzioni che li riguarda, persino del trattato di medicina  a cui lavora Durante Scacchi ci sono testimonianze. Non è stato difficile  documentarmi. Non ho avuto difficoltà a gestire le informazioni e tramutarle  nella sostanza di un racconto, quello che mi è stato difficile è stato credere  che un simile cambio di carriera (un career change, si direbbe oggi) sia  stato possibile. Gli inglesi hanno un’espressione un po’ complicata da  tradurre: leap of faith. Cioè: un grande sforzo di immaginazione. Forse  è ciò che serve per credere letteralmente alla vicenda, incluso il passaggio  dei fratelli Scacchi da macellai a guaritori di malattie degli occhi. Mi  consolo con l’espressione: Se non è vero, è ben trovato. D’altro canto,  mi auguro che il museo di chirurgia di Preci, colmo di utensili per interventi  di cataratta, non sia solo una trovata per i turisti. Sarebbe triste se così  fosse. Certo, non sarebbe l’unico a tendere trappole simili. Sono rimasto  vittima di due imbrogli straordinari, in Portogallo e in Francia, in luoghi  costruiti appositamente per imitare cose vecchie di sei, settecento anni. 
         
         
        L’Italia,  ma anche l’Inghilterra. Si sente la presenza di una maggiore barbarie tra gli  inglesi, o se «barbarie» non è la parola giusta, allora direi più «sangue»… In  che modo si distinguono i due paesi, in quel lontano 1600? Cioè: che cosa  vedono gli occhi di Cesare? 
         
        Gli occhi di  Cesare sono tarati sul microuniverso di un luogo in cui si conoscono gli uni  con gli altri (ci fanno l’amore, si picchiano, si rappacificano, si ubriacano).  È un luogo dimenticato dal mondo, posizionato in una specie di conca naturale  in cui è difficile avere segreti, ma se ne hai, è quasi impossibile mantenerli.  Preci è un paesino in cui si sparla degli altri e in cui nascono piccole  inimicizie improvvise. Anche lì esiste la violenza (per esempio lo stupro  commesso da Beppe Martello e la sua punizione), esistono anche lì i complotti,  ma passano anni luce tra questi e quelli di Londra. Quando Cesare arriva a  Londra, sa che la città ha attraversato diverse ondate di peste e che è uno dei  centri di potere dell’Europa. Lì, la violenza è istituzionalizzata, le  punizioni sono drastiche e pubbliche, il tradimento, moneta di scambio. Certo,  Cesare ha l’occasione di fare alcuni incontri molto felici – come, per esempio,  quello con Dick Burbage, l’imprenditore e l’attore nei cui teatri avevano  iniziato a girare le pièce di Shakespeare, insieme a quelle di Ben Jonson e  Christopher Marlowe. Attenzione, però, non si creda che la Roma di Clemente  VIII fosse un territorio paradisiaco. Sono state scritte intere biblioteche sugli  abusi di potere dei papi e sui crimini orditi da questi. E, tra la Tor di Nona  e la Torre di Londra, due costruzioni lugubri per definizione, le differenze  stavano perlopiù nei dettagli. 
         
         
        Scrittore,  editor e traduttore: quale elemento sente più «affine»? 
         
        Mi è difficile scegliere tra lo scrittore e il  traduttore. Editor sono sempre meno, per fortuna. Mi sento a mio agio in ognuna  di queste circostanze – solo così si spiega il perché non rinunci a nessuna di  loro, sebbene abbia promesso, anni fa, che avrei smesso di tradurre. (Sono  venuto meno alla mia promessa con almeno quindici titoli.) Certo, se il  produttore di una trasmissione TV chiedesse cosa debba scrivere in  sovrimpressione, a fianco al mio nome, l’orgoglio mi spinge a dire «scrittore».  Questo non a causa di una qualche forma di vanità, bensì perché la scrittura di  un libro è un atto artistico del quale rispondi in modo esclusivo e totale.  Nella traduzione, cammini sulle impronte di un altro e devi tarare il tuo passo  sul suo, cosicché non rimangano impronte proprie di fianco a quelle dello  scrittore.       
         
         
       
        
           
           
           
             
           
       
      
        A cura e traduzione di  Irina Turcanu Francesconi 
          (n. 12,  dicembre 2021, anno XI) 
         
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