«Il maschilismo orecchiabile» della musica leggera italiana. In dialogo con Riccardo Burgazzi

Riccardo Burgazzi è un filologo e questo è lo spirito con cui si pone nei confronti dei testi della canzone italiana che osserva e analizza sottolineando così quanti messaggi maschilisti veicolino. Ne nasce Il maschilismo orecchiabile, mezzo secolo di sessismo nella musica italiana (Prospero Edizioni, 2021); un saggio ironico e profondo al contempo, la cui lettura predispone verso innumerevoli interrogativi.
Non vi è una ricerca del colpevole, nelle pagine di Burgazzi. È una presa d’atto, la sua: nella musica leggera italiana incontriamo donne angelo, Circe, donne immobili, abbandonate, che abbandonano, amate da tremendi, da stalker e da grandi maestri d’amore. E a ciascuno di questi forme di amore, Burgazzi porta a testimoniare i testi delle canzoni.
Di come sia nato il libro, se la canzone abbia le sue colpe, dello stile con cui ha deciso di trattare l’argomento – ricordo che l’ironia è un tratto molto apprezzabile del saggio – e di tanto altro, ne abbiamo parlato con Riccardo Burgazzi.


La prima domanda è questa: come sei arrivato all’idea del libro?

Sono partito da un’esperienza comune a tutti, dall’ascoltare le canzoni. Infatti, le ho sentite una volta, due, percepivo che alcune parole stridono, ma ho lasciato correre, perché sono canzoni che ci piacciono, che canticchiamo lo stesso anche quando stonano nei concetti che raccontano. Poi, può succedere che nel rapporto con una certa canzone, quelle parole che stridono diventino evidenti. Ciò accade, generalmente, in due circostanze: quando ascolti una canzone allegra ma tu sei triste oppure quando scopri una parola che ti dà troppo fastidio.
Quante volte non abbiamo cantato Quello che le donne non dicono, con trasporto, perché se la canti è una bella poesia, ma se ti fermi, senti i campanelli d’allarme.
Le critiche che muovo a Mogol, a Battisti non sono rivolte alla persona, non sto tacciando nessuno di maschilismo, sto sottolineando che la cultura pop fa leva su ciò che è noto, su ciò che dà certezze. Cioè: la musica leggera non aggiunge altro, ti conferma ciò che sai, ti spiega come funziona una società.

 

Lo stile con cui hai scritto Il maschilismo orecchiabile mi ha molto colpito: l’ironia credo sia il modo più elegante per trattare i temi delle certezze diffuse…

A proposito dello stile, la saggistica italiana ha il difetto, o la tendenza se vogliamo, di allungare il brodo. Infatti, qualcuno ha argomentato che avrei trattato il tema in modo troppo veloce. Come dicevo, la percezione deve essere legata a questa tendenza italiana di ridire la stessa cosa tante volte. Le cose si possono dire anche in una pagina, gli studi accademici anglosassoni lo fanno. In quest’ottica, l’ironia aiuta molto a stringere, agevola la sintesi.
C’è un passaggio di Calvino in cui un contadino va a denunciare il furto di una botte di vino e racconta ai carabinieri una storia di due righe; il carabiniere ne fa una relazione lunghissima ricca di formule. Il fatto è che l’italiano nasce con la poesia, ma poi, per farlo conoscere a tutti, lo si è dovuto allungare.

Produce un danno la musica leggera, quindi?

Non ha l’obiettivo di consolidare. Tuttavia, bisogna sottolineare che non è vero che siamo tutti d’accordo con l’assunto secondo cui all’epoca andava bene poiché il pensiero può essere maggioritario, ma non unico.

Possiamo parlare di colpe, cioè quali sono le colpe della musica leggera?

Il mio lavoro da filologo mi spinge a guardare un testo e, quindi, constato che da quando le persone scrivono si può distinguere la produzione letteraria in leggera e impegnata. Si legge in Dante che Paolo e Francesca si dilettano nella lettura di un romanzetto. Se ci si pensa, Lancillotto è più entusiasmante da leggere del Timeo.
Non ha colpe, quindi. La musica leggera non aggiunge nulla, ripete soltanto il sapere comune senza alcuna modificazione. Non ci racconta la verità, ma solo quello che noi abbiamo in testa.
Alcuni dei concetti che veicolano arrivano dall’alto, dalla cultura «alta», per così dire, portati dalla grande storia. Altre volte seguono un senso inverso, dal basso; pensiamo per esempio al trap o la musica neomelodica che nasce per raccontare le borgate, come si fa a corteggiare una donna. Quindi non parliamo di colpa, ma di un codice, di un codice particolare che, nella musica leggera, a differenza del trap o della neomelodica, si rivolge a un pubblico più vasto. Per inciso, le parole sono maschiliste, non le persone.

Dovessi redigere una lista delle canzoni più rappresentative, quali sarebbero?

Sicuramente Quello che le donne non dicono, Uomini soli, Tuca tuca, Come mai, Laura non c’è, la canzone di Celentano Storia d’amore, Rita Pavone La partita di pallone, Morandi con In ginocchio da te, Mina con Sono come tu mi vuoi.









A cura di Irina Turcanu Francesconi
(n. 5, maggio 2021, anno XI)