Roberto Scagno: Il periplo bucarestino di un giovane intellettuale occidentale negli anni ’70

Pubblichiamo un’ampia intervista al professor Roberto Scagno (n. 1946, Torino), noto romenista e specialista di Eliade. Laureato in Filosofia nell’Università di Torino, Roberto Scagno è stato lettore di lingua italiana all’Università di Iași (1974-1976), ricercatore di Storia delle religioni presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Torino (1976-1993), professore supplente di Filosofia della religione presso l’Università di Vercelli (1991-1993), professore supplente di Lingua e letteratura romena all’Università di Trento (1995-1998). Dal 1993 al 2016 è stato professore associato di Lingua e letteratura romena presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Padova.
I principali temi di interesse di Roberto Scagno sono: il pensiero e l’opera di Mircea Eliade, specialmente il periodo romeno della formazione e della sua creazione giovanile; la metodologia della scienza delle religioni – in particolar modo la questione del simbolismo religioso in Oriente, e in Occidente; la filosofia romena tra le due guerre mondiali – soprattutto la corrente cristiana ortodossa; la simbologia nella poesia di Mihai Eminescu; il rapporto tra autoctonismo e occidentalismo nella cultura e nella letteratura interbellica romena; la narrativa fantastica romena; i rapporti culturali tra l’Italia e la Romania.
È stato distinto con l’Ordine Nazionale «Pentru Merit» în grad de Comandor nel 2003, «Studioso senior dello Studium patavinum» (decreto rettorale del 16 febbraio 2017).

Il professor Scagno fa parte del comitato scientifico delle riviste «Studi italo-romeni» (Cluj), «New International Journal of Romanian Studies» (București), «Vatra» (Tg. Mureș); è coordinatore e cofondatore (1998) dell’«Associazione Italiana di Romenistica» (AIR), membro del «Rumänisches Institut di Freiburg» (Germania), dell’ «Istituto per gli Incontri Culturali Mitteleuropei» (Gorizia); coordinatore dei programmi europei Tempus (1995–1998) e Socrate/Erasmus (dal 1998) per l’area di romanistica delle Università di Bucarest, Cluj, Iași, Timișoara, Amsterdam e Anversa. Tra le sue principali pubblicazioni: Il terrore della storia. Genesi e significato dell’antistoricismo di Mircea Eliade, Torino 1982; Mircea Eliade e l’Italia (in collaborazione con M. Mincu), Milano 1987. Ha curato l’edizione italiana e la traduzione di alcune opere di Mircea Eliade: Spezzare il tetto della casa, Milano 1988; Il mito della reintegrazione, Milano 1989; I riti del costruire, Milano 1990; Il romanzo dell’adolescente miope, Milano 1992; Le promesse dell’equinozio. Memorie 1. 1907-1937, Milano 1995; Le messi del solstizio. Memorie 2. 1937-1960, Milano 1995; Oceanografia, Milano 2007; Fragmentarium, Milano 2008; Diario portoghese, Milano 2009; Gaudeamus, Milano 2012; Gli huligani, Milano 2016; Diario 1970-1985, Milano 2018; coordinatore e coautore del volume Veneti in Romania, Ravenna 2008.
Attualmente sta preparando (in collaborazione con Dario M. Cosi e Luigi Saibene) l’edizione tematica italiana ed europea dell’opera Encyclopedy of Religion (New York, 1987), coordinata da Mircea Eliade, di cui 15 volumi (dei 16 previsti) sono stati già pubblicati dalla Casa editrice Jaca Book di Milano.


Professor Scagno, lei è un noto storico che ha dedicato una buona parte della sua carriera allo studio della vita e dell’opera di Mircea Eliade. Come spiega la sua attenzione per lo studioso romeno?  

Potrei dire che l’interesse per Eliade nacque casualmente. Frequentavo i corsi della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Torino e avevo l’intenzione di scrivere, sotto la guida del professor Luigi Pareyson, una tesi di laurea sul filosofo tedesco Max Scheler, quando scoppiarono le proteste studentesche del ʼ68 che portarono alla chiusura dell’attività didattica della mia Facoltà per un intero anno accademico. Sebbene io non avessi aderito al movimento studentesco torinese, tali eventi socio-politici cambiarono decisamente la mia prospettiva sulla filosofia, suscitando in me l’interesse per la filosofia applicata, a scapito della filosofia teoretica, astratta. Ripresi le lezioni universitarie, decisi di seguire il corso di «Storia delle Religioni», tenuto dal professor Franco Bolgiani, il cui giovane assistente, Dario Rei, aveva scoperto Mircea Eliade, recentemente tradotto in italiano, e aveva pubblicato un interessante saggio su alcuni aspetti metodologici dei suoi scritti. Abbandonai quindi l’idea della tesi su Scheler e, sotto la guida del professor Bolgiani e del suo assistente, iniziai a scrivere una tesi su Eliade, con un capitolo specifico dedicato al contesto storico-culturale in cui l’autore si era formato, dato che la sua biografia era praticamente sconosciuta all’epoca in Italia. Contattai l’Istituto Romeno dell’Esilio di Friburgo per avere materiale bibliografico relativo al capitolo incentrato sulla giovinezza dello studioso e ricevetti alcuni testi relativi ai primi scritti eliadiani, che decifrai con l’aiuto di un bibliotecario della Fondazione Agnelli (Centro Ricerche Fiat), un poliglotta che aveva imparato la lingua romena in Polonia negli anni ʼ50. Dopo la discussione della tesi, il professor Bolgiani, filologo rigoroso, mi consigliò di consultare anche gli archivi romeni per la ricostruzione della prima giovinezza eliadiana e mi mandò dal professor Ovidiu Drimba, allora docente di Lingua e letteratura romena presso la stessa Facoltà e correlatore della mia tesi di laurea intitolata Religiosità cosmica e cultura tradizionale nel pensiero di Mircea Eliade, affinché mi facilitasse il contatto diretto con l’ambiente accademico romeno. Il progetto finale era quello di pubblicare uno studio originale, inedito, all’epoca. Tramite un concorso organizzato dal Ministero Italiano degli Affari Esteri ricevetti poi una borsa di ricerca di sei mesi, all’Università di Bucarest, necessaria per l’apprendimento della lingua romena, e arrivai dunque nella capitale nel febbraio del 1974.

A metà degli anni ’70 lei, un giovane borsista occidentale, arriva a Bucarest. Ha dei ricordi precisi sulla capitale romena di quel tempo?

Arrivai a Bucarest influenzato dai giudizi occidentali sul comunismo romeno. Per l’opinione pubblica occidentale in Romania vi era un comunismo relativamente più liberale, aperto al pluralismo culturale e ai rapporti con l’Occidente. Non dimentichiamo che allora il leader comunista romeno godeva di un’immagine positiva in Occidente, determinata dalla sua ferma posizione contro l’invasione sovietica della Cecoslovacchia. In brevissimo tempo mi resi conto però che la realtà politica e sociale romena era completamente diversa. La chiusura cultural-ideologica del Paese, che si era sviluppata gradualmente a partire dalle cosiddette Tesi di luglio (1971), era diventata più evidente proprio in quell’anno. Le mie prime impressioni sulla Romania sono comunque legate a uno strano episodio, avvenuto proprio al mio arrivo e rimasto tuttora avvolto nel mistero. Ovviamente, non in quel momento, ma più tardi mi resi conto della stranezza dell’accaduto. Nel febbraio del 1974, volando con un aereo Alitalia da Roma a Bucarest, viaggiai accanto a una giovane romena, seduta vicino all’oblò, che parlava un italiano impeccabile, vestita elegantemente, accompagnata da un’enorme bambola, collocata durante il volo tra di noi, sul sedile centrale della fila. Confessando alla mia compagna di viaggio l’intenzione di trovarmi un domicilio in attesa di una sistemazione ufficiale nelle strutture scelte dalle autorità romene, all’arrivo mi accompagnò con la sua macchina, una Citroën deux chevaux bianca, nuova, luccicante, targata Roma e recuperata nel parcheggio dell’aeroporto Otopeni, da una sua amica, una signora ospitale di circa sessant’anni, insegnante di francese, nella cui casa restai poche notti. Ai romeni era ancora permesso di ospitare stranieri, ma nell’inverno dello stesso anno sarebbe stato emesso un decreto legislativo che lo proibiva. In una delle prime serate trascorse a Bucarest, io e l’insegnante di francese – che casualmente era un’amica del filosofo Nicolae Tertulian – fummo invitati proprio dal filosofo a cena, nella sua casa, un appartamento in via Știrbei Vodă, in tutto simile agli appartamenti italiani, dotato di una ricca biblioteca fornita anche di opere recenti di filosofia occidentale. In quell’elegante appartamento eravamo presenti noi, i due ospiti, Nicolae Tertulian e sua moglie, la scrittrice Georgeta Horodincă. La conversazione con Tertulian di quella sera – in francese perché io non parlavo ancora il romeno – riguardò alcune importanti figure della cultura accademica italiana. Discutemmo in primo luogo del filosofo Gianni Vattimo, conosciuto personalmente da Nicolae Tertulian nel 1972, in occasione della partecipazione del pensatore italiano al settimo Congresso Internazionale di Estetica svoltosi a Bucarest. Vattimo d’altronde era stato un mio professore universitario. Parlammo poi di Luigi Pareyson, filosofo teoretico e autore di un’importante opera, Estetica. Teoria della formatività, che sarebbe stata tradotta in romeno tre anni dopo, nel 1977, dal noto italianista Marian Papahagi, ma anche dell’estetica filosofica di Benedetto Croce e György Lukács, argomento della ricerca di Tertulian. Se ricordo bene, l’argomento Eliade venne evitato con garbo dagli ospiti.

Lei arriva a Bucarest in un clima culturale ostile all’illustre storico delle religioni – come lei stesso constaterà ulteriormente – e simultaneamente all’apprendimento della lingua romena intraprende le sue prime ricerche sulla biografia di Eliade. Come andarono queste indagini?

Arrivai dunque a Bucarest portando con me la tesi di laurea, battuta con la macchina da scrivere e rilegata elegantemente in pelle, come si usava una volta. Poiché i corsi di lingua romena per stranieri erano iniziati sin dal mese di ottobre all’Università e a febbraio non si potevano più riprendere, decisi di studiare per conto mio il romeno, armato del poderoso Cours de langue roumaine coordinato da Boris Cazacu, un’opera che oggigiorno potrebbe essere reperita soltanto nei mercatini d’antiquariato, poi presi contatto con gli intellettuali indicati dal professor Drimba. In genere, gli specialisti romeni mi ricevettero gentilmente nei loro studi, ma mi trasmisero evasivamente l’idea che non potevo studiare la giovinezza del prolifico scrittore, a causa del suo passato politico, compresa la fuga in esilio. È vero che verso la fine degli anni ’60 si poteva parlare di un timido ritorno del nome di Eliade nel mondo dell’editoria e della pubblicistica romena dovuto al discreto riconoscimento della sua narrativa ma il suo contributo fondamentale nel campo della storia delle religioni rappresentava ancora un tema tabù, imposto dall’ateismo del tempo. Nella mia peregrinazione tra i vari istituti accademici incontrai – in verità – anche persone che mi consigliarono di abbandonare la ricerca avviata in Romania e di spostarla là dove Eliade si era affermato come storico delle religioni, ovvero in Paesi come la Francia e gli Stati Uniti.

Quali sono gli intellettuali romeni incontrati a Bucarest negli anni ’70 con cui ha parlato di Mircea Eliade?

Oltre all’incontro casuale con il filosofo Nicolae Tertulian, feci la conoscenza tramite Ovidiu Drimba di altri importanti intellettuali, tra i quali l’archeologo Emil Condurachi, il critico d’arte Ion Frunzetti e lo storico Virgil Cândea, tutti noti docenti universitari nonché specialisti nei loro campi di attività. Con il professor Cândea ebbi una relazione speciale. Lo studioso era all’epoca segretario generale dell’Associazione «România», un’organizzazione culturale la cui sede si trovava in un edificio di viale Dacia nr. 35, che pubblicava Tribuna României, un bimensile propagandistico destinato alla diaspora romena, stampato su carta di qualità migliore rispetto alla carta delle pubblicazioni interne e provvisto di un sommario in inglese e tedesco. Intellettuale raffinato ed elegante, il professore fumava sigarette lunghe Kent, parlava impeccabilmente francese e apprezzava le letture esoteriche e tradizionaliste. Più tardi, nel 1978, gli portai dall’Italia, su sua richiesta, il libro di Jean Robin, René Guénon témoin de la Tradition. In merito alla condizione dell’intellettuale romeno sotto il comunismo, ricordo tuttora l’espressione precisa di Cândea: «Un intellectuel dans ce Pays doit penser une chose, dire une autre chose et en écrire une troisième». Tramite Virgil Cândea conobbi Constantin Noica. Poiché al primo incontro con il professor Cândea avevo portato con me la tesi di laurea per sottoporla alla sua attenzione, convenimmo di lasciargli tempo per la lettura e di tornare poi per ulteriori discussioni. Ritornando nell’ufficio di Cândea vi trovai pure Noica. Dopo le presentazioni, il noto filosofo confessò di aver letto la mia tesi. Seguirono alcune osservazioni preliminari, e apprezzamenti positivi sull’originalità della ricerca, poi entrambi gli studiosi mi comunicarono diplomaticamente che non potevo approfondire la biografia di Eliade in Romania, poiché il clima politico e culturale degli anni ’30 rappresentava un argomento delicato, controverso, quindi difficile da ricostruire storicamente. Con Noica rimasi ancora per un po’ di tempo in relazione. Nell’estate del 1974 incontrai Eliade a Parigi e in autunno, tornato a Bucarest, presi contatto con Noica telefonicamente, per dirgli come era avvenuto l’incontro con il suo illustre amico. Per parlare in tranquillità, lo studioso mi invitò a casa sua, un modesto appartamento nel quartiere popolare di Drumul Taberei. Noica mi diede l’impressione di una forte personalità intellettuale, ma molto controllata e reticente. Ovviamente, allora nulla sapevo della sua tormentata biografia, sebbene fosse chiara per me la marginalizzazione del filosofo. Difficilmente, ad esempio, si potevano trovare in quel periodo i suoi libri nelle librerie di Bucarest, e la sua nomina all’Istituto di Logica era chiaramente destinata a portare il noto filosofo su un binario morto.
Attraverso Constantin Noica conobbi Sergiu Al. George. L’orientalista fu il primo intellettuale romeno che mi parlò apertamente degli arresti massicci tra l’élite culturale del Paese alla fine degli anni ’50, e in particolare del processo al gruppo Noica-Pillat, nel quale lui stesso fu condannato. Al. George ricordava un suo sogno premonitore in cui veniva arrestato e dopo breve tempo questo suo sogno si avverò.
Su indicazione di Drimba mi misi in contatto anche con lo scrittore Emil Manu con il quale strinsi un rapporto di amicizia; con lui discutevo soltanto della dimensione letteraria dell’opera eliadiana, poiché la letteratura ere la sua sfera di competenza. Fui sorpreso quando seppi – è vero, molto più tardi e da un’altra fonte – del suo arresto nel ’58, giacché nel periodo in cui ci eravamo frequentati Manu non fece mai alcun riferimento a questo triste episodio della sua vita.
Di mia iniziativa mi recai poi all’Istituto di Filosofia dell’Accademia di Scienze Sociali e Politiche, dove incrociai due corifei del marxismo-leninismo, i ricercatori Nicolae Gogoneață e Constantin Ionescu-Gulian. Entrambi i filosofi si mostrarono contrariati per il mio interesse verso il noto pensatore romeno interbellico e vollero sabotare i miei propositi di studiarne la biografia, insinuando che Eliade fosse in fondo un autore minore, e pertanto mi consigliavano – se proprio avevo l’intenzione di studiare figure del pantheon romeno – di scegliere una personalità davvero importante.
Nel periodo trascorso a Bucarest feci la conoscenza, tramite un collega italiano, ricercatore dell’Università di Perugia, del professor Mihai Pop, direttore dell’Istituto di Etnografia e Folclore. Subito mi accorsi però che i nostri interessi non convergevano, le sue ricerche folcloristiche seguivano infatti la linea di Dimitrie Gusti e Henri H. Stahl. Inoltre Pop apprezzava la semiotica applicata al folclore, ovviamente ben lontana dall’ermeneutica eliadiana. Durante lo stage di Bucarest frequentai in maniera non ufficiale anche altri intellettuali con cui parlai di Eliade. Uno di questi era il filosofo appassionato di Eliade nonché bibliofilo Lucian Stanciu, ricercatore dell’Istituto di Logica, conosciuto nella sala di studio della Biblioteca dell’Accademia Romena, con cui iniziai a fare scambio di libri, una volta diventati amici. Stanciu mi procurò gran parte delle opere interbelliche eliadiane, mentre io gli portai dall’Italia dei libri da lui richiesti. Con Lucian mi recai alcune volte in un suo deposito, dove teneva un enorme quantità di materiale bibliografico, situato in una zona malfamata di Bucarest, nel periodo interbellico, la famosa Crucea de Piatră. Qui mi capitò di incontrare un pomeriggio un gruppo di suoi amici, cinque o sei giovani che facevano parte dell’entourage dello scrittore Alexandru Monciu-Sudinski, un letterato che sarebbe poi emigrato in Svezia all’inizio degli anni ’80. Fu la prima e ultima volta durante il mio soggiorno in Romania che ebbi di fronte a me un gruppo – potrei dire – «anarchico», in rivolta disperata e impotente. Allora ho avuto l’impressione che l’alcol e il «parassitismo sociale» fossero forme di protesta radicale contro la «morale socialista» e il regime comunista. Uno dei giovani presenti nel deposito di libri di Stanciu mi spiegò la visione dell’intero gruppo sul totalitarismo: qualsiasi stato totalitario crea campi di concentramento in cui gettare gli oppositori. Sotto il controllo delle autorità e a causa della passività dei cittadini, l’intero Paese può diventare un’enorme prigione. L’esempio metaforico invocato dal giovane nella sua analisi sulla colpa comune, diffusa negli stati totalitari, riguardava il conficcamento dei paletti del filo spinato, da questo primo atto fino alla creazione del «lager» voluto dalle autorità il passo era breve. La persona che fissa il primo paletto è quindi corresponsabile degli odiosi crimini commessi in quel luogo di detenzione.
Una volta, Lucian Stanciu tenne da parte per me nel deposito alcuni libri e riviste, ma poco tempo dopo la Securitate effettuò una accurata perquisizione. Temendo le conseguenze del nostro innocuo scambio di libri, decidemmo di comune accordo di interrompere la nostra collaborazione.
In quel periodo conobbi pure il grecista nonché vulcanico erudito Mihail Nasta. Ci incontrammo alla famosa «Casa Universitarilor», il ristorante riservato dove potevano pranzare solo il personale didattico dell’Ateneo bucarestino e i borsisti stranieri muniti del prezioso «permesso» (adeverință). Da quel momento iniziò una lunga amicizia e da allora ci siamo rivisti alcune volte in Italia.

Professore, come finisce il suo soggiorno a Bucarest e cosa ci può dire del tempo passato qui?

I mesi trascorsi a Bucarest mi sono serviti per l’apprendimento della lingua romena ma certamente non per la documentazione sulla ricostruzione della biografia intellettuale di Mircea Eliade, il motivo principale del mio soggiorno in Romania. In quel periodo non ho avuto accesso nemmeno ai documenti inclusi nel Fondo Segreto della Biblioteca dell’Accademia Romena. Ho potuto consultare soltanto una piccola parte del materiale bibliografico del suddetto fondo non prima del 1981, grazie a un permesso speciale ottenuto per intervento del professor Cândea. Un anno prima di me, i documenti in questione nel Fondo Segreto furono esaminati da Mac Linscott Ricketts, un borsista americano Fulbright, discepolo di Eliade, dotato di una copiatrice Xerox portatile – credo che fosse uno dei primi modelli – che gli permise la riproduzione quasi integrale degli scritti interbellici eliadiani, ovviamente con un accordo diplomatico speciale, come avrei scoperto successivamente. Mac Linscott Ricketts ha pubblicato in seguito alla sua ricerca a Bucarest un’opera fondamentale in due volumi: Mircea Eliade: The Romanian Roots (1988), tradotta più tardi anche in romeno. Nell’autunno del 1974 sono stato nominato, tramite un concorso al Ministero degli Esteri italiano, lettore di lingua italiana presso la Cattedra di Italianistica dell’Università di Iași, posizione che ho ricoperto per due anni. A differenza di Bucarest, dove la pressione esercitata dalla Securitate non si sentiva in maniera così pesante, a Iași la situazione era diversa. Vivendo in un gruppo di lettori stranieri, sono stato avvertito sin dall’inizio dai miei colleghi del controllo esercitato dalla temibile istituzione repressiva sui cittadini stranieri, ma di tutti questi fatti vi parlerò forse in un’ulteriore intervista.



Intervista realizzata da Octaviana Jianu
(n. 6, giugno 2020, anno X)