Con Rosella Lisoni sull’universo femminile di Pasolini

Il rapporto di Pasolini con le donne fu continuativo e molto proficuo. Il cinema e la letteratura gli offrirono tante opportunità di collaborare con anime rivelatisi affini; donne con cui intavolò profonde amicizie nonché solidi collaborazioni professionali. La madre Susanna, Laura Betti, Maria Callas, Giovanna Bemporad, Lorenza Mazzetti e Silvana Mauri, solo per citarne alcune: personalità diverse tra loro e spesso assolutamente inconciliabili.
Rosella Lisoni ne segue meticolosamente le tracce per interpretare la «figura femminile» nella copiosa produzione pasoliniana; figura mediante la quale accusa i processi di corruzione, lo svuotamento di valori, in un permanente processo di contestazione dell’ideologia dominante.
A Pasolini ha dedicato i saggi: L’ultimo Pasolini tra forma e realtà (Sette città, 2021) e Eros e Thanatos ne «I Racconti di Canterbury» di Pier Paolo Pasolini (Sette città, 2020, «menzione speciale al merito letterario» al VII Premio Internazionale Salvatore Quasimodo).


Nella vita di Pier Paolo Pasolini vi sono almeno tre figure centrali: sua madre Susanna, Laura Betti e Maria Callas, tuttavia le tracce relative all’interpretazione della figura femminile in Pasolini sono copiose e costanti: Giovanna Bemporad, Laura Betti, Lorenza Mazzetti e Silvana Mauri.
Ne può fornire una motivazione?

«Mia madre era bellissima. Era piccola, fragile, aveva il collo bianco e i capelli castani. Nei primi della mia vita ho di lei un ricordo quasi invisibile. Poi salta fuori improvvisamente verso i tre anni e da allora tutta la mia vita è stata imperniata su di lei».
Con queste parole Pasolini descrive sua madre, figura fondamentale per la vita del poeta, colei che lo avvia lungo le strade della poesia dedicandogli all’età dei sette anni la prima poesia alla quale lui fece, immediatamente, seguirne un’altra. Da quel momento nacque l’amore per la poesia, da quel preciso istante egli divenne poeta, l’amore dell’adorata madre lo rese poeta. Fu lì che capì che i sentimenti dirompenti che lo animavano potevano essere resi in versi. Tutto il suo ricco e immenso mondo interiore poteva affiorare e trovare rifugio nella poesia. Così fu, Pasolini restò sempre un poeta, da narratore, da scrittore, da saggista, da giornalista, da regista, da pittore. Fu perfino un «combattente» con le armi della poesia.
Susanna Colussi fu per lui la sua luce, la sua bussola, la sua aria, fu «l’insostituibile», colei con la quale visse per tutta la vita e fu il suo nome ad essere implorato nel momento della morte. Fu la madre delle madri, fu il suo volto a interpretare Maria adulta nel film Il Vangelo secondo Matteo.
L’unica donna verso la quale il suo immenso amore non vide mai una fine, ma al contempo responsabile dei suoi tormenti, delle sua carnali passioni le quali non potevano essere indirizzate verso di lei.
«È dentro la tua grazia che nasce la mia angoscia... ho infinita fame d’amore, dell’amore dei corpi senz’anima, perché l’anima è in te, ma tu sei mia madre e il tuo amore è la mia schiavitù».
La madre, tutto ciò che risulta a lei legato, il materno, il femminile, il Friuli, la campagna, il Tagliamento, rappresentano l’elemento positivo contrapposto al padre, al maschile, alle Istituzioni, allo Stato che rappresentano l'elemento negativo.


Quanto a Laura Betti, quale è stato il suo ruolo?

Laura Betti, «la pazza», rappresenta l’amica di una vita, «la sua sposa», come lei amava definirsi. Profondamente e follemente legata al poeta, al punto tale da immaginare che ogni opera fosse a lei dedicata. Li univa una comune e disperata vitalità, a lei fu affidato il compito di farlo ridere e di accudire la sua figura sfuggente. «Di giorno lui stava a casa sua all’Eur, mentre la sera Pier Paolo veniva da me, o mangiavamo qua... o si scendeva alla Carbonara, un ristorante a Campo dei Fiori». A lei va il merito di aver creato e mantenuto l’archivio Pasolini di Roma: Il Fondo Pier Paolo Pasolini ora collocato a Casarsa, che si occupava anche di pellicole di Pasolini, di restauri, e vantava una stupenda sessione audiovisiva. Figura non facile da gestire, alla quale il poeta fu molto legato, fu Laura Betti a cogliere il «recinto sacro» dentro cui si svolgeva la percezione che qualcosa di orribile in quel recinto potesse accadere.
Questa donna, mentalmente travisata, piena di conflitti interiori, interpreta il ruolo di sacerdotessa. Immensa artista, aveva la capacità di esaurire ogni problema personale nell’atto del recitare, atto in grado di renderla leggera, soave.


Il legame con la Callas come si può invece caratterizzare?

Maria Callas, «La Divina», fu legata a Pasolini da un amore vero, totale, infinito: «Noi siamo molto legati spiritualmente, come raramente è concesso di esserlo», scrisse con infinito amore rivolgendosi al poeta. Anch’egli fu molto legato a lei, certo a suo modo le fu vicino, subì il suo fascino, ma non pensò mai di vivere i suoi giorni accanto a lei.
In un momento di grande crisi personale e artistica riabilitò l’arte e il prestigio di Maria Callas affidandole il ruolo di Medea, la rappresentante del sacro e con i suoi costumi preziosi e pregiati la rese una delle donne più apprezzate della sua filmografia. Storia di un amore impossibile, il loro legame fece sognare e spinse la diva a immaginare di conquistare il cuore del grande regista, sensibile, dolce e accogliente, che le scriveva lettere appassionate, la riempiva di accortezze e di doni importanti. «Tu sei come una pietra preziosa che viene violentemente fratturata in mille schegge per poter essere ricostruita di un materiale più duraturo di quello della vita, cioè il materiale della poesia». Storie di due sensibilità ferite dalla vita, che condividevano passioni e delicatezze, che si unirono per vincere l’atrocità che la vita aveva riservato loro, sebbene per un attimo.


Della collaborazione di Pasolini con Giovanna Bemporad che cosa ci può dire?

Giovanna Bemporad, la poetessa enfant prodige, animata dal sacro fuoco della poesia, ebrea, durante il fascismo trova rifugio a Casarsa dove incontra e frequenta il giovane Pasolini con il quale aveva collaborato durante gli anni bolognesi alla rivista «il Setaccio». In seguito torneranno a collaborare sul progetto di una scuola per i figli di contadini nel 1943, al cui progetto partecipano le menti più eccelse di quegli anni.
«Capii subito che sarebbe diventato un gigante... mi sentivo sopraffatta. Se esisteva lui come poeta, non potevo più esistere io». Anticonformista, al punto da abbandonare la scuola, si dedicherà alle traduzioni dal greco, francese e tedesco nelle quali eccelle, animata dal fuoco sacro che la spingerà a scrivere di notte e a mantenere per il resto della sua vita questa abitudine.


Con Lorenza Mazzetti che cosa aveva in comune?

Lorenza Mazzetti, antesignana del Free Cinema, che amava farsi chiamare genio, l’avvicina a Pasolini l’essere un amateur, realizzatrice di film liberi, imperfetti. Entrambi, legati da profonda amicizia, si avvicinano al cinema da dilettanti, con la telecamera in spalla e realizzano film fuori dagli schemi calando entrambi vette alte e di successo. Collaborano al settimanale «Vie Nuove» dove insieme tengono una rubrica.


E Silvana Mauri che cosa ha rappresentato per Pasolini?

Silvana Mauri, donna riservata, dedita alla famiglia e alla casa editrice Bompianidi proprietà di suo zio Valentino, rappresenta l’unica donna che Pasolini avrebbe potuto amare, di lei scriverà versi soavi. «Tu sei stata per me qualcosa di speciale e di diverso da tutto il resto, così eccezionale che non vi trovo nessuna spiegazione... da quando mi hai aperto la porta a Bologna... mi sei apparsa sotto la figura di Madonna del duecento... l’unica che mi ha fatto capire che cosa sia la donna, l’unica che fino a un certo limite ho amato... l’unica che io ami veramente fino al sacrificio».Legati da un profondo senso di comunione, Pasolini la spinse a scrivere, avendo fiducia nelle sue immense capacità letterarie e alla fine Silvana cedette e pubblicò il suo unico libro, Ritratto di una scrittrice involontaria,che suona anche come il suo testamento.
Ricco, variegato, straordinario, l’universo femminile pasoliniano gioca un ruolo fondamentale nella sua vita e nella sua produzione artistica. Le donne hanno il compito di indicare l’importanza e il valore della verità, l'essere sempre fedeli a loro stesse, rifiutando qualsiasi tipo di compromesso, essere coerenti con i loro principi, non piegare mai la testa, ma al contrario evanzare nel mondo a testa  alta. Le donne come atomi ribelli, le escluse, ma sempre cruciali e testimoni di verità


Come si può dunque sintettizzare il rapporto di Pasolini con l’universo femminile?

Il rapporto di Pasolini con l’universo femminile è un rapporto complesso, nei suoi lavori le donne sono sempre e soprattutto madri, al di là dell’età anagrafica, anche una ragazza può essere considerata come tale. L’elemento femminile è associato all’elemento materno, con valenze amorevoli o thanatologiche, torna la tematica eros-thanatos presente in tutta l’opera pasoliniana.


Mamma Roma: qual è il suo rapporto con il genere, sia nel senso di gender sia nel senso di astrazione determinata che conferisce un’identità a ciascuno, caratterizzandolo nella sua individualità?

Mamma Roma è un film del 1962 con una straordinaria Anna Magnani che rappresenta la summa dell’ideale femminile pasoliniano degli esordi: la mamma e l’ex prostituta. Lei è il film. Collaborando con Pasolini, decide di esplorare vie cinematografiche più dure rispetto al suo percorso. Da eroina proletaria ad antieroina sottoproletaria che cerca di salvare il figlio e riscattarsi da una vita di degrado e umiliazioni. Nell’incipit del film, durante il matrimonio del suo protettore, nella famosa scena del banchetto, che rimanda all’Ultima cena di Leonardo da Vinci, lei urla in modo sboccato e duetta con un gruppo di maiali. Pasolini non amava le inclinazioni piccolo borghesi che Mamma Roma stava dando al personaggio, mentre saranno proprio quelle inclinazioni a costituire la base del conflitto dell’intero film. Il sogno di Mamma Roma di cambiare vita che la condurrà a un’immensa sofferenza è il fulcro emotivo e politico del film. Anna Magnani chiude il film con uno sguardo enigmatico verso la chiesa che rappresenta un punto focale dell’immenso lavoro svolto dal regista, sguardo verso il nuovo quartiere in cui la sua vita e quella di Ettore, suo figlio, avrebbero dovuto fiorire invece è sfiorita.
È bene sottolineare che l’amore per la realtà tiene lontano il regista dall’idea di realismo comunemente intesa, dalla piatta mimesi della realtà fenomenologica.
Sebbene lo scenario del film è quanto di più realistico si possa immaginare: borgate, mercatini, piazze assolate, il Tevere, Pasolini interviene con una scrittura registica che dissolve i canoni stabiliti dal realismo. La narrazione rinuncia alla progressione, alla logica del continuo lineare, insistendo piuttosto sulle pause, accentuando situazioni-tipo di forte liricità.


Mediante le raffigurazioni del femminile, Pasolini accusa i processi di corruzione, lo svuotamento di valori, contestando altresì l’ideologia dominante. I personaggi femminili, pensando a Bruna e Biancofiore, vanno intesi in rapporto di ‘alterità’ e non di ‘alternativa’?

Ettore, il figlio di Mamma Roma, si invaghisce di Bruna, una ragazza più grande di lui e con un figlio, di facili costumi ma non maliziosa, con lei inizia una relazione. Mamma Roma non accetta la relazione e decide di procurare a suo figlio un lavoro per togliergli dalla testa Bruna. Grazie all’aiuto del parroco Ettore servirà ai tavoli di una trattoria in Trastevere.
Alla sua amica e prostituta Biancofiore chiede di iniziare una relazione sessuale col figlio, per far sparire il suo invaghimento per Bruna. Quando tutto sembra andare per il verso giusto, ricompare però il suo protettore, Carmine, che obbliga Mamma Roma a tornare a prostituirsi. Così, la donna inizia una doppia vita, di giorno al mercato e di notte sulla strada.
Venuto a sapere da Bruna del mestiere della madre, Ettore rientra nel brutto giro della gang del posto e riprende a rubare. Arrestato per aver rubato una radiolina a un ricoverato d’ospedale, morirà tra i deliri della febbre mentre è in detenzione, legato a un letto di contenzione, invocando la madre.
Bruna e Biancofiore, le meretrici, restituiscono un’immagine di donna gioiosa, vitale, che accetta la propria condizione  di vita e col sorriso prosegue la lungo la strada della vita, come in un romanzo picaresco.
Bruna è ingenua, ma serena e vitale, cresciuta con una cattiveria naturale. Per Ettore rappresenta la conoscenza del sesso, esercita su di lui un’attrazione, quasi negativa, ma a tratti evangelica. Col suo bambino in braccio rappresenta quasi la Madonna col bambino, come la medaglietta che Ettore le regala.
Le due donne sono consapevoli che nulla è facile, ma che la vita vale sempre la pena di essere vissuta, quella  vita legata indissolubilmente alla morte.
Lo sa bene Bruna, ma non si può che accettare tutto questo e il passaggio dalla vita alla morte avviene sempre senza accorgersene, naturalmente, come un fuori strappato dal campo.
Ettore e Bruna parlano di morte ogni volta che si incontrano, fusione di eros e thanatos, d’altronde Mamma Roma si prostituisce per non morire.
«Solo grazie alla morte la nostra vita riesce a esprimersi» dirà Pasolini.
Negli incontri di Ettore con Bruna lui rinnega di amare la madre per ben tre volte, come fa Pietro con Gesù.
Biancofiore, a cui non dispiace «fare piaceri alla gente», rappresenta il futuro e vive serenamente l’instabilità del presente, consapevole che un’altra vita non esiste.


Medea è straniera, barbara: può essere intesa come l’esemplificazione del disagio e dell’emarginazione?

Medea, figura chiave della seconda fase della produzione cinematografica pasoliniana, di un cinema sospeso tra memoria storica e percorso autobiografico, è colei che incarna il conflitto tra colonizzatori e popolazione dominata.
Medea è la rappresentante dello spirito della sacralità, sarà lei a notare che l’accampamento costruito dai nemici non è costruito come uno «spazio sacro», spazio che richiede una certa ritualità non rispettata.
Pasolini evoca la figura di Medea per riflettere sul passaggio da una civiltà mitica a una segnata dal logos, figura lacerata di fronte all’irrisolto rapporto tra passato e presente, tra società matriarcale dalla quale proviene e società patriarcale nella quale si trova a vivere per amore di Giasone. Medea rappresenta la donna straniera costretta a vivere in una terra che non l’accetta.


Trilogia della vita (Il Decameron, I racconti di Canterbury e Il fiore delle mille e una notte): corpo vitale, erotico e fiammante. Il femminile come genealogia dell’intelletto?

Negli anni ’70 Pasolini il positivo lo trova nella grande letteratura trecentesca, Boccaccio per il suo Decameron, Chaucer per I Racconti di Canterbury, e l’anonimo autore del Fiore delle mille e una notte, i tre film che compongono La Trilogia della via. Soltanto lì, in quelle zone lontane della produzione culturale, il corpo viene elevato e glorificato e la vita viene rappresentata nella sua dimensione più appagante e favolosa. Dirà Pasolini: «Il mio atteggiamento con la realtà è crudelmente edonistico, si narra per il gusto di narrare». Nei tre film il focus è sulla realtà del corpo, quel corpo la cui vita «sarà una vita che non distingue la morte dalla vita» a venir proiettata prepotentemente in primo piano.
Le donne spesso sono descritte come ingegnose, sensibili, acute, animate da sentimenti leali e sincere, donne forti, determinate che gestiscono gli incontri amorosi. Pensiamo alle meretrici nel film I Racconti di Canterbury, il cui corpo è nudo e illuminato dalla luce del sole, nudità che rappresenta la primitiva purezza di un mondo in cui era ancora possibile il raggiungimento della felicità e l’eros non era stretto nel vortice corruttore del denaro.
Personaggio sicuramente positivo, Zumurrud de Il Fiore delle mille e una notte che ricorre a mille espedienti pur di ritrovare il suo amato Nur ed-Din.
Scaltra e abile Madonna Fiordalisa del Decameron che adesca con gran facilità Andreuccio.
Non dimentichiamo la Donna di Bath, una strepitosa Laura Betti de I Racconti di Canterbury, donna cinica, crudele, in grado di annientare i suoi mariti, rappresentante del punto più basso della caduta dei valori della borghesia, rendendo l’istituzione matrimoniale un semplice gioco commerciale. Con lei il sesso non è più eros, ma diviene sinonimo di morte di thanatos.


Dacia Maraini, recentemente, ha scritto Caro Pier Paolo. Per quale ragione in questo testo i sogni occupano uno spazio privilegiato per questa confessione delicata come una corrispondenza senza tempo, in cui tutto è presente e vivo?

Il sogno sia in Pasolini che in Dacia Maraina occupa un ruolo privilegiato «Noi siamo un sogno dentro un sogno»dirà il regista nel cortometraggio Cosa sono le nuvole.
Dacia Maraini ha trascorso più di 10 anni in Giappone, ha assorbito dalla cultura orientale il valore attribuito ai sogni, inoltre come lei ben racconta nel suo libro, dopo la morte della madre si è rivolta a dei bravi medici che «mi hanno insegnato a fermare i sogni e a scoprire un nuovo modo di curiosare nell’aldilà».
Quale legame migliore tra i due poteva crearsi se non quello del sogno, il file rouge che lega i due amici e permette loro di incontrarsi e trascorrere del tempo insieme in un limbo, in un luogo magico che unisce e rafforza il legame tra le due meravigliose creature. Le esistenze di due grandi intellettuali e scrittori del ’900, che hanno lasciato un segno nella letteratura italiana.


La scrittura contemporanea può annoverare letterate illuminate, vere pioniere quanto a innovazione e rispetto della tradizione. Qual è l’attuale status della letteratura esperìta da donne?

La letteratura, che deriva da littera (lettera), nasce nella preistoria, non ha genere, ha i generi. La poesia deriva dal latino poesis: fare, comporre, ed è femminile. La letteratura quindi è donna e madre in quanto si dà e in quanto si offre. Fino all’inizio dell’800 ben poche sono le donne autrici letterarie, normalmente esse sono oggetti, personaggi presentati da uomini, sotto forma di modelli.
Nella letteratura del ’900 esiste, a mio avviso, una poetessa che raggiunge vertici elevati, legati anche alla malattia: Alda Merini. Dotata di una capacità descrittiva eccezionale, di uno stile passionale e irruento che le permette di mettere a nudo la sua anima. Attraverso un percorso di vita fatto di dolore, internamenti in istituti psichiatrici, non rinuncia alla sua capacità di rinascere e dar vita a figure di donne rivoluzionarie. Donna complessa, impegnativa ma ahimè sottovalutata.
Vincitrice del premio strega con L'isola di Arturo (1957), come non ricordare Elsa Morante, moglie di Alberto Moravia, dal quale si separa. Donna sensibile, dotata di un talento straordinario, posseduta da una forte fragilità, vive con grande angoscia gli orrori della guerra per uscirne nel dopoguerra.
Rivoluzionaria e grande viaggiatrice, terminato il liceo vive e si mantiene da sola nei primi anni ’30, amica dei grandi intellettuali del ’900, Saba, Pasolini e Natalia Ginzburg, e di molti registi con i quali collabora. Anch’essa fragile e irrisolta ma di eccezionale talento, descrive il tema della famiglia e i rapporti tra madre e figlio, celebra l’universo femminile che cerca di liberarsi da preconcetti borghesi e moralisti, mai disgiunto dall’elemento fiabesco e dal mito dell’infanzia perduta.
Letteratura legata ancora all’ambito familiare è quello di Natalia Ginzburg, che nel raccontare la sua storia e quella della sua famiglia, si allarga a raccontare la Nostra Storia per oltre 50 anni, con uno scritto musicale, con parole sospese a mezz’aria, come un ‘opera musicale. In lei la storia è ciò che le parole fanno accadere, lei è l’«inventrice della lingua», colei che inventa la storia. Pratica il racconto, il romanzo breve, il romanzo autobiografico, pensiamo al famoso Lessico famigliare. Fu una grande giornalista, assertiva e decisa, quasi fautrice di uno stile «corsaro» che svilupperà in seguito Pasolini. Pratica il teatro, scrive commedie ed è attiva a livello politico.
Come non ricordare poi Sibilla Aleramo (pseudonimo di Rita Faccio), figura importantissima del femminismo del primo Novecento. Nel suo libro-denuncia Una donna descrive le violenze subite dall’uomo che diventerà suo marito e dal quale fuggirà. Personaggio della letteratura, dell’arte, della politica del primo ’900, ha combattuto battaglie per l’emancipazione femminile, si è battuta per il divorzio, per il suffragio universale, convinta che la condizione di moglie e madre obblighi la donna alla sottomissione totale alla società. Donna libera, convinta della necessità dell’amore libero, attraverso le sue opere letterarie si è battuta per l’emancipazione femminile.
Ultima, ma non in ordine d’importanza, Anna Banti (pseudonimo di Lucia Lopresti), studiosa di storia dell’arte all’Università di Roma, allieva e moglie di Roberto Longhi. Famosa la sua biografia Artemisia dedicata alla pittrice Artemisia Gentileschi, donna indipendente. Rinuncia alla vocazione per la storia dell’arte, in quanto accanto al grande critico dell’arte Roberto Longhi, per dedicarsi alla letteratura.
Attenta alla condizione femminile tra la fine dell’800 e il primo ’900, al diritto alla libertà, al valore dell’ingegno femminile e al carisma della solitudine fondamentale per il raggiungimento della libertà.


Le scrittrici sono state sensibili a diverse ideologie, visioni del mondo, sensibilità politiche e filosofiche; personalità diverse tra loro e spesso assolutamente inconciliabili. Riesce a scorgere un fil rouge che annoda le plurime e molteplici anime della letteratura declinata al femminile?

I ritratti di scrittrici nella letteratura del ’900 restituiscono un’immagine forte, determinata e coraggiosa di donna. Personaggi femminili dotati di immenso talento e grande acume, energiche, vitali, indomite. Foriere di speranze e a volte possedute dal dolore, dalla paura, ma sempre attende a scorgere nella letteratura una spinta a vincere i mali del mondo. Letteratura intesa come forza terapeutica, all’interno della quale sono presenti gli spiriti che curano.







A cura di Afrodita Cionchin e Giusy Capone

(n. 6, giugno 2022, anno XII)