Lo scetticismo politico dagli antichi ai giorni nostri. Dialogo con Spartaco Pupo

«La politica, a tutte le latitudini, ha oggi un gran bisogno di buon senso, prudenza e moderazione, qualità inconfondibili del vero scettico». Lo scetticismo politico è il tema dell’intervista a Spartaco Pupo, professore associato di Storia delle dottrine politiche presso l’Università della Calabria e direttore di Oikos - Centro studi sul Noi politico.
Esperto del pensiero politico conservatore e scettico,  è studioso di David Hume, del quale ha tradotto tutti gli scritti politici, pubblicati per la prima volta integralmente in edizione italiana: D. Hume, Libertà e moderazione. Scritti politici (Rubbettino 2016). È membro della Hume Society e autore, tra l’altro, dei seguenti volumi: La comunità e i suoi nemici (Le Lettere, 2008), La politica senza “Noi”. Il rifiuto di sé alla radice del malessere occidentale (Aracne, 2011), Robert Nisbet e il conservatorismo sociale (Mimesis, 2012), David Hume. The Sceptical Conservative (Mimesis International, 2020); Lo scetticismo politico. Storia di una dottrina dagli antichi ai giorni nostri (Mimesis, 2021). 

Da Pirrone a Rorty, passando per Socrate, Carneade, Cicerone, Giovanni di Salisbury, Guicciardini, Montaigne, Sorbière, Pascal, Bayle, Hume, Nietzsche, Russell, Rensi, Oakeshott e Popper: il volume Lo scetticismo politico (Mimesis Edizioni, 2021) offre per la prima volta un quadro completo della storia dello scetticismo politico, rappresentato da alcune delle figure intellettuali più influenti del pensiero occidentale, ma ritenute politicamente «scomode» per la loro incessante critica alle ideologie, ai dogmatismi dei partiti, ai paradigmi normativi e ai mezzi di persuasione diversi da quelli improntati al buon senso, alla prudenza e alla moderazione. L’autore dimostra che a unire tutti gli scettici politici è uno ‘stile’ che privilegia il saggio al trattato, l’ipotesi alla certezza infallibile, il pluralismo al monismo, la verità conversazionale alla soluzione finale. Benché quasi tutti siano stati additati dai loro contemporanei come infedeli, reprobi, esiliati e gretti, le loro posizioni si sono rivelate essenziali non solo per la teoria politica in senso proprio, ma anche per l’affermazione di idee ‘altre’ di libertà, tolleranza e convivenza civile.

Professore, quali sono le peculiarità della dottrina dello scetticismo politico?

La prima è senz’altro la diffida nei confronti di quanti nutrono certezze e verità definitive e non osano mai mettersi in discussione. A ciò si accompagna la critica ai dogmatismi ideologici, ai paradigmi normativi e ai mezzi di persuasione fondati quasi sempre sull’imposizione di principi astratti, affezioni e opinioni fatte passare per verità, verso cui i dogmatici politici pretendono un atteggiamento di mera fede o ‘credenza’.

Da dove spunta la coscienza scettica ed essa è, oggi, individuale o collettiva?

È una eredità tutt’altro che sbiadita degli antichi greci, in particolare di Pirrone e Socrate, iniziatori, rispettivamente, del pirronismo e della scuola accademica. La ‘scepsi’ non è solo una disposizione caratteriale o psicologica, né un mero esercizio mentale che predispone al dubbio e alla sospensione del giudizio nei riguardi delle presunte ‘verità’, ma è soprattutto una dottrina rispettabile e longeva, che ha attraversato quasi indenne tutte le fasi della storia intellettuale umana. In ambito politico lo scetticismo è stato sin qui rappresentato da alcune delle figure intellettuali più influenti del pensiero occidentale, sfuggenti a ogni tentativo di inquadramento ideologico e classificazione storiografica. Come ogni altro orientamento politico, esso è soprattutto individuale. Lo scettico guarda in modo disincantato alla realtà, accetta il costume del paese in cui vive, rispetta le convenzioni della società d’appartenenza, obbedisce all’autorità politica senza troppo arrovellarsi il cervello circa la sua origine o il suo scopo. Lo scettico è un conformista che si sottopone individualmente alla legge in quanto legge. Ma lo scetticismo può anche assumere la forma di una più o meno ampia porzione di umanità in cui si riconoscono quelle persone che non sono disposte a cedere ai facili idealismi, né a illudersi della bontà dei precetti moralistici che, alla prova dei fatti, mostrano tutta la loro incoerenza e inapplicabilità. Difficilmente la coscienza scettica può assumere la forma collettiva di un partito, specialmente quando questo è una specie di ‘chiesa’ istituita sulla base di fondamenti dogmatici nei riguardi dei quali non si può dissentire, pena l’espulsione o l’epurazione.

Pirrone, Socrate, Carneade, Cicerone, Giovanni di Salisbury, Guicciardini, Montaigne, Sorbière, Pascal, Bayle, Hume, Nietzsche, Russell, Rensi, Oakeshott, Popper, Rorty: c’è un filo rosso che lega figure intellettuali tra le più rappresentative del pensiero occidentale?

Il loro pensiero politico presenta nessi documentati con la tradizione dello scetticismo. Quasi tutti nelle loro opere citano da Socrate, Cicerone, Montaigne, Hume e altri ancora. E in tutti i casi troviamo una epistemologia scettica proiettabile sull’analisi politica. Ognuna di queste figure di pensatori rappresenta un linguaggio diverso, un tempo diverso e un luogo diverso, ma, considerate nel loro insieme, esse spaziano in un ragionevolmente ampio spettro di riflessioni politiche, a iniziare dalla difesa della libertà individuale, della ‘tranquillità’, della tolleranza e della pacifica convivenza civile.

Le idee di libertà, di tolleranza e di convivenza civile sono da ridefinire a fronte di certezze fallibili, pluralismi in luogo di monismi, verità conversazionali anziché soluzioni finali?

Gli scettici politici, disposti come sono all’argomentazione civile, al dialogo e alla discussione aperta, privilegiano uno stile letterario particolare, quello del saggio o dell’aforisma o del ricordo, esempi tipici di una scrittura frammentaria, opposta a quella dialettica e totalizzante degli idealisti e dei razionalisti dogmatici. Essi preferiscono l’esperimento al dogma, la massima alla concettualizzazione sistematica, l’ipotesi alla certezza infallibile, il pluralismo al monismo, la verità conversazionale alla soluzione finale. In fondo, perché bisogna per forza concludere una discussione con l’adozione di un’unica verità politica?

Ideologie, dogmatismi, paradigmi normativi in qual misura si prestano a diventare subliminali mezzi di persuasione?

Nella misura in cui chi se ne fa portavoce disegna a tavolino forme di stato o profetizza paradisi improbabili paradisi terrestri, raccontandoci la sua verità e invitandoci a crederci con abili armi di persuasione. La sollecitazione ad adottare la sospensione del giudizio quale guida per la condotta politica non include l’automatica negazione della realtà del mondo esterno (sarebbe da ingenui, e lo scettico tutto è tranne che ingenuo), ma solo la possibilità di accedervi per via dogmatica e violenta, con l’esclusione, l’ostracismo e la purga. Lo scettico sceglie l’affidabilità dell’esperienza, l’inclinazione alle riforme e all’argomentazione razionale.

Può suggerire principi soggettivi della verità che possano guidare la vita pratica degli uomini, fungendo da bussola?

Girerei la domanda a tutti i filosofi politici, gli utopisti, i teorici razionalisti, gli ideologi di partito che non rientrano in quell’elenco di scettici di cui parlavamo prima. I suggerimenti e le ricette non sono proprie degli scettici. Ogni caso è diverso dall’altro e nella varietà dell’esperienza, dinanzi ai prodotti del caso e della fortuna ogni ricostruzione logica, sistematica e onnicomprensiva, può risultare inutile. 

Quali sono i termini di relazione tra la politica della fede e la politica dello scetticismo?

Sono tanti, ma il più importante fra tutti è che la politica dello scetticismo, contrariamente alla politica della fede, si ispira a una chiara e netta separazione tra ‘politica’e ‘devozione’, e mira a mantenere l’ordine e la pace, trattenendosi il più possibile dal frapporre ostacoli alla scelta individuale delle persone e dall’indirizzarne il percorso esistenziale con la prescrizione di norme morali e l’imposizione di una sostanziale uniformità politica.

Professore, alla politica giova lo scetticismo?

Certo che sì. Ci fa fare buon uso dell’ironia, che risulta insostituibile nel costringere l’interlocutore politicamente convinto ed ‘entusiasta’ a confessare la propria ignoranza. Ma l’ironia aiuta anche a dubitare delle nostra credenze, prima ancora che di quelle degli altri. La politica, a tutte le latitudini, ha oggi un gran bisogno di buon senso, prudenza e moderazione, qualità inconfondibili del vero scettico.








A cura di Giusy Capone
(n. 2, febbraio 2021, anno XI)